Velo islamico: La posizione dell’UE.

Lo scorso mese di gennaio la storia dell’iraniana Shohreh Bayat, arbitro di scacchi, aveva richiamato con forza il tema della libertà delle donne.

La Bayat, rea di non aver indossato il tradizionale velo islamico (hijab) durante una prestigiosa gara mondiale di scacchi, aveva innescato la polemica nella Repubblica Islamica dell’Iran, portando la stessa Bayat a temere per il rientro in patria. 

In quella occasione l’iraniana aveva dichiarato che “le donne dovrebbero avere il diritto di decidere cosa indossare e non essere obbligate”.

In una recente interrogazione l’eurodeputata Silvia Sardone del gruppo Identità e Democrazia, ha ricordato che “mesi fa un avvocatessa iraniana, attivista per i diritti delle donne, è stata condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate. Colpevole di cosa? Di aver assunto la difesa legale di alcune donne arrestate perché avevano manifestato pubblicamente contro l’obbligo del velo. In Iran ma anche in altri paesi di fede musulmana si moltiplicano gli episodi di donne che, decidendo di non mettersi il velo, rischiano il carcere e pesanti punizioni”.

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L’esponente del gruppo ID ha chiesto alla Commissione di esprimere la propria posizione sul velo islamico e sulle persecuzioni delle donne in Paesi come l’Iran dove le donne finiscono in carcere se osano togliersi il velo o manifestare contro questa forma di sottomissione.

A nome della Commissione europea è intervenuto il Commissario alla Giustizia, Didier Reynders: “Il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione è tutelato dall’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la Commissione si impegna a garantirne il rispetto nell’ambito delle competenze dell’Unione. In particolare, le norme dell’UE affrontano le diverse forme e manifestazioni di razzismo e intolleranza, compresi i reati generati dall’odio e l’incitamento all’odio fondati sulla religione. L’acquis dell’UE in materia di asilo garantisce che le persone che subiscono persecuzioni per motivi religiosi nel paese di origine ricevano un’opportuna protezione internazionale.

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“L’Unione europea – ha proseguito il Commissario – tuttavia non ha competenze generali per legiferare in materia di indumenti religiosi. A tale riguardo spetta agli Stati membri garantire il rispetto dei propri obblighi in materia di diritti fondamentali, derivanti dalla legislazione nazionale e dagli accordi internazionali. Gli orientamenti dell’UE sulla promozione e la tutela della libertà di religione o di credo mostrano l’impegno dell’Unione europea a portare avanti tale libertà fondamentale nella sua azione esterna, anche attraverso il dialogo politico e i suoi strumenti finanziari”.

“Il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione è stato indicato come una priorità dello strumento
europeo per la democrazia e i diritti umani. In linea con gli orientamenti dell’UE, l’Unione europea presta particolare attenzione alle pratiche e alle normative discriminatorie nei confronti delle donne, basate sulla religione o sul credo, compresa la coercizione connessa all’uso di simboli religiosi”.

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“Il piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi sottolinea inoltre che l’UE si basa su valori fondamentali, compresi i diritti di importanza cruciale per il processo di integrazione, come la libertà di espressione, di pensiero e di culto, nonché la parità e la non discriminazione”, ha concluso il rappresentante della Commissione von der Leyen.

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