Voleva la pace nel Donbass: dopo 6 anni Zelenskyy si conferma un fallimento.
Volodymyr Zelenskyy, comico televisivo e outsider della politica, dopo aver recentemente dimostrato tutta la propria fragilità politica (non c’è più il manovratore guerrafondaio Biden), piegandosi, dopo 3 anni di narrazioni mitiche, alle proposte di tregua con la Russia, deve ora fare i conti con il fallimento del proprio mandato elettorale.
Eletto nel 2019 con il 73% dei voti, “il presidente in tutina mimetica” aveva allora incarnato la speranza di un rinnovamento profondo per l’Ucraina, promettendo la fine della corruzione (oggi endemica nel Paese come più volte rilevato da Trasparency International) e una nuova stagione di pace nel Donbass. Altra missione non riuscita.
Una leadership, celebrata solo da un Occidente “criminalmente interessato” all’Ucraina, oggi messa costantemente in ridicolo proprio dagli Stati Uniti d’America di Donald Trump, come ricorda l’infausto meeting del 28 febbraio nello Studio Ovale. Dagli appelli universali alla difesa della democrazia, il povero presidente illegittimo (ricordiamolo dal 24 maggio 2024) è infatti passato, mese dopo mese, dai toni guerrafondai e pro escalation a quelli più servili e pacificisti.
Ma, aspetto di cui pochi parlano, sul fronte interno Zelenskyy è vittima di un crescente malcontento popolare, con il 52% dei cittadini/e ucraini/e che vorrebbero un passo indietro dell’attuale numero uno del Governo di Kiev, senza contare le crescenti critiche dell’opposizione politica ucraina e degli osservatori internazionali. Leader di Stato, insomma, stimato solo dall’Ue e da alcuni Paesi membri, mentre in patria cresce la contestazione per il “liquidatore di Kiev”.
Eppure, ancora per poco (specialmente da parte del trilogo europeo) continua a essere promossa l’immagine di un presidente democratico, vittima “dell’impero del male” di Vladimir Putin. La verità, però, dice che anche sul fronte dell’informazione, Zelenskyy ha negli anni accentrato potere e centralizzato il controllo mediatico tramite il Telemarathon, un canale unico statale che ha escluso i media indipendenti e le voci critiche. In altre parole abbiamo armato negli ultimi 36 mesi, un campione di democrazia, come più volte rimarcato da Ursula von der Leyen, nonostante sia Human Rights Watch e Reporters Sans Frontières abbiano più volte documentato un significativo deterioramento della libertà di stampa, con giornalisti sottoposti a pressioni politiche e indagini da parte dei servizi segreti ucraini. Persino corrispondenti di testate internazionali, come il New York Times, hanno visto i loro accrediti revocati dopo articoli critici sulla gestione del conflitto e sulla corruzione nel settore militare. Basterebbe questo per far capire al trilogo europeo il progressivo soffocamento del dissenso interno in Ucraina? Assolutamente no!
Paese, ancora, dove vige sì la legge marziale ma dove non è prevista la proroga in automatico del mandato presidenziale di Zelenskyy, ad oggi, invece, saldamente al potere. Aspetto, però, evidenziato dalla Federazione Russa, per la quale la permanenza di Zelenskyy al Governo rappresenta un freno agli accordi di pace.
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