Zone rurali e montane dell’Ue, Da Re: “Incentivare e promuovere le politiche culturali”.

In una Europa delle Regioni capita spesso di rilevare livelli di sviluppo eterogenei nelle varie aree rurali e montante dei diversi Paesi Ue, confermando notevoli problemi di accesso alle cosiddette (e tanto decantate) opportunità europee per lo sviluppo rurale.

A ricordare uno dei tanti gap che affliggono le zone “più disagiate” dell’UE, è stato recentemente l’eurodeputato di ID, Gianantonio Da Re che ha ricordato proprio l’insufficienza di politiche culturali tra le cause alla base dello spopolamento in atto da decenni nelle aree montane, rurali e periferiche.

“Tra il 1951 e il 2024 nelle aree rurali italiane si è registrato un crollo demografico del 26,4 % (circa 6,7 milioni di abitanti si sono trasferiti verso le aree urbane). Questo crollo demografico determina altresì un aspetto spesso sottovalutato, ovvero quello culturale: la tradizione, la cultura e la storia delle popolazioni delle zone colpite dallo spopolamento rischiano di scomparire a causa della mancanza delle comunità che le mantengono attive”.

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Da qui la richiesta di intervento dell’esponente italiano a Bruxelles alla sempre autoreferenziale Commissione europea in materia di promozione delle politiche cultuali e di salvaguardia delle tradizioni e della storia delle popolazioni rurali e montane.

Per la commissaria Iliana Ivanova, intervenuta a nome della Commissione europea, il sostegno alla conservazione delle tradizioni culturali spetta in primo luogo agli Stati membri o alle regioni, confermando (se mai ce ne fosse stato bisogno), l’inconsistenza dello stesso esecutivo europeo.

Un’azione di salvaguardia delle politiche culturali, quella sostenuta dalla Commissione, che passa per iniziative spot e di scarso impatto: “La Commissione contribuisce tuttavia alla salvaguardia del patrimonio culturale europeo attraverso iniziative politiche quali il marchio del patrimonio europeo o il
premio per il patrimonio europeo, nonché sostenendo finanziariamente gli Stati membri e le regioni”.

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Politiche che l’Unione, per il periodo 21-27, finanzierà con la misera cifra di 5 miliardi di euro nell’ambito del programma FESR. Somma decisamente lontana, per esempio, dagli oltre 87 miliardi di dollari investiti dagli Stati Uniti per sostenere la prosecuzione della guerra in Ucraina o per il programma ASAP per la produzione di più armi voluto dalla democratica Unione europea.

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