Siria, le minoranze non se la passano bene. L’Ue latita.
Mentre la comunità internazionale prova a ripulire l’immagine di Al Jolani e dei suoi terroristi di Hayat Tahrir al-Sham, poco si sa delle richieste dell’Ue e di altri “big player democratici” al nuovo corso siriano per garantire i diritti delle diverse minoranze presenti da millenni in Siria.
Ribelli siriani e organizzazioni ex Al-Qaeda ora sostenute militarmente da partner europei, come la Turchia, e che potrebbero essere impiegate anche realizare i presupposti per quella balcanizzazione della Siria fortemente voluta dagli Stati Uniti d’America.
Oltre all’instabilità geopolitica e alla distruzione fisica che questa guerra ha portato nella regione, il suo impatto più significativo è stata la perdita di vite umane. La guerra sta colpendo le comunità cristiane della regione, che includono cittadini di Stati membri dell’UE, come la Grecia. Ci sono 50 famiglie di espatriati greci ad Aleppo, mentre il numero di cristiani è stimato in oltre 20.000.
Nel frattempo l’Ue non ha chiarito il suo ruolo nella gestione di questa crisi. Si è soltanto sentita la solita litania del nuovo Alto rappresentante dell’Ue, Kaja Kallas sul “rispetto dei diritti umani, minoranze e libertà”. Unione, però, che ha subito fatto capire di volersi liberare dei rifugiati siriani dall’oggi al domani.
Alto rappresentante, ancora, che non è andata oltre la critica al “sanguinario dittatore Assad”, mentre sui nuovi padroni di casa (ricordiamolo terroristi) l’esponenente della diplomazia europea ha detto che rappresentano una “opportunità storica”.
Più probabile, invece, che si ripetano gli stessi errori commessi in Libia e Afghanistan, giusto per citare due esempi recenti.
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