Sistema giudiziario, Istat: “Giovani soddisfatti nel 49,2% dei casi”.
Tra i cittadini prevale la soddisfazione per la giustizia civile. A dirlo è l’Istat per il quale il 54,2% delle persone di 18 anni e più che sono parte in una causa civile, o lo sono state in passato, si ritiene molto o abbastanza soddisfatto del sistema giudiziario.
Nel 2023 il 12% della popolazione residente di 18 anni e più (più di 5 milioni e 900mila persone) dichiara di essere stata coinvolta almeno una volta nel corso della sua vita in un contenzioso civile, un dato non molto diverso da quello rilevato nel 2015, quando tale proporzione si attestava intorno all’11% e a quello rilevato nel 2013 (10%).
Questa esperienza ha riguardato, come attore o convenuto, più spesso gli uomini (13,3%) delle donne (10,7%). La fascia di età più coinvolta è quella tra 55-64 anni (18,3%). Hanno fatto ricorso al giudice civile più frequentemente i laureati (14,7%) e in generale il ricorso alla giustizia civile aumenta all’aumentare del titolo di studio.
A livello territoriale i contenziosi in ambito civile sono più frequenti nel Centro (13,2%), nel Nord-est (13,1%) e nel Nord-ovest (12,9%), rispetto al Sud (9,9%) e alle Isole (9,7%). Tra le regioni emergono la Liguria e l’Emilia Romagna (entrambe con valori pari al 14,2%), seguite da Lazio (13,8%) e Abruzzo (12,4%). Valori minimi si riscontrano in Sicilia (9,1%) e in Basilicata (6,7%). Le persone che sono state coinvolte in cause civili sono in percentuali maggiori nei grandi comuni “centro dell’area metropolitana” (15,9%) rispetto ai piccoli centri fino a 2 mila abitanti (11,3%) e a quelli fino a 10 mila abitanti (10,6%).
I cittadini sono coinvolti, sia come attori sia come convenuti, soprattutto in contenziosi che riguardano la famiglia. Le persone che hanno affrontato nel corso della vita questa tipologia di causa sono 3,5 milioni (il 7,1% della popolazione con più di 18 anni), corrispondente al 41,5% dei cittadini coinvolti in cause civili.
Poco più di un milione sono coloro che dichiarano di essere stati coinvolti in una causa in materia di “lavoro” (2,1% della popolazione e 12,0% delle persone coinvolte in cause civili). A seguire, in ordine decrescente, si registrano le cause legate a “incidenti stradali e codice della strada”, che hanno coinvolto 776mila cittadini (pari all’1,6% della popolazione); i contenziosi legati a “debiti, problemi finanziari e societari” che hanno coinvolto 598mila cittadini (l’1,2% della popolazione); 380mila cittadini con più di 18 anni dichiarano poi di aver avuto un “contenzioso legato al vicinato e al condominio” (lo 0,8% della popolazione adulta).
Le cause per motivi di lavoro che interessano gli uomini sono quasi il doppio rispetto a quelle in cui sono coinvolte le donne (2,7% uomini; 1,5% donne); anche i contrasti cliente/fornitore vedono in proporzione impegnati gli uomini in misura maggiore: quattro volte rispetto alle donne (1,2% contro 0,3%); tre volte nel caso di “contenziosi legati a debiti, problemi finanziari e societari” (1,9 contro 0,6%), e “contenziosi con la Pubblica Amministrazione” (1,2% e 0,4%); il doppio per i “contenziosi in materia di previdenza e assistenza” e di “contenziosi legati a “incidenti stradali, contravvenzioni al Codice della strada” (rispettivamente 2,0% e 2,2% gli uomini e 1,2% e 1,0% le donne). Non emergono differenze di genere per le altre materie.
I cittadini della classe di età 55-64 anni affrontano soprattutto “cause legate alla famiglia” con il 12,6% dei 55-64enni coinvolti, contro solo il 6,8% degli appartenenti agli ultra sessantaquattrenni.
Si può ritenere in massima parte esaurito l’impatto che il mutamento dei comportamenti sociali dovuto alla pandemia da Covid-19 ha avuto sull’ammontare e la dinamica delle cause civili. Non si riscontra una diminuzione del livello complessivo delle cause neanche per quelle avviate nell’anno 2020. Inoltre il confronto tra il triennio 2020-2022 con quello precedente la pandemia 2017-2019, mostra come la lieve diminuzione riscontrata nel 2021 (effetto ritardato della pandemia) sia ampiamente assorbita già nel 2022, con un numero di cause avviate superiore a quello del periodo 2017-2019 (+10%).
Tale risultato – in larga misura atteso e che ha in generale interessato tutti i tipi di cause – è stato determinato dalla possibilità garantita tecnicamente dal processo civile telematico (PCT), attivo dal 2014. Il Decreto legge numero 11 dell’8 marzo 2020, affrontando tempestivamente l’emergenza della pandemia, ha esteso l’utilizzo dello strumento telematico anche alle costituzioni in giudizio che erano state in origine escluse. Il decreto ha così permesso l’avvio delle cause tramite gli strumenti informatici. In questo modo l’attività del sistema giustizia in campo civile non ha avuto interruzioni, potendo operare sia sui procedimenti in corso sia su quelle controversie che, maturate in epoca pre-Covid, si sono trasformate in cause grazie al processo civile telematico.
Tuttavia, poter formalmente avviare una causa è solo il primo passo. è evidente, anche dai dati, un deciso rallentamento dell’attività degli uffici giudiziari che si è riflesso in una diminuzione di casi avviati per gli uffici prettamente di secondo grado e di Cassazione, a dimostrazione del fatto che gli uffici hanno avuto bisogno di tempo per attivare adeguate misure organizzative. Gli uffici hanno reagito in modo variegato, generalmente riducendo le risorse destinate alle attività ordinarie e concentrandole sulle misure urgenti in ragione della vulnerabilità del destinatario della tutela per il processo civile, secondo quanto previsto dal Decreto legge numero 18 del 17 marzo 2020 (minori in situazioni di grave pregiudizio e cause familiari relative ad alimenti o obbligazioni alimentari).
Si segnala inoltre che l’ingente diminuzione di iscrizioni nelle cause rilevate dai tribunali non è riscontrabile in questi dati riportati dai cittadini, in quanto l’anno di avvio di una causa riferito dal cittadino non necessariamente corrisponde a quello dell’effettiva costituzione in giudizio.
A tutti coloro che hanno o hanno avuto in passato un’esperienza diretta con il sistema della giustizia civile è stato chiesto di esprimere il proprio grado di soddisfazione.
Il 54,2% delle persone di 18 anni e più che sono parte in una causa civile, o lo sono state in passato, si ritiene “molto o abbastanza soddisfatto” del sistema giudiziario (erano il 44,7% nel 2015) contro il 45,8% che è “poco o per niente soddisfatto”.
Una minore soddisfazione si registra tra gli uomini: il 49,6% si dichiara molto o abbastanza soddisfatto contro il 59,6% delle donne; la quota di soddisfatti è maggiore tra gli intervistati con età compresa tra 35 e 44 anni (59,6%) probabilmente perché più informati e in grado di districarsi meglio nel dedalo di norme e regolamenti che disciplinano il rapporto dei cittadini con la giustizia. Al contrario ad esprimere un giudizio meno positivo sono le classi più estreme: i giovani fra i 18-34 anni soddisfatti nel 49,2% dei casi e gli anziani con 65 anni e più (51,5%).
Il livello di soddisfazione si differenzia molto nelle diverse aree geografiche. I giudizi sono meno critici nel Nord-ovest, dove il 59,7% degli intervistati si dichiara molto o abbastanza soddisfatto, contro il 47,7% degli abitanti delle Isole. Gli abitanti del Sud, del Centro e del Nord-est esprimono una posizione simile e intermedia (“molto o abbastanza soddisfatti” rispettivamente il 52,0%, il 52,5% e il 53,3%).
Il livello di soddisfazione diminuisce all’aumentare del titolo di studio: da quasi sei su 10 “soddisfatti”, (59,7%) dell’esperienza tra coloro che hanno licenza elementare o nessun titolo al 51,2% dei laureati.
Non c’è grande differenza di soddisfazione tra le diverse condizioni professionali con percentuali che si discostano poco dal valore complessivo; si differenziano solo i lavoratori in proprio e gli studenti che manifestano una soddisfazione minore (46,8% e 46,3%) e dall’altro le casalinghe con la maggiore soddisfazione (61,6%).
L’insoddisfazione manifestata da coloro che sono entrati in contatto con la giustizia civile come attore o convenuto è collegata a molteplici fattori. Sicuramente sull’insoddisfazione incide la durata e i conseguenti costi incrementali, anche non previsti, sostenuti per il procedimento; come pure incidono e influenzano l’esito e gli eventuali vantaggi conseguiti.
Gli intervistati coinvolti in cause civili la cui durata si è protratta nel tempo tendono ad esprimere giudizi più negativi: si dichiara infatti poco o del tutto insoddisfatto solo il 26,1% di coloro che hanno sostenuto una causa conclusasi entro l’anno e il 32,5% nel caso di cause conclusesi l’anno successivo a quello di inizio, contro il 66,9% di chi attende più di cinque anni la conclusione della causa.
Distinguendo coloro che al momento dell’intervista hanno la causa in corso, il malessere è maggiore: esprimono un giudizio negativo “poco o per niente soddisfatto” nel 70,5% dei casi.
L’insoddisfazione per la giustizia civile è trasversale agli uffici giudiziari ma è soprattutto il protrarsi dei procedimenti, conseguenza ovvia del passaggio a gradi successivi di giudizio, che provoca un aumento del malcontento. Solo un cittadino su quattro (il 25%) è scontento dell’ufficio del giudice di Pace che si è occupato in ultima istanza della causa, mentre sono ben tre persone su quattro (75%), quelle che non hanno apprezzato la propria esperienza con la giustizia civile in Corte d’appello.
Anche la materia oggetto della causa ha un’influenza sul livello di insoddisfazione delle persone coinvolte: è minore per le cause che riguardano la famiglia (34,8%) e i “diritti della persona” (36,5%), mentre è maggiore la percentuale di insoddisfatti nel caso di contenziosi con la Pubblica Amministrazione (66,6%), in materia di lavoro (63,5%, dove sono coinvolti interessi economici) e nelle dispute di vicinato (63,1%, dove sono in gioco i rapporti di convivenza obbligata).
Tra coloro che non sapevano quanto sarebbe venuta a costare la controversia la quota di insoddisfatti è più elevata (51,2%), rispetto a quanti ne erano informati (31,9%).
Coloro poi che, al termine della causa, ritengono di aver sostenuto costi più elevati o molto più elevati del previsto esprimono giudizi molto critici (rispettivamente, il 61,8% e l’82,8% sono poco o per niente soddisfatti).
Anche in merito alla relazione tra esito del giudizio e soddisfazione i dati sono comprensibilmente molto differenziati. Passando da un esito del procedimento considerato dal rispondente “completamente favorevole” a uno valutato come “del tutto sfavorevole” la quota di coloro che si dichiara poco o per niente soddisfatto sale dal 21% all’87,2%.
Lo stesso fanno i rispondenti che dichiarano di non aver tratto vantaggio dalla causa, anche se in modo meno critico, manifestando insoddisfazione nel 57,5% dei casi. Questo dato è da paragonare con la minore insoddisfazione (22,7%) di coloro che invece hanno dichiarano di aver ottenuto vantaggi dalla causa.
I risultati dell’indagine offrono elementi di riflessione sia sui costi sia sulla durata dei procedimenti, due aspetti certamente legati tra loro. Aspetti che è opportuno analizzare rispetto alle caratteristiche di chi viene coinvolto.
I cittadini coinvolti in una causa civile manifestano una mancanza di consapevolezza, al momento dell’avvio della causa, dei costi economici del processo: solo il 28% di coloro che sono stati coinvolti in una causa ne è a conoscenza.
Le donne dimostrano più attenzione degli uomini a questo aspetto (31,5% rispetto a 25,1%), come pure le classi di età tra i 35-44 e i 45-54 anni (30,4% e 30,7%) rispetto ai giovani fino a 34 anni e agli ultrasessantaquattrenni (23,6% e 24,3%).
La consapevolezza dei costi del procedimento giudiziario che ci si accinge ad intraprendere aumenta con il titolo di studio: passando da 18,6% per chi ha la licenza elementare o nessun titolo di studio al 32,1% per i laureati.
La conoscenza dei costi che ci si accinge a sostenere con la causa civile è relativamente maggiore al Nord-ovest (30,8%) e minore al Sud (24,5%) e nelle Isole (22,4%).
La conoscenza preventiva dei costi è più diffusa tra coloro che sono coinvolti in contenziosi in materia di previdenza e assistenza (36,8%), contenziosi legati ai diritti della persona (34,1%), cause di famiglia (33,5%). È minore, invece, la conoscenza preventiva del costo economico da sostenere per le cause per contrasti di condominio o di vicinato (15,7%) e per contenziosi legati a “incidenti stradali o a contravvenzioni al codice della strada” (17,3%).
La conoscenza è relativamente maggiore per chi ha cause in Tribunale (28,6%) e presso il giudice di pace (28,2%) ed è inferiore per gli uffici prettamente di secondo grado: Corte d’appello (14,6%) e Cassazione (21,9%), esprimendo con questa relazione anche una impreparazione rispetto alla complessità del sistema legale e delle procedure legali che, unita a difetti di comunicazione e chiarezza, determina un incremento dei costi, con il prolungamento delle cause ai gradi successivi al primo.
Il 28% delle cause civili si chiude entro un anno. Il processo civile può durare a lungo per molteplici ragioni: litigiosità, insufficiente dotazione di risorse e personale negli uffici giudiziari, difficoltà organizzative, complessità dei processi e delle loro diverse fasi, possibile procrastinazione strategica messa in atto dai legali rappresentanti le parti.
Quanto detto giustifica il fatto che solo il 28% degli intervistati dichiara che la controversia si è conclusa nello stesso anno dell’avvio. Il 49,7% delle cause si sono concluse entro due anni; il 33,4% tra i due e i cinque anni successivi all’anno di inizio e il 16,9% delle cause per concludersi ha avuto bisogno di un periodo superiore a cinque anni.
Queste proporzioni sono diverse confrontando le ripartizioni territoriali: il Nord-ovest ha la quota più elevata di cause concluse entro due anni (56,2%) rispetto al Sud o alle Isole per le quali tale proporzione è minore: (rispettivamente 44,4% e 46,3%; media italiana 49,7%).
Questo dato sulla durata dei procedimenti può essere letto anche in relazione a quanti hanno ancora in corso una causa al momento dell’intervista. Ciò riguarda in misura maggiore gli abitanti del Sud e delle Isole (22,6% e 23% del totale delle persone coinvolte complessivamente in cause civili). La lettura congiunta delle due informazioni segnala la maggiore difficoltà degli uffici del Mezzogiorno a concludere le cause.
L’analisi della tempistica dei procedimenti in corso di svolgimento al momento dell’intervista riflette la situazione più recente: il 38% dei procedimenti è iniziato da due anni prima dell’intervista e ben il 35,3% da oltre cinque anni.
Le cause che si concludono più frequentemente entro due anni dall’avvio sono quelle relative a interdizioni/inabilitazioni (68,8% di tali cause), separazioni e divorzi (52,8%), incidenti stradali/contravvenzioni al Codice della strada (48,0%) e rilascio di un immobile e fermo amministrativo di bene mobile (47,3%). Le cause che invece sono risultate durare più a lungo sono quelle relative a eredità e successioni (il 30,5% dura più di sei anni), diritti della persona (18,2%) proprietà su beni mobili e immobili (25,5%). Risultano essere in corso, in misura maggiore, cause relative a rapporti con la Pubblica Amministrazione (39,0%), tributi/cartelle esattoriali (34,6%), previdenza e assistenza (33,5%), tutti procedimenti che sono stati influenzati nel loro iter dalla pandemia Covid.
Ma quali sono gli aspetti da migliorare per i cittadini delusi dal sistema giudiziario? Tutti i cittadini coinvolti in una causa civile hanno indicato almeno un possibile miglioramento da apportare: innanzitutto chiedono che venga ridotta la durata dei procedimenti (70,4%), con picchi al Sud e al Centro (entrambe le ripartizioni per circa il 73%) e che vengano semplificate le procedure burocratiche (58,9%), livello che al Centro raggiunge il 63,1% dei coinvolti in una causa. Ai suggerimenti generici si affiancano, però quelli di dettaglio come la puntualità delle udienze (28,9%), la maggiore digitalizzazione / informatizzazione del processo, le udienze online (19,5%), l’incremento degli organici di giudici e collaboratori (18,5%).
A questi suggerimenti si aggiungono quelli inerenti la professionalità dei soggetti coinvolti: magistrati, giudici e avvocati.
Ai giudici e magistrati si chiede maggiore disponibilità (28,5%), maggiore imparzialità (20,7%) e maggiore competenza (15,1%).
Agli avvocati, invece, viene richiesta maggiore trasparenza sul costo complessivo della causa (21,1%), chiarezza sull’ammontare effettivo della parcella spettante all’avvocato (18,8%), maggiore precisione sulla possibile durata della causa (19,5%), maggiore correttezza (22,2%), più competenza nella materia oggetto della controversia (20%), la chiarezza sulle probabilità di successo in un processo (17,7%), maggiore prontezza nel fornire tutte le informazioni necessarie (16,1%) e una costante reperibilità (9,4%).
Gli abitanti delle Isole e del Centro sono quelli che offrono più suggerimenti nei diversi ambiti.
La digitalizzazione/informatizzazione del processo e le udienze online sono invece una peculiarità degli abitanti dei centri urbani (23% contro il circa 18% di chi abita nei piccoli comuni fino a 50mila abitanti).
Sebbene tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, come recita l’articolo 24 della Costituzione della Repubblica Italiana, poco più di 900mila cittadini (2,1%) riferiscono di avere rinunciato, per varie ragioni, a esercitare tale diritto. Nel 2015 erano una quota maggiore, pari al 3,5%.
La decisione di non rivolgersi al sistema giurisdizionale per il soddisfacimento di una controversia giuridica è originata da una molteplicità di ragioni.
Considerando tutti i motivi addotti per non intraprendere una causa, emergono la sproporzione tra i costi ipotizzati e i possibili vantaggi ricavabili (21,5%), il rischio di perdere troppo tempo (17,5%), la complessità e farraginosità delle procedure (10,8%), la considerazione dell’incertezza del risultato (10,1%), la scelta di risolvere per proprio conto la controversia (10,1%) e le scarse possibilità economiche (8,6%). Seguono per minore frequenza, la scarsa importanza attribuita al motivo del contenzioso (5,9%), la preoccupazione derivante da un giudizio di parzialità dei magistrati (4,5%), la scelta di praticare forme alternative delle controversie (4,3%), il disorientamento rispetto alle azioni da intraprendere e alle persone a cui rivolgersi (3,5%) e la ritrosia nel chiamare in causa amici e/o familiari (2,9%).
La rinuncia ad avviare una controversia civile per via giudiziaria interessa in misura maggiore gli uomini, (2,4%) piuttosto che le donne (1,9%). Anche l’età costituisce un elemento significativo: la quota più alta di rinunciatari si osserva nella fascia di età compresa tra i 45 e 54 anni (3%). Nondimeno, il timore che il costo della causa possa essere eccessivo rispetto al vantaggio che ne potrebbe conseguire, in tutte le aree geografiche, è la determinante principale della rinuncia, insieme al troppo tempo che si ritiene serva per risolvere la controversia.
Non tutti gli intervistati sanno che le parti in lite possono, a tutela delle proprie posizioni giuridiche, raggiungere un accordo reciprocamente soddisfacente attraverso forme di risoluzione extragiudiziali delle controversie: le cosiddette Misure Alternative di Risoluzione delle Controversie (MARC), in inglese “Alternative Dispute Resolution” (ADR).
Almeno una forma di risoluzione alternativa è conosciuta dal 44,3% della popolazione.
La mediazione civile è un istituto noto al 38% degli intervistati, 40,2% degli uomini e 35,9% delle donne. Analoghi livelli di conoscenza si hanno per la negoziazione, nota a circa il 37,3% degli intervistati (39,2% uomini, 35,5% donne). L’arbitrato è conosciuto dal 31,1% della popolazione, segue la conoscenza della transazione (27,8%), della soluzione “extragiudiziale” (25,2%) e della consulenza (24,3%).
Le classi estreme di età sono le meno informate sulle ADR: tra gli under 35 solamente il 40,7% è al corrente dell’esistenza di almeno una forma di risoluzione alternativa delle controversie; la disinformazione tocca il livello più alto tra gli ultrasessantaquattrenni tra i quali l’ADR è nota solo al 37,1%.
Le ADR sono più conosciute da quanti possiedono un titolo di studio elevato: 65,8% quando è universitario e post-universitario; 50,3% tra coloro che hanno un diploma di scuola superiore, 33,1% di scuola secondaria inferiore, infine la quota di coloro che hanno il titolo di studio elementare o nessun titolo che conosce l’esistenza degli ADR è pari al 20,1%.
A livello territoriale l’informazione sulle potenzialità in termini di accesso agli istituti alternativi si riduce passando dal Nord al Sud del paese. Nel Nord-ovest le ADR sono note al 47,5% delle persone maggiorenni anche se il massimo si raggiunge al Centro con il 48,3%, mentre al Sud e nelle Isole tale quota scende rispettivamente al 38,2% e al 37,3%.
Le forme alternative di risoluzione delle dispute sono più note nei comuni “centro dell’area metropolitana” (il 52,7% degli abitanti le conosce) mentre negli altri tipi di comune i valori sono leggermente inferiori al livello medio complessivo.
Nel 2015 era stata rilevata la conoscenza di due sole forme di risoluzione alternativa delle controversie, la mediazione civile e l’arbitrato, entrambe in diminuzione: il 43,9% della popolazione conosceva la mediazione e il 41,9% l’arbitrato. Probabilmente la maggiore varietà di forme ha catalizzato nel corso del tempo in diverso modo le risposte dei cittadini.