“Una Magica Vita”, il volume fotografico di Mauro Liggi dedicato al Circo Paniko.

Mauro Liggi 40 anni, fotografo, medico e poeta approda con nelle librerie con “Una Magica Vita”, volume fotografico edito da Susil Edizioni dedicato al circo Paniko. Composto da artisti, performer, teatranti, musicisti Paniko è un circo contemporaneo nel quale non vi sono animali in gabbia o domatori. A questa realtà creativa e non conforme Mauro Liggi ha dedicato un progetto fotografico dall’intento sia  narrativo che sociale. Lo abbiamo incontrato per conoscere più da vicino l’origine e lo sviluppo di  “Una Magica Vita” .

Mauro come nasce l’idea di realizzare “Una Magica Vita”? 

Mi ha sempre affascinato la vita del circo. Avevo già in mente un progetto in cui potessi raccontare questa realtà ma non trovavo un ambiente che corrispondesse alla mia sensibilità umana e artistica. Non mi interessavano gli animali in gabbia e ammaestrati, non riesco a fotografare qualcosa in cui non possa umanamente immergermi. Avevo visto e mi ero innamorato dei lavori sul circo di Mary Ellen Mark e Bruce Davidson. Pochi giorni dopo è sbarcato a Cagliari il Circo Paniko, un circo teatro viaggiante, un collettivo di artisti, con caratteristiche uniche. Ho subito capito che quello era ciò che cercavo.

Come è stato percorrere un tratto di strada insieme agli artisti del Circo Paniko?

E’ stato un percorso umanamente fantastico. Mi sono immediatamente innamorato ed interiormente coinvolto da un’atmosfera e una vita senza tempo, difficile ma gioiosa, solitaria ma di gruppo, felliniana, magica, libera. Ecco forse la cosa più bella è stato condividere un’idea di libertà ormai dimenticata, sentirmi accolto. Non smetterò mai di ringraziarli. Oltre ad essere artisti fantastici sono persone davvero splendide con cui sono entrato subito in sintonia.   

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Fotograficamente quanto è  difficile catturare l’atmosfera circense?

Il mio libro è nato per documentare la vita dietro e oltre il tendone. Credo che l’atmosfera circense si respiri meglio nelle foto del quotidiano, nei camper, in cucina, nei prati, nei panni stesi, nelle notti fredde, nei cani al sole, nei bambini che giocano. Quello era il mio circo. In scena è stato facile perché era semplicemente un prolungamento di quella vita che potevo scorgere durante lo spettacolo da un’altra prospettiva, l’unica difficoltà era tecnica dovuta alla gestione della luce.

Il tuo è un racconto fotografico che un artista fa di altri artisti. Nel realizzare gli scatti ti sei mai confrontato con loro?

No mai, forse perché non mi sento un artista. Racconto storie o almeno ci provo. Non ci sono foto in posa. Non era quello che cercavo e non ne scatto mai. Tutti i membri del collettivo avevano ovviamente una sensibilità artistica, anche fotografica, ma mi hanno lascito completa libertà nel raccontarli senza filtri. E’ stato un dono. Immenso.

C’è un’immagine del progetto alla quale sei particolarmente legato?

Non saprei scegliere, davvero. E’ stato uno scambio tra me e loro, o meglio, tra noi. Certo alle foto dei bambini sono molto legato. Un po’ perché colgono un aspetto di quella vita cui accennavo, un po’ perché li ho conosciuti, ho giocato con loro, ci siamo fidati l’uno dell’altro fino al punto di considerare la macchina fotografica un oggetto invisibile, ma anche perché poter fotografare i visi, gli occhi, le loro espressioni è una possibilità che purtroppo non ci viene più offerta. Tra 50 anni quando qualcuno vedrà le foto di questi anni, non troverà un bambino, saremo un mondo senza figli, senza quella speranza, gioia, tenerezza, spontaneità. E proprio adesso ce ne sarebbe davvero bisogno.

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Da fotografo e poeta quale sei, ti capita mai di scattare con l’occhio del poeta più che con quello del fotografo?

Credo che siano semplicemente due linguaggi con cui riesco ad esprimermi. In ogni foto come ogni poesia ci sono i libri che ho letto, la musica che ascolto, il mio passato, il mio presente, i sogni le paure, la mia vita. Sono entrambi forme di autoritratto che hanno per immagine me nel mondo e il mondo in me. Con la fotografia rispetto alla poesia mi piace raccontare, creare storie, documentare, vivere gli altri, la strada, conoscere esperienze, persone, luoghi, viverli, farli miei, entrarci dentro.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Intanto ho deciso che d’ora in avanti i proventi delle vendite di “Una magica vita” andranno ad associazioni che si occupano di cittadinanza, cultura, integrazione, sostegno alla povertà, accoglienza. Ho iniziato con l’Associazione Efys Onlus di Cagliari e dal mese di febbraio proseguirò con l’associazione Gli Equilibristi di San Giovanni Suergiu.

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Nel mentre sto lavorando all’apertura del primo circolo Fiaf (Federazione Italiana Associazioni fotografiche) in città che possa fungere da riferimento per fotografi isolani, con iniziative fotografiche a cui dare fiato e gambe. 

Il prossimo progetto è un reportage su un quartiere di Cagliari di cui mi sono innamorato. Ormai ci lavoro da circa tre anni, sto ultimando l’editing ma diventerà presto qualcosa di più grande che possa interpellare l’intera comunità  e contribuire a raccontare la vita del quartiere non solo con dal mio punto di vista.  Vorrai diventasse il mio secondo libro fotografico. Altri progetti sono bloccati a causa della pandemia e spero poterli iniziare al più presto. Ho avuto molto tempo per studiare e completare la ricerca iconografica e sono pronto a partire. Il primo a partire sarà sicuramente un progetto molto difficile umanamente e avrà bisogno di tempo soprattutto per tutte quella fasi che precedono uno scatto quando sono coinvolte in modo così dirompente le vite delle persone in una fase difficile della loro vita.

In autunno uscirà la mia prima raccolta di poesie. Ho già pronta la seconda ma vorrei strutturarla in modo un po’ particolare con il contributo di altri artisti sardi. Insomma un lavoro a più mani, nella mia convinzione che mischiare forme espressive e linguaggi è quanto di più bello e stimolante possa esserci per chi ci lavora e per chi ne usufruirà.

Foto Credits Susil Edizioni