Russia in crisi? Non per Josep Borrell: “Il tempo non è dalla parte di Putin”.
Anche di fronte alle evidenti, nonchè numerose “vie di fuga” (che negli ultimi anni hanno facilmente eluso le sanzioni dell’Ue), per l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, l’economia della Federazione Russa si sta indebolendo per effetto dell’azione delle misure Ue. “Le nostre sanzioni hanno già indebolito in modo significativo l’economia russa e il futuro del Paese diventa ogni giorno più cupo mentre la Russia continua la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina”, ha dichiarato oggi Borrell, ricordando l’applicazione di ben 13 pacchetti di sanzioni contro il regime di Vladimir Putin.
“Tuttavia, negli ultimi mesi abbiamo spesso sentito dire che queste sanzioni senza precedenti non starebbero funzionando. Queste voci sono diventate particolarmente forti dopo l’annuncio da parte delle autorità russe di una crescita del PIL del 3,6% nel 2023”. E non solo, considerando che tante multinazionali europee non sono mai andate via dal Paese.
Facile, quindi, la filippica di Borrell verso la propaganda di Stato agitata dal Cremlino: “Innanzitutto, in un’autocrazia come la Russia, dove non esistono libertà di informazione e controlli bisogna sempre prestare molta attenzione ai dati ufficiali. Quelli economici sono altrettanto sospetti quanto i risultati delle votazioni delle ultime elezioni presidenziali. In secondo luogo, era improbabile fin dall’inizio che l’economia russa crollasse dopo l’invasione dell’Ucraina. Negli ultimi due anni abbiamo costantemente sottolineato che l’effetto delle nostre sanzioni non sarebbe stato immediato e che il loro scopo era quello di indebolire la capacità della Russia di sostenere il suo sforzo bellico a medio termine. E questo è infatti ciò che sta cominciando a succedere”. Una lettura, tutto sommato, non supportata da altrettanti dati, volendo rimanere nel terreno dell’informazione.
Crescita economica registrata in Russia ascrivibile, secondo l’Alto rappresentante, all’adozione di una “politica di keynesismo di guerra, già osservata in Germania negli anni ’30, con un aumento del 70% della spesa per la difesa nel 2024 rispetto all’anno precedente. Circa il 30% del bilancio russo e il 6% del suo PIL sono ora ufficialmente dedicati alla difesa nazionale con importanti risorse aggiuntive stanziate come spese classificate. Le spese militari e per la sicurezza sono tornate ai livelli dell’era sovietica”. Dinamica che si rifletterebbe anche negli squilibri economