Terzo settore, l’accesso al credito non decolla nel Sud Italia.

E’ in buona salute il terzo settore in Italia? Secondo il rapporto presentato da Banca Etica alla Camera dei Deputati sembrerebbe proprio di sì. Attraverso l’operato di circa 360mila organizzazioni con oltre 860 mila dipendenti e 5 milioni di volontari, il settore si è dimostrato, prima, durante e dopo la pandemia, un pilastro essenziale del welfare e della coesione sociale in Italia, nonché del lavoro.

Tra il 2011 e il 2019, periodo in cui l’occupazione nel Terzo Settore è aumentata dieci volte di più che negli altri comparti, il 27,6% della crescita occupazionale in Italia è stata generata dal non profit, che, va evidenziato, impiega soprattutto giovani e donne (il 72% della forza lavoro).

Diverse per natura giuridica, oggetto sociale e dimensioni, le organizzazioni del Terzo Settore per un 10% sono professionalizzate, applicando modalità operative che mutuano dinamiche d’impresa (management, marketing, ecc.); il restante 90% si fonda su pratiche di volontariato, ovvero piccoli gruppi legati alle realtà locali di provenienza, con una gestione informale e bilanci basati sull’autofinanziamento e limitati contributi pubblici. Motivo per cui la crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 ha determinato per molti enti un calo della partecipazione e del sostegno economico superiore al 2% (fonte Istat BES, 2021).

Guardando gli ultimi dati Istat disponibili sui bilanci delle organizzazioni del Terzo Settore (2015), e pur considerando le forti differenze tra enti, la prima voce per le entrate è rappresentata dai contributi pubblici (28,6%); seguono quelli annui degli aderenti (27,3%) e i proventi dalla vendita di beni e servizi (22,9%). In misura minore i proventi dalla gestione finanziaria (8%). Netta, inoltre, la sperequazione tra distribuzione delle organizzazioni e volumi delle entrate nelle diverse aree del Paese: le regioni del Nord-Ovest ospitano il 27% delle organizzazioni, le quali beneficiano del 35% delle entrate complessive, al Centro queste percentuali diventano 22% e 33,6%, al Sud si passa al 17% di enti che gode appena del 7% delle entrate.

L’accesso al credito – soprattutto al Sud – non decolla. Poche risorse per alcuni, quindi, in un comparto noto per la bassa patrimonializzazione media, rendono perciò l’accesso al credito un fattore determinante di sviluppo e sopravvivenza. E per questo motivo il rapporto sottolinea i dati di Banca d’Italia  secondo cui a fine 2019 gli enti di Terzo Settore affidati (cioè che avevano ricevuto un credito da una banca) erano solo 17.452, poco più del 2% delle 862 mila istituzioni non profit censite in quell’anno dall’Istat. A fine 2021 il numero di istituzioni affidate è salito di poco, fino a 18.384 unità, conservando inoltre gli aspetti di distribuzione diseguale già osservati: il Mezzogiorno ospita infatti meno del 15% delle realtà che usufruiscono di un credito in banca. Ma a farsi notare è innanzitutto il numero assoluto limitato di soggetti affidati, che si traduce pure in un confronto di percentuali svantaggioso rispetto ai soggetti profit. Questi ultimi nell’ultimo quinquennio hanno visto una crescita degli impieghi dell’8,5%, quando verso il Terzo Settore si registrava un calo del 5,7%. Tra settembre 2020 e 2021 la tendenza é lievemente mutata, benché la crescita del credito utilizzato dal non profit (+6,1%) non eguagli comunque il dato (+10%) delle imprese profit.

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Siamo così di fronte a una specie di anomalia, se si pensa che il settore non profit mostra tassi di deterioramento del credito (cioè difficoltà nel pagamento delle rate dei prestiti ricevuti) minori rispetto alle imprese profit. I dati a fine 2021 mostravano infatti un tasso di crediti deteriorati dell’1,2% per il Terzo Settore, a fronte dell’1,8% delle società profit non operanti nel settore finanziario.

Gap che il gruppo bancario ha parzialmente colmato: il 19,7% degli impieghi di Banca Etica è infatti arrivato a clienti residenti nelle 6 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna) con oltre un terzo della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, a fronte del 13,1% del sistema bancario italiano nel suo complesso.

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Una legge giovane, un registro da digerire. In Italia quale rapporto esiste tra Istituzioni ed enti non profit (associazioni, fondazioni, imprese sociali…?) e quali opportunità gli si offrono? Il rapporto mette in luce in primis il valore della legge delega 106/2016, seguita da molti decreti attuativi, la cosiddetta “riforma del Terzo Settore” che ha costituito un intervento legislativo importante per il riconoscimento del ruolo del comparto e l’armonizzazione delle tante norme precedenti. Rimangono però le attese sull’attuazione di alcuni punti strategici, a cominciare dal tema della co-programmazione e della co-progettazione con la Pubblica Amministrazione. E si registra che un elemento cardine della riforma, l’istituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), a giugno 2022 contava tra gli iscritti meno del 10% degli enti, con una differenza netta di adesioni tra enti medi e grandi da un lato e piccoli dall’altro. Un dato, questo, che rende concreto il rischio futuro di un “doppio standard” tra soggetti iscritti e non iscritti sul piano dell’accesso a bandi e contributi.

L’indagine, infine, accende un faro sulle opportunità di crescita che lo scenario odierno offre al non profit. A quanto emerge dalle interviste e dai questionari, è infatti il PNRR ad essere percepito come un’occasione da non perdere. D’altra parte, mentre la realizzazione dei bandi è ancora in corso, proprio le differenze di competenza e risorse tra i soggetti potrebbe produrre disuguaglianze nell’accesso ai fondi e nello sviluppo di  iniziative. I soggetti (pubbliche amministrazioni ed enti privati) dotati di un’expertise maggiore avranno probabilmente un vantaggio, con la conseguenza di rafforzare aree ed ambiti già di per sé “forti” a scapito di chi avrebbe magari buone pratiche e radicamento territoriale ma non possiede infrastrutture progettuali adeguate. 

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E anche rispetto ai contributi del 5 per mille, strumento di partecipazione diretta che permette ai contribuenti di destinare una quota dell’IRPEF alle organizzazioni, il rapporto riprende quanto Banca Etica ha già evidenziato in precedenti studi dedicati a questa misura. Le erogazioni complessive relative al 5 per mille per il 2021 saranno pari a 506,9 milioni di euro (-2,2% sul 2020) indirizzati da 13,9 milioni di contribuenti su 72.550 organizzazioni non profit(+5,2% sul 2020). Ma due sono i fenomeni osservati, la polarizzazione e la frammentazione: 5 regioni (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto) assorbono il 74% delle risorse disponibili tramite il 5 per mille, e le prime 100 organizzazioni (lo 0,15% del totale) capitalizza quasi il 47% della raccolta dei fondi (oltre il 27% va alle sole prime 10). Mentre il 92% delle organizzazioni raccoglie meno di 10mila euro ciascuna. 

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