Violenza sulle donne, Istat: “Ancora insufficiente il numero di posti letto”.

Il sistema di protezione delle donne vittime di violenza può considerarsi efficace in Italia? A rispondere a questa domanda il report realizzato dall’Istat incentrato sull’analisi delle attività svolte nel 2020 per la protezione e l’accoglienza delle donne sopravvissute alla violenza.

Aumenta l’offerta di Case rifugio e Centri antiviolenza. Nel 2020, è cresciuta l’offerta dei Centri antiviolenza (CAV) e delle Case rifugio (CR). Le donne vittime di violenza possono contare su 350 CAV, il 2,9% in più rispetto ai 340 attivi nel 2019, e su 366 CR, il 24,5% in più rispetto alle 294 dell’anno precedente. Durante l’anno sono infatti aumentate le strutture residenziali che hanno ricevuto finanziamenti da parte del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio.

La distribuzione territoriale dei servizi per il contrasto della violenza di genere non è omogenea. Al Nord si concentra il 70,2% delle Case rifugio (257) e il 41,7% dei Centri antiviolenza (146); a seguire il Sud dove sono attivi 104 CAV (29,7% del totale nazionale). La presenza di questi servizi è minore nelle restanti aree geografiche, raggiungendo il valore minimo per entrambe le tipologie nelle Isole (19 Case rifugio e 35 Centri antiviolenza, pari rispettivamente al 5,2% e al 10% del totale delle unità attive).

Se si rapportano i servizi alla popolazione femminile cui potenzialmente sono rivolti, l’offerta delle Case rifugio è pari a 0,12 per 10mila donne e quella dei Centri antiviolenza a 0,11 per 10mila donne. Considerando esclusivamente le donne vittime di violenza1, l’offerta dei servizi specializzati sul territorio sale a 1,6 ogni 10mila vittime per le Case rifugio e a 1,5 ogni 10mila vittime per i Centri antiviolenza.

CAV e Case rifugio: raggio di azione più vasto del comune dove hanno sede. Lo sviluppo sul territorio delle Case rifugio e dei Centri antiviolenza che hanno risposto alla rilevazione1 non ha seguito la stessa dinamica temporale: il servizio di sostegno e protezione per le donne vittime di violenza si è prima concretizzato nell’apertura dei Centri antiviolenza e a seguire delle Case rifugio.

Considerando, infatti, l’anno di apertura, sono otto i Centri antiviolenza, tra quelli rilevati, che hanno avviato l’attività negli anni Ottanta, di cui il primo aperto nel 1983, mentre sono sei le Case rifugio aperte prima del 1990 (la prima nel 1986). Tra il 2014 e il 2020 hanno avviato l’attività 110 Case rifugio (il 45,5% del totale) e 104 Centri antiviolenza (il 39,5% dei Centri rilevati) e soltanto nell’ultimo anno quelli aperti sono rispettivamente 12 e 11.

Va ricordato che non tutte le Case rifugio rilevate hanno iniziato la loro attività aderendo ai requisiti dell’Intesa del 2014. L’adesione successiva all’anno di apertura ha riguardato l’83,3% delle Case rifugio che hanno aperto prima del 1990, il 26,9% di quelle che hanno aperto tra il 1990 e il 1999, il 20% di quelle aperte tra il 2000 e il 2009 e il 20% delle Case aperte tra il 2010 e il 2013, mentre tutte quelle aperte dal 2014 erano ovviamente già in linea con l’Intesa.

Case rifugio e Centri antiviolenza svolgono la loro attività su un raggio territoriale più vasto rispetto a quello comunale dove hanno sede. Di fatto, solamente il 6,6% delle Case rifugio e il 6,5% dei Centri antiviolenza dichiarano di operare e offrire i loro servizi all’interno del territorio comunale.

Tuttavia, emergono differenze significative tra i due servizi, imputabili anche alla diversa funzione che ricoprono sul territorio: le Case rifugio operano su un territorio più vasto, nel 43,4% dei casi il territorio di competenza è sovraregionale, nel 16,9% regionale e nel 21,1% provinciale. I Centri antiviolenza sono prevalentemente attivi su scala intercomunale (35,4%), con il 71,9% dei Centri che opera al massimo entro i confini provinciali (il territorio di competenza provinciale è pari al 30% dei casi). Rispetto al 2019, si rileva una sostanziale stabilità rispetto al territorio di competenza sia delle Case, sia dei Centri rilevati.

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Soprattutto privati i gestori di Centri antiviolenza e Case rifugio. I Centri antiviolenza, ma soprattutto le Case rifugio, si caratterizzano per la natura privata del loro ente promotore. Tre Case su quattro (75,2% nel 2020; 76,3% nel 2019) hanno un ente promotore privato qualificato nel sostegno e nell’aiuto alle donne vittime di violenza; il valore massimo si registra nel Nord-ovest (87,7%). Per i Centri antiviolenza l’ente promotore è privato nel 65,4% dei casi (65,5% nel 2019), con i valori massimi nelle Isole (79,2%) e nel Nord-ovest (75,4%).

