Università, Foad Aodi: “No all’abolizione totale del numero chiuso alle Facoltà di Medicina”.

Nell’ottica di una indispensabile crescita della professione medica in Italia, l’Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, e del Movimento internazionale transculturale interprofessionale Uniti per Unire, ha espresso la propria contrarietà all’abolizione totale del numero chiuso alle Facoltà di Medicina e Chirurgia in Italia.

“Occorre agevolare i test di ammissione ma anche creare un percorso idoneo che possa consentire ai nostri migliori studenti, con i voti più alti alle superiori, di diventare consapevoli e convinti di voler intraprendere il percorso di medicina o altre facoltà similari. Solo così – spiegano le 2 sigle – non perderemo i potenziali professionisti sanitari migliori del futuro e li metteremo nella condizione di esprimere al meglio le proprie potenzialità”.

Considerati i costi elevati sostenuti dallo Stato per la formazione di uno studente che diventerà un giovane medico, lo Stato, quindi, dovrebbe cercare un solido equilibrio per sopperire alla carenza di personale, ma anche di non creare l’effetto opposto, ovvero avere un surplus di medici, che si ritroverebbero senza uno sbocco professionale e che fuggirebbero di conseguenza all’estero.

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“Allo stesso modo – proseguono – occorre combattere il rischio di abbandono nel primo o nel secondo anno del percorso universitario. Le nostre indagini, attraverso i nostri esperti in 120 Paesi nel mondo, ci indicano che è in aumento, infatti, la percentuale mondiale dell’abbandono dopo il primo anno (il 25%) e sono in calo le immatricolazioni alle lauree scientifiche (- 30%). Non dimentichiamo il vistoso calo del 50% degli studenti stranieri che arrivano in Italia. Si prediligono le facoltà letterarie, quelle legate all’arte, al turismo, alla gastronomia, alla tecnologia, laddove gli studenti pensano di trovare maggiori sbocchi lavorativi”.

Fughe all’estero, dimissioni volontarie, salari poco dignitosi, ancora, dimostrano la palese perdita di appeal da parte dei giovani verso le professioni sanitarie: “Occorrono percorsi di accesso alla laurea trasparenti, occorre formare i professionisti sanitari del futuro sin dalle superiori con percorsi specializzati. Per questa ragione noi di Amsi pensiamo che alla base potrebbe essere possibile addirittura una riforma scolastica finalizzata a supportare il rilancio della nostra sanità, aumentando di un anno o addirittura due le scuole medie, per avviare percorsi specialistici con materie quali biologia, fisica, chimica e altri percorsi scientifici, diminuendo le superiori ad una durata di 3 anni (un esperimento che già funziona in alcuni paesi), sempre ampliando la parte scientifica, per consentire agli studenti una formazione adeguata a superare i test di ammissione a medicina e alle altre facoltà legate alle professioni sanitarie, ripetiamo privilegiando sempre chi ha i voti più alti e magari, dal punto di vista familiare, non ha la possibilità di sostenere un percorso di studi anche se pubblico. Allo stesso modo – ricordano – dobbiamo aprire maggiormente le porte delle nostre università agli studenti di origine straniera, agevolando il loro percorso di studi, dal momento che anche loro possono essere la risorsa del domani. Ad esempio non eccedere nelle domande sulla cultura italiana e sulla storia della sanità italiana potrebbe essere una soluzione per chi, ad esempio, è in Italia da pochi mesi”.

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Eliminare i test di ammissione a medicina, quindi, potrebbe voler dire finire con il creare squilibrio con quello che è il fabbisogno reale di professionisti specializzati per i prossimi 10 anni, creando un problema di sovraffollamento che non sarebbe facile da gestire.

Sei anni di laurea e quattro anni di specializzazione, per i rappresentanti delle due sigle, sono un percorso impegnativo e occorre formare e sostenere chi dimostra davvero dalle medie e dalle superiori la giusta predisposizione, coltivando e facendo maturare l’interesse di chi lo possiede davvero. “Eliminare i testi di ammissione di medicina potrebbe voler dire avere studenti che apprendono la professione sui libri ma non hanno poi accesso, tutti, a tirocini, altrettanto fondamentali. Non dimentichiamo che il Governo e il Ministero della Salute devono incentivare quelle specializzazioni dove oggi abbiamo maggiori carenze, come pronto soccorso, chirurgia generale, ortopedia, chirurgia plastica, neonatologia, ginecologia, pediatria, fisiatria, geriatria e pneumologia”.

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