Strutture socio-assistenziali e sanitarie. Persiste il divario Nord-Sud nel Paese.
Persiste il divario Nord-Sud nell’offerta di presidi residenziali. Al 1° gennaio 2022, rileva l’Istat, i presidi residenziali attivi nel nostro Paese sono 12.576 mentre l’offerta è di circa 414mila posti letto, sette ogni 1.000 persone residenti.
A livello territoriale, l’offerta è maggiore nel Nord-est con 10 posti letto ogni 1.000 residenti, nel Sud del Paese è invece poco al di sopra di tre posti letto ogni 1.000 residenti e copre solo l’11% dei posti letto complessivi.
Gli ospiti ammontano a 356.556, dei quali oltre tre su quattro sono anziani, con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente, confermando una inversione di tendenza verso i valori rilevati negli anni precedenti il Covid-19.
Il 75% degli ospiti è ultra-sessantacinquenne, il 20% ha un’età tra i 18 e 64 anni e il restante 5% è composto da minori.
Più di tre posti letto su quattro destinati ad assistenza socio-sanitaria. Delle oltre 15mila unità di servizio quelle che erogano assistenza socio-sanitaria sono 8.937, per un ammontare di circa 321mila posti letto (il 77,5% dei posti letto complessivi). L’offerta residenziale si riduce sensibilmente per le unità di servizio che svolgono soprattutto funzione di tipo
socio-assistenziale: le unità così classificate ammontano a 6.318 e dispongono in totale di 93.112 posti letto (il 22,5% dei posti letto complessivi).
Le unità di servizio socio-sanitarie assistono prevalentemente utenti anziani non autosufficienti, destinando a questi ospiti il 75% dei posti letto disponibili, mentre agli anziani autosufficienti e alle persone con disabilità ne vengono destinati, rispettivamente, il 9% e il 7%.
Le unità di tipo socio-assistenziale sono prevalentemente orientate a fornire accoglienza e tutela a persone con varie forme di disagio. In particolare, il 41% dei posti letto è indirizzato all’accoglienza abitativa e il 40% è dedicato alla funzione socio-educativa e ospita principalmente minori di 18 anni. Le unità che assolvono in prevalenza una funzione tutelare – volta a supportare l’autonomia dei propri ospiti (anziani, adulti con disagio sociale, minori) all’interno di contesti protetti – assorbono il 14% dei posti letto.
L’offerta residenziale sul territorio è molto differenziata rispetto alle categorie di utenti assistite. Nelle regioni del Nord prevale la concentrazione di servizi rivolti agli anziani non autosufficienti (69,9% nel Nord ovest e 73,8% nel Nord est), il doppio rispetto al Mezzogiorno. Il Centro copre una quota maggiore, rispetto al dato nazionale, di posti letto dedicati agli anziani autosufficienti e agli adulti con disagio sociale. Al Sud, invece, si trova una percentuale più alta di posti letto dedicati alle persone con disabilità, alle persone con patologie psichiatriche e agli anziani autosufficienti. Nelle Isole, infine, si riscontra un livello di offerta rivolta prevalentemente a minori e a persone con patologie psichiatriche, pari al doppio rispetto alla media nazionale e agli stranieri/immigrati (4,4% sei volte maggiore rispetto alla media), ma anche agli adulti con disagio sociale.
Strutture residenziali gestite in maggioranza da enti non profit. La titolarità delle strutture, rilevano dall’Istat, è in carico ad enti non profit nel 45% dei casi, a seguire ad enti privati (circa il 24%), ad enti pubblici (19%) e ad enti religiosi (12%).
Nell’88% delle residenze i titolari gestiscono direttamente il presidio, nel 10% i titolari danno in gestione le loro strutture ad altri enti, nei restanti casi (2%) il presidio viene gestito in forma mista.
La gestione dei presidi residenziali è affidata prevalentemente a organismi di natura privata (75% dei casi), soprattutto di tipo non profit (51%); il 12% delle residenze è gestita da enti di natura religiosa e circa il 13% dal settore pubblico.
Le modalità di gestione si diversificano sul territorio, soprattutto nelle strutture pubbliche.
Al Nord, sette strutture pubbliche su 10 sono gestite direttamente o indirettamente da enti pubblici, mentre nel 6% dei casi sono gestite da enti non profit. La percentuale di strutture pubbliche gestite da enti non profit aumenta considerevolmente al Centro e nel Mezzogiorno (in entrambi i casi il 38% delle strutture presenti su quel territorio).
Non si riscontrano differenze territoriali per le strutture che hanno un altro ente titolare (privato for profit e non profit oppure ente religioso). In questi casi la gestione prevalente è quella diretta o quella affidata ad enti con la stessa natura giuridica.