Le quote più elevate di promotori di natura pubblica, nella forma di enti locali in forma singola o associata, si rilevano invece al Centro, sia per le Case rifugio (35,2%) sia per i Centri antiviolenza (46%).

Ad accomunare Case rifugio e Centri antiviolenza è inoltre il fatto che nella maggior parte dei casi l’ente promotore e quello gestore che fornisce il servizio coincidono: 81,0% per le Case rifugio (81,3% nel 2019) e 72,6% per i Centri antiviolenza (70,8% l’anno precedente).

Per le Case rifugio, nei casi in cui il gestore è un ente diverso dal promotore (46 su 242), si tratta per lo più di un promotore pubblico che delega a un ente privato l’erogazione dei servizi (82,6%).

Elevata la specializzazione dei gestori di Centri e di Case rifugio. La professionalità delle Case rifugio e dei Centri antiviolenza sul tema della violenza è molto alta. Per le Case rifugio, il 96,7% degli enti promotori privati e il 95,9% dei gestori privati hanno più di cinque anni di esperienza e in particolare ne ha più di 13 anni, il 72,5% dei primi e il 71,4% dei secondi. Situazione analoga si rileva per i Centri antiviolenza (98,8% dei promotori privati e 98,7% dei gestori privati hanno più di cinque anni di esperienza in materia di violenza contro le donne).

L’elevata specializzazione emerge anche considerando l’attività principale dell’ente promotore o gestore. Nelle Case rifugio il 50,0% dei promotori privati e il 50,0% degli enti gestori privati si occupa esclusivamente di violenza di genere (nel 2019 erano rispettivamente il 47,4% e 48,1%). Nei CAV le percentuali di promotori e gestori che si occupano esclusivamente di contrasto alla violenza di genere sono ancora più alte: 58,1% dei promotori e 56,1% dei gestori. Nei restanti casi, il 41,9% dei promotori e il 43,9% dei gestori sono attivi anche su altri temi.

In aumento le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza. Considerando le donne che hanno trovato ascolto, servizi, accompagnamento e protezione presso i Centri antiviolenza e le Case rifugio operanti sul territorio italiano, è elevato il numero di chi ha intrapreso il percorso di uscita dalla violenza, dal primo contatto con il CAV fino all’accoglienza in CR.

Nel 2020, 54.609 donne hanno contattato almeno una volta i Centri antiviolenza, in aumento di 3.964 unità rispetto al 2019. Sono 30.359 le donne che risultano avere avviato un percorso di uscita con i Centri antiviolenza, 20.223 delle quali nel 2020, il 66,1% del totale delle donne prese in carico (nel 2019 era 69,1%). La percentuale di donne straniere in carico è del 27,7% (un dato costante rispetto al 2019, quando era pari al 28,0%).

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Le restrizioni dovute alla pandemia hanno portato invece a una diminuzione delle donne ospitate presso le Case rifugio nel 2020, imputabile sia a una capienza ridotta delle strutture in ottemperanza alle nuove regole per la sicurezza sanitaria e sia a una maggiore difficoltà di allontanare la donna dal nucleo originale. Le donne ospitate (1.772) sono circa il 19,2% in meno rispetto al 2019; il trend precedente il periodo della pandemia era invece in crescita (da 1.786 nel 2017, primo anno di rilevazione, fino a 2.193 nel 2019). Nel corso del 2020 sono state accolte 1.254 donne (1.763 nel 2019 e 1.565 nel 2018), in particolare 75 hanno dichiarato che la violenza si è manifestata in seguito all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.

La situazione è diversificata a livello territoriale. Il calo maggiore si ha nel Nord-ovest (-37,8%) e nel Centro (-27,7%). Anche il Nord-est (fatta eccezione per la Provincia autonoma di Trento) mostra un importante calo di donne accolte (-26,1%), malgrado l’aumento delle Case rifugio (da 85 del 2019 a 91 del 2020). Solo in Abruzzo, Molise, Calabria e Provincia autonoma di Trento si osserva una crescita nel numero di donne accolte a fronte di un numero di Case rifugio rimasto inalterato o cresciuto di poche unità rispetto al 2019. La quota di straniere tra quelle ospitate in Casa rifugio rimane alta, il 67% nel 2020 dal 65% nel 2019.

Ancora insufficiente il numero di posti letto. Nel 2020, le 242 Case rifugio rilevate sul territorio hanno, in media, 7,6 posti letto autorizzati (7,7 nel 2019) mentre sono 8,8 quelli effettivamente attivati (9,4 nel 2019).

Nonostante la flessione del numero di donne accolte nel corso del 2020, i posti letto autorizzati non sono ancora sufficienti a soddisfare la domanda di ospitalità; per questo motivo le Case rifugio si trovano costrette ad aumentare l’offerta attivando, laddove è possibile, nuovi posti letto. Il numero medio di posti letto effettivamente attivati è, per esempio, più del doppio degli autorizzati in Umbria (da 14 a 34), decisamente maggiore nella Provincia autonoma di Bolzano (da 12 a 21,2 letti utilizzati) e in Campania (da 5,9 a 9,1 letti effettivamente attivati in media).

