Straordinari svolti e non pagati alle Poste, Movimento ‘Lottiamo Insieme’: “Ecco come richiederli”.

Nonostante sia trascorso oltre un anno da quando le lavoratrici e i lavoratori precari di Poste Italiane, riuniti nel movimento Lottiamo Insieme, sono intervenuti oggi per contestare la diffusa pratica tra i portalettere – assunti con contratto a tempo determinato – di lavorare molte più ore di quanto previsto dal CCNL e dalla legge senza ricevere alcun compenso come straordinario “sotto il ricatto di una mancata riconferma”.

La legge consente di ricorrere allo straordinario per far fronte a esigenze non programmabili, aventi carattere di eccezionalità. Negli uffici di recapito postale, spiegano da Lottiamo insieme, lo straordinario diventa ordinario: chi ha un contratto stabile accetta volentieri di fare qualche ora in più per arrotondare stipendi ritenuti bassi, ma nel caso dei precari “strafare” costituisce il requisito principale che sottende la possibilità di continuare a lavorare. Posti in una condizione di maggiore ricattabilità si ritrovano costretti ad allungare la giornata lavorativa senza vedersi corrispondere nulla in cambio.

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“Né l’azienda né il sindacato maggioritario Slp Cisl – si legge nella nota del movimento – hanno proferito una sola parola a riguardo”.

Diverse, ancora, le testimonianze rilasciate dai portalettere: “Entravo alle 7.30 e andavo via alle 18.00, accumulando almeno due ore di straordinario al giorno per quattro mesi, non pagate” e ancora “Dovevo consegnare tutto altrimenti non mi avrebbero prorogato il contratto, va da sé che era impossibile rispettare l’orario pattuito e, talvolta, le regole di sicurezza”, senza contare chi sta pensando a cambiare lavoro: “Sto pensando alle dimissioni perché mi risulta difficile far combaciare le esigenze di una vita da giovane mamma con gli orari di lavoro che sono sempre ben oltre quelli stabiliti da contratto”.

“Dimostrare il mancato pagamento delle ore prestate in più sarebbe anche relativamente facile dal momento che la presenza dei lavoratori viene registrata tramite la timbratura in entrata e in uscita con badge, eppure nessuno ha mosso un dito per scardinare la cattiva condotta aziendale”, tuonano dal movimento Lottiamo Insieme.

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“Vogliamo ricordare che il pagamento dello straordinario, anche se sprovvisto di autorizzazione formale, è un obbligo per l’azienda. Nell’ipotesi di straordinari non pagati è possibile recuperare il credito spettante sempre entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Non è necessario “fare causa” al datore e provare le ore per testimoni. Le eventuali eccedenze risulteranno, infatti, sul cartellino mensile delle proprie timbrature, cumulate alla voce “Eccedenza non autorizzata”. La richiesta dovrà essere formulata per iscritto (preferibilmente via PEC o raccomandata A/R) alle risorse umane competenti”.

Il modulo

Poste Italiane, spiegano i membri del movimento, è tenuta a rispondere entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta di accesso ai dati da parte dell’interessato. Il lavoratore, ancora, ha diritto a consultare e ottenere copia dei cartellini orari per il periodo lavorato oggetto di accertamento, conformemente alle disposizioni dell’art. 7 del Codice della Privacy e dell’art. 15 del Regolamento Europeo n. 679 del 2016 relativo alla protezione dei dati personali. Qualora la busta paga non rispecchi le ore effettivamente lavorate si consiglia di invitare amichevolmente l’azienda a conteggiare e saldare le somme spettanti per il lavoro straordinario svolto.

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Se ciò non producesse risultati soddisfacenti sarebbe opportuno rivolgersi direttamente all’Ispettorato del lavoro competente, corrispondente a quello della provincia in cui si trova il luogo di lavoro, attraverso apposita istanza (Modulo “INL 31 – Richiesta di intervento ispettivo”) debitamente compilata e trasmessa, via PEC o anche con semplice e-mail, allo specifico indirizzo di posta elettronica messo a disposizione di ciascun Ispettorato territoriale. Solitamente, in questi casi, si propone alle parti di risolvere la controversia con una soluzione conciliativa, in cui è consentito, ma non obbligatorio, farsi assistere da un difensore.