Composto soprattutto da volontari il personale delle strutture residenziali. Nel 2021 sono occupate nei presidi residenziali 376.941 unità di personale, di cui 31.530 volontari e 4.044 operatori di servizio civile. L’11% del personale è composto da cittadini stranieri, in due casi su tre con cittadinanza extraeuropea. La distribuzione di personale non italiano varia considerevolmente a livello territoriale; se nel Nord-ovest e nel Nord-est si concentra rispettivamente il 15% e l’11% del personale straniero, nel Mezzogiorno e nelle Isole la presenza straniera sfiora appena il 2%. Nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen si riscontra la più alta presenza di personale non italiano (quasi il 30%).
Per quanto riguardo il personale retribuito, le principali figure professionali occupate nelle strutture residenziali si concentrano in ambito sanitario, circa 195mila sono rappresentate da tre professioni: operatori socio-sanitari (34,6%), infermieri e addetti all’assistenza alla persona (entrambi all’11%). Anche gli operatori del servizio civile e i volontari lavorano prevalentemente all’interno dell’ambito socio sanitario, rispettivamente nel 79% e nel 77% dei casi, con punte che sfiorano il 90% nel Nord-est del Paese.
Le strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie si distinguono anche per la varietà delle figure professionali presenti. Nell’82% delle strutture socio-assistenziali e nel 55% delle strutture socio-sanitarie si osservano fino a cinque figure professionali diverse. Nelle strutture socio-sanitarie aumentano, inoltre, le tipologie di professionalità presenti, con il 45% di strutture che hanno da sei a 15 figure diverse.
Le principali figure professionali di queste due tipologie di strutture sono: l’educatore (presente nel 24% delle socio-assistenziali e nel 5% delle sanitarie), l’infermiere (rispettivamente 4% e 13%) e l’operatore socio-sanitario (rispettivamente 21% e 37%).
Per quel che riguarda il tempo di lavoro emerge chiaramente che nella residenzialità si presenta un uso molto elevato dell’impiego part- time. È occupato con un regime orario ridotto il 41% dei dipendenti retribuiti, di cui ben il 17% con un impegno orario al di sotto del 50% rispetto al tempo pieno. L’utilizzo del tempo ridotto varia molto in base alla figura professionale: infatti risulta minimo per le professioni sanitarie (27% degli operatori sanitari, 32% di infermieri e addetti all’assistenza alla persona) mentre è molto elevato tra i medici, gli psicologi e i mediatori culturali, tra cui arriva a sfiorare quasi l’80% di impiegati part time.
Gli anziani nelle strutture: due su tre ultra-ottantenni, in prevalenza donne. In Italia sono oltre 267mila gli anziani di 65 anni e più ospiti delle strutture residenziali, quasi 19 anziani per 1.000 anziani residenti, di questi oltre 15 sono in condizione di non autosufficienza (215.449 anziani non autosufficienti).
La componente femminile prevale nettamente su quella maschile: su quattro ospiti anziani, tre sono donne.
Su oltre tre quarti degli anziani assistiti nelle strutture residenziali, il 77%, ha superato la soglia degli 80 anni di età, quota che sale al 78% per i non autosufficienti.
Gli ultra-ottantenni costituiscono quindi la quota preponderante degli ospiti anziani, con un tasso di ricovero pari a 66 ospiti per 1.000 residenti, oltre 15 volte superiore a quello registrato per gli anziani con meno di 75 anni di età, per i quali il tasso si riduce a 4,4 ricoverati per 1.000 residenti.
Con disabilità più di due su tre ospiti adulti. Gli adulti di età compresa tra i 18 e i 64 anni ospiti dei presidi residenziali sono circa 70mila, due ogni 1.000 residenti. Il tasso di ricovero è più alto nelle regioni del Nord-est (2,3 adulti ogni 1.000 residenti) e si riduce nel Sud del Paese con 1,3 ospiti per 1.000 residenti. La Provincia Autonoma di Trento e la Liguria ospitano la più alta quota di adulti (rispettivamente 5,7 e 3,8 per 1.000) mentre la Campania registra il tasso più basso, uno per 1.000.
La più alta concentrazione di ospiti è nella classe 45-64 anni, oltre 40.000 utenti, seguita dalla classe 25-44 con più di 22.000 utenti.
Tra gli ospiti adulti prevalgono gli uomini (poco più di 44mila) il 63% del totale, (2,5 ogni 1.000 uomini residenti) mentre le donne sono quasi 26mila, il 37% (1,4 ogni 1.000 residenti).
Il disagio più frequente tra gli uomini è la presenza di disabilità o di patologie psichiatriche (66% degli ospiti), non trascurabile anche la presenza di dipendenze come alcolismo/tossicodipendenza (circa il 15% dell’utenza di sesso maschile). Anche per la maggior parte delle donne (75%) la disabilità o le patologie psichiatriche costituiscono il disagio prevalente mentre per il 7% si tratta di gestanti o madri maggiorenni con figli a carico. Le donne vittime di violenza sono poco più di 600 e rappresentano circa il 2,5% del totale delle utenti dei presidi.
Tra gli ospiti adulti accolti nei presidi, quasi 9mila (il 13%) sono stranieri. La quota più alta (28%) risiede nelle residenze del Nord-est, percentuale che si riduce gradualmente man mano che si scende nel Sud Italia dove tocca i valori minimi attestandosi al 14%.
Forti le differenze regionali: la Provincia autonoma di Trento registra i tassi di presenza straniera maggiori, con valori che superano il 20 per 1.000, seguita dalla Sicilia con il nove per 1.000, mentre i valori minimi, inferiori a uno, si registrano in Abruzzo, Veneto e Molise.
Anche per gli stranieri prevale la componente maschile (66%). Tra gli ospiti stranieri di sesso maschile, il 76% è composto da persone senza fissa dimora, nomadi, adulti con difficoltà socio-economiche o immigrati, il 14% presenta una disabilità o una patologia psichiatrica, l’8% ha problemi di dipendenza, il 3% risulta coinvolto in procedure penali.
Tra le donne straniere, il 36% è composto da senza fissa dimora, nomadi, adulte con difficoltà socio-economiche o immigrate, il 33% gestanti o madri maggiorenni con figli a carico, il 14% è in condizione di disabilità e il 12% è vittima di violenza.
Gli ospiti adulti sono accolti prevalentemente in strutture di carattere comunitario: il 92% degli adulti (1,8 adulti ogni 1000 abitanti). Il 63% è assistito in unità di servizio ad integrazione socio-sanitaria, il 19% in unità socio educative e, infine, il 10% in accoglienze prevalentemente abitative.
Gli ospiti minori: due su tre sono maschi. Al 31 dicembre 2021 sono 19.707 gli ospiti minori complessivamente accolti nelle strutture residenziali, il due per mille dell’intera popolazione minorenne in Italia.
Le strutture residenziali ospitano ragazzi con problematiche di varia natura, che provengono da contesti molto diversi: la maggior parte (64%), non presenta specifici problemi di salute, si tratta prevalentemente di minori stranieri privi di una figura parentale di riferimento o di ragazzi allontanati da un nucleo familiare non in grado di assicurare loro cura adeguata. Il 32% degli ospiti invece è composto da giovani con problemi di dipendenza che hanno intrapreso un percorso riabilitativo, mentre la quota residua, il 16% degli ospiti, è costituita da minori con problemi di salute mentale o con disabilità che necessitano di specifiche cure o assistenza.
Qualunque sia il tipo di disagio, la componente femminile risulta più contenuta, due ragazzi accolti su tre sono maschi; tale proporzione, in linea con la composizione per genere dei flussi migratori, aumenta tra i minori stranieri, raggiungendo il 70%.
L’accoglienza dei minori in strutture residenziali risulta più diffusa nei territori in cui è più alto il numero di giovani “stranieri non accompagnati” come accade per esempio in Sicilia e nella provincia autonoma di Trento, dove si registra un tasso di presenza doppio rispetto al dato medio nazionale. Il Sud ha invece la quota più bassa di minori accolti, poco più di un minore per ogni 1.000 residenti nella stessa fascia di età, contro i due del dato medio nazionale. Nelle altre aree del Paese si riscontra una distribuzione dei giovani ospiti abbastanza omogenea.
Gli ospiti con meno di 18 anni sono in prevalenza adolescenti: il 61% ha infatti un’età compresa tra gli 11 e 17 anni; altrettanto cospicua la quota di bambini con meno di 11 anni (39%), più della metà dei quali ha meno di cinque anni (il 22% degli ospiti complessivi).
Un minore su tre accolto per problemi legati al nucleo familiare di origine. Sono molteplici le motivazioni che possono condurre un minore all’interno di una struttura residenziale. Nel 2021 sono poco più di 7mila, il 36%, gli ospiti con meno di 18 anni accolti per problemi economici, incapacità educativa o problemi psico-fisici dei genitori. Una percentuale rilevante (23%) è rappresentata invece da minori accolti con il proprio genitore, è consistente, quasi 3.500 mila unità (16%), anche la quota di ragazzi che entrano in comunità perché stranieri privi di assistenza o rappresentanza da parte di un adulto.
In età avanzata il ricorso alla struttura. L’analisi per classe di età evidenzia come il ricorso all’istituzionalizzazione aumenti all’aumentare dell’età e si concentri prevalentemente in età adulta, infatti, il 65% degli ospiti con disabilità ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni e il 24% tra i 25 e i 44. La quota residuale si equi-distribuisce nelle altre classi di età con percentuali che si aggirano tra il due e il tre per cento.
Questa disomogeneità può essere spiegata da un diverso utilizzo della residenzialità nel corso della vita, infatti nelle fasce di età più giovani essa rappresenta una risposta alla necessità delle famiglie di vivere “periodi di sollievo” dall’attività di cura. Con l’aumentare dell’età delle persone con disabilità, il ricorso ad un’assistenza di tipo residenziale si configura spesso come la sola alternativa, sia ad una rete familiare rarefatta dall’invecchiamento, in cui genitori ormai anziani o deceduti, sono impossibilitati a prendersi cura dell’adulto con disabilità, sia ad una mancanza o insufficienza di servizi territoriali a supporto di un progetto di vita indipendente.