Le donne restano nella Casa rifugio in media 137 giorni (127 nel 2019); l’unica area in cui si registra una riduzione del tempo di permanenza è il Nord-ovest (da 150 a 145 giorni) mentre il Nord-est registra la crescita più pronunciata (da 109 a 137). Il valore più basso di permanenza si rileva in Calabria (67 notti), quello più alto in Toscana (184 notti).

Attività di Case rifugio e Centri antiviolenza: non solo accoglienza delle donne. L’attività dei Centri non si rivolge solamente alle donne che li contattano o che sono prese in carico per un percorso individualizzato di uscita dalla violenza, ma svolge un ruolo chiave nella prevenzione e nella formazione del territorio di loro competenza.

L’attività di formazione verso soggetti esterni viene realizzata dal 61,2% dei Centri, con valori massimi nel Nord-est (75%) e al Centro (69,8%). Gli operatori sociali rappresentano il target principale dell’attività formativa: il 64,6% dei CAV che fanno formazione all’esterno ha rivolto proprio a loro la formazione.

Quasi tutti i Centri organizzano iniziative culturali di prevenzione, pubblicizzazione e sensibilizzazione sul fenomeno della violenza contro le donne (96,2%) e laboratori e corsi di sensibilizzazione aperti a tutta la popolazione (36,5%). I Centri fanno anche attività di formazione/informazione presso le scuole (66,2%), un dato questo naturalmente in forte diminuzione rispetto al 2019 (89,3%), come conseguenza delle misure restrittive e dei lunghi periodi di didattica a distanza durante il periodo della pandemia.

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La formazione punto di forza di CAV e Case rifugio. Per rispondere alle esigenze delle donne che cercano aiuto per uscire dalla loro storia di violenza sono impegnate in totale 2.421 operatrici presso le Case rifugio e 4.393 presso i Centri antiviolenza. In particolare nei Centri antiviolenza è forte il contributo delle volontarie, pari al 49,3% del totale del personale, valore che scende al 30,8% nelle Case rifugio. L’apporto minimo di lavoro prestato dal personale in forma esclusivamente volontaria si registra al Sud per i Centri antiviolenza (27%) e nel Nord-ovest per le Case rifugio (27,2%).

Un indicatore di qualità del lavoro svolto da Centri antiviolenza e Case rifugio riguarda la formazione erogata alle operatrici che vi lavorano. Il 78,3% dei Centri e l’86,4% delle Case garantisce una formazione obbligatoria alle operatrici, con il valore più alto rilevato nel Nord-est, sia tra i Centri antiviolenza del (96,7%) sia tra le Case rifugio (92,3%).

In crescita le chiamate al 1522 nel 2021. Nel 2021 prosegue l’incremento del numero di chiamate valide al 15221 (36.036), che sono il 13,7% in più dell’anno precedente (31.688). Da considerare che nel 2020, anche a causa del periodo di lockdown, si è registrato un boom di chiamate valide tale da determinare un incremento del 48,8% rispetto al 2019.

In aumento anche le chiamate da vittime (16.272, +3,6% sul 2020). I motivi principali di chiamata sono le richieste di aiuto da parte delle vittime della violenza (32,7%), le richieste di informazioni sui Centri antiviolenza (14,4%) e sul 1522 (26%). Queste ultime sono in deciso aumento nel 2021 (+6,4%) mentre diminuiscono le chiamate per richiesta di aiuto da parte delle vittime (-4%) e le richieste di informazioni sui Centri antiviolenza (-1,2%).

Il servizio del 1522 ha un ruolo importante sia come supporto diretto per le vittime della violenza e dello stalking e sia per le persone coinvolte indirettamente; costituisce infatti una delle principali fonti di informazione per gli operatori sociali, parenti, conoscenti, ambiti sociali, lavorativi e scolastici che si trovano coinvolti in tali problematiche. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 si registra un lieve aumento della percentuale di chiamate ad opera di parenti, amici e conoscenti e di altri operatori. Tra gli operatori aumentano le chiamate da parte delle forze dell’ordine (+11,5%) e dei servizi scolastici (+1,6%).

Il 64,4% delle chiamate da parte delle forze dell’ordine è per richieste di informazioni sul servizio 1522 o sui Centri antiviolenza, il 22,8% per segnalare un caso di violenza. I contatti da parte di strutture scolastiche sono quasi esclusivamente per segnalazioni di casi di violenza.

Il servizio 1522 svolge anche un’importante funzione di snodo a livello territoriale per l’attivazione di servizi a supporto delle vittime che vi si rivolgono. Nel 2021, il 68,7% delle vittime è stato indirizzato verso un servizio territoriale di supporto. Di queste, il 90,1% (pari a 10.074 chiamate) è stato inviato a un CAV, il 4,4% (492) alle forze dell’ordine (Carabinieri o Commissariato di Polizia) e l’1,7% (190) alle Case rifugio.