Sanità, The Bridge: “Comunicazione inadeguata nelle emergenze sanitarie”.

La pandemia di Covid-19 ha evidenziato in diversi Paesi, tra i quali l’Italia, l’inadeguatezza della comunicazione istituzionale, che in molte circostanze non ha gestito con efficacia l’emergenza sanitaria. È quanto emerge dallo studio elaborato dalla Fondazione The Bridge e presentato nel corso del workshop “Comunicazione delle emergenze sanitarie: quali elementi chiave?” organizzato nell’ambito del WCPH, il World Congress on Public Health, giunto alla 17esima edizione, in corso a Roma.

Dal Governo, quindi, la comunicazione sulla pandemia è stata poco chiara. Nel 2005 l’OMS ha elaborato delle raccomandazioni generali da inserire nei piani nazionali per le pandemie e alcuni Paesi sono riusciti a promuovere azioni informative utili, altri no. “Purtroppo – ha evidenziato Rosaria Iardino, Presidente della Fondazione The Bridge – una comunicazione inefficace alimenta paure collettive e reazioni incontrollate nella popolazione e nel sistema economico, mentre se i messaggi sono chiari e coordinati, basati sulla percezione collettiva del rischio, possono influenzare il modo in cui i cittadini rispondono agli eventi avversi e sostenere l’uscita dall’emergenza. In Italia, nella prima fase della pandemia il Governo ha affrontato l’aumento dei contagi con una comunicazione ai cittadini poco precisa rispetto a quanto stava accadendo. L’incertezza non va negata, perché rischia di disorientare e generare sfiducia”.

“Durante la prima fase della pandemia c’era un uso frequente delle conferenze stampa da parte delle Istituzioni per informare i cittadini – ha dichiarato, in un videomessaggio inviato al workshop, coordinato dalla Fondazione The Bridge, Giovanni Rezza, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute – e venivano diffuse notizie sulle misure adottate, su morti e contagi, con bollettini quotidiani molto seguiti, che a lungo andare potrebbero aver generato un certo stato di ansia nelle persone. Poi la comunicazione istituzionale si è giustamente spostata sulle campagne di vaccinazione. Una certa confusione è stata poi alimentata dal continuo ricorso ai talk show, anche dalle dichiarazioni di esperti e pseudo-esperti, definiti genericamente come “virologi”, che si sono trasformati in popolari star televisive. Tutto ciò – ha proseguito Rezza – ha contribuito a creare una comunicazione non univoca e talvolta contraddittoria, che ha spesso soverchiato i messaggi veicolati dalle istituzioni. Criticità nei messaggi veicolati ci sono state, inoltre, nelle narrazioni semplicistiche utilizzate per difendere obblighi vaccinali e Green Pass, specialmente in epoca Omicron, non mettendo invece in risalto il loro significato di sanità pubblica in termini di rapporto rischi-benefici. Alla fine, le opinioni hanno talvolta prevalso sulle evidenze scientifiche. In futuro, l’auspicio è che la comunicazione pubblica in tempi di crisi possa essere migliorata e strutturata in maniera adeguata anche all’interno dei piani pandemici, tenendo conto delle problematiche legate alla necessità di comunicare l’incertezza”.

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Un aspetto fondamentale della comunicazione di crisi è la sua centralizzazione. È infatti impossibile trasmettere messaggi coerenti a tutti gli stakeholder nello stesso momento senza una regia centralizzata. In Italia la scelta fatta è stata opposta: la gestione politica della pandemia è stata caratterizzata dal decentramento della catena di comando ai Presidenti delle 21 Regioni e dall’esternalizzazione delle decisioni, con il coinvolgimento costante di accademici, scienziati e dirigenti. È mancata la collegialità, non c’era una cabina di regia responsabile del coordinamento interministeriale.

Nel corso del workshop, coordinato da Guido Legnante, è emersa la necessità di far fronte alle emergenze sanitarie con l’impiego di una comunicazione coerente, essenziale per mantenere la fiducia nella popolazione. “Nel nostro Paese – ha osservato Chiara Crepaldi, della Fondazione The Bridge – l’improvviso scoppio della crisi ha portato all’inizio al coinvolgimento di tecnici già noti o presenti nei Ministeri, spesso senza le competenze specifiche in tema di comunicazione in una situazione di crisi. I primi dati forniti da questi gruppi di esperti hanno alimentato decisioni sbagliate e indicazioni confuse e contraddittorie per la popolazione. Molti Paesi hanno coinvolto comitati tecnici a sostegno delle scelte, ma questo ha portato a messaggi spesso confusivi, che hanno ostacolato gli sforzi per il contrasto della pandemia”.

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Per Ferruccio Di Paolo, esperto civile NATO “in caso di crisi sanitaria, una comunicazione efficace, competente, corretta e credibile è fondamentale per ridurre l’incertezza, fornire linee guida efficaci e permettere al pubblico di costruirsi una narrazione degli eventi tale da mitigare gli effetti più dannosi e dirompenti della crisi. Una crisi, infatti, è un evento che può potenzialmente compromettere la capacità operativa e la sopravvivenza di un’organizzazione. Oltre a sfatare le false informazioni, bisogna impegnarsi anche nella promozione di comportamenti socialmente validi se si vogliono mitigare gli effetti di credenze e atteggiamenti dannosi. Per riuscire a fare tutto ciò è necessaria una costante preparazione in tempo di pace”.

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La ricerca di The Bridge ha poi focalizzato l’attenzione su altri due elementi: i canali di comunicazione (media istituzionali, outlet e social), evidenziando la bassa percentuale di utenza italiana (19%) su quelli istituzionali rispetto agli altri Paesi europei; l’inquinamento comunicativo, con il fenomeno dell’infodemia, che ha diffuso disinformazione e fake news, alimentando nelle persone un crescente disagio psichico e psichiatrico.