“Volevo solo vendere la Pizza”. Intervista all’autore Luigi Furini.

Un giornalista prova a diventare imprenditore. Segue i corsi di primo soccorso, quello antincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Compra centinaia di marche da bollo, compila (e paga) un’infinità di bollettini postali. Sei mesi dopo e con centomila euro di meno, apre finalmente l’attività: un piccolo negozio di pizza d’asporto. Ma a quel punto si trova a dover fare i conti con i cosiddetti “lavoratori” e con i sindacati. Dopo due anni infernali, chiude bottega. A distanza di 12 anni dalla prima edizione del libro “Volevo solo vendere la Pizza”, ed. Garzanti, chiediamo il parere all’autore Luigi Furlini per capire se l’Italia nel 2019 è un Paese migliore per le imprese e gli imprenditori? 

Salve Luigi, nel tuo libro “Volevo solo vendere la pizza”, pubblicato per la prima volta nel 2007, parli delle disavventure che ti sono capitate con la tua piccola attività d’impresa. Sono passati ben 12 anni dalla prima edizione eppure l’imprenditore nel nostro Paese si sente sempre vessato. A distanza di 12 anni trovi un Paese ancora sordo alle richieste degli imprenditori?L

Sì, il Paese sarà anche cambiato, ma in peggio. Gli altri sono andati avanti. Noi, a dire bene, siamo rimasti fermi. Figuriamoci che ora si parla di “decrescita felice”. Ma quale “felice”.

Da giornalista cosa ti ha spinto a lanciarti nel mondo della ristorazione, considerando le avversità riscontrabili nel nostro Paese sotto il profilo dell’attività d’impresa?

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Volevo provare a fare qualcosa di nuovo, di diverso. Sognavo di fare l’imprenditore, di aprire un catena di locali, anche in America. I sogni non sono vietati, neanche ai giornalisti.

Qual è stata , invece, la goccia che ha fatto ‘traboccare il vaso’ portandoti a chiudere l’attività?

Le cause di lavoro dei dipendenti che, fino a sei mesi prima, non conoscevano il sindacato. Un giorno ero con loro, siamo andati insieme a comprare le divise, magliette e berrettini. C’era fuori un banchetto della Cgil. Solo io ho dato 5 euro e firmato un modulo, forse per un referendum (ora non ricordo). Loro mi hanno detto: “Non firmi, poi le arriva a casa l’enciclopedia”. Figuratevi come erano sindacalizzati. Sei mesi dopo, tutti pronti a farmi causa. Le cause le ho vinte, ma mi hanno sfiancato.

Problema di accesso al credito, modulistica e autorizzazioni complesse, pressione fiscale, illogicità della macchina amministrativa, sicurezza. Secondo te qual è il fattore più critico per un piccolo imprenditore nello svolgimento della sua attività?

La macchina amministrativa è illogica, ci sono norme che contrastano una con l’altra. La pressione fiscale è pazzesca, per chi le tasse le paga.

Pensando ad altre realtà nazionali aderenti all’UE, dove il rapporto imposizione fiscale-impresa sembra essere più equo rispetto all’Italia, hai mai pensato ad una spiegazione che fa del nostro Paese uno dei peggiori posti in UE per avviare un’attività?

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Un paese dove avviare un’attività è difficile. Infatti i nostri ragazzi vanno all’estero. Qui studiano (e costano allo Stato). Poi vanno via a lavorare (e pagano le tasse dove lavorano).

Secondo te esiste un problema di ‘iperlegislazione’ nel nostro Paese? Qual è ,nel caso, la ratio che spinge verso questa ‘follia normativa’?

Siamo il paese con il più alto numero di leggi. L’ex ministro Calderoli (Lega) si era fatto riprendere con il lanciafiamme, mentre bruciava faldoni di leggi. Ridicolo. Non ha combinato niente. Il perché di questa follia? Perché aumenta la burocrazia che dà lavoro a tanta gente. Guarda al reddito di cittadinanza. Chi ha trovato lavoro? I navigator.

Come valuti un Paese dove annualmente, a causa di nuove norme , si introducono nuove imposte, tasse e radicali cambiamenti nei vari settori produttivi? Secondo te questo “dinamismo da manovra finanziaria”, che muta il quadro normativo ogni anno, provoca effetti distorsivi nel mondo produttivo e mancanza di certezze per gli imprenditori?

Nessuna certezza per chi vuole investire. Ogni anno cambia la musica. Guarda il caso dei pannelli solari. Ti davano lo sconto, le agevolazioni. Tu metti il pannello, spendi tanti soldi e dopo due anni ti aboliscono lo sconto. Ma il pannello resta da pagare. Guarda all’ex Ilva.

In una precedente intervista hai dichiarato che “Tutti hanno diritto di sanzione verso le imprese nel nostro Paese, INPS, forze dell’ordine, SIAE, ecc.”. Questo clima di minaccia, accanimento e sanzione facile verso gli imprenditori da cosa è motivato secondo te?

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Dal fatto che, si pensa, che l’imprenditore ruba, è disonesto. E allora l’impiegato pubblico, a 1400 euro al mese, è pronto a farsi rivalere. “Te la faccio pagare”, pensa.

Si parla di un mondo sempre più digitalizzato, eppure capita spesso che i servizi pubblici verso le imprese non siano erogati con cosi tanta ‘modernità’. Tralasciando le innumerevoli file negli uffici pubblici che un imprenditore deve mettere in conto, cosa impedisce alla pubblica amministrazione una maggiore aderenza al cambiamento tecnologico?

Il personale non è addestrato a usare i pc. Che ne sanno di digitalizzazione. Ma va là. Ho visto pratiche girare da una scrivania all’altra perché c’era una frase in inglese e nessuno sapeva tradurla.

Ti è mai balenato in mente di ritentare l’esperienza imprenditoriale? A distanza di 12 anni trovi un Paese migliore, maggiori occasioni di sviluppo?

Mai più tenterò di avviare un’impresa. Trovo il Paese peggiorato.

Cosa consiglieresti o sconsiglieresti a un giovane imprenditore che nel 2019 “Vuole soltanto vendere la pizza”?

Ma sì, di provarci se proprio non si trova di meglio. Ma di assumere poche persone, di lavorare in proprio. Sennò non ce la fa.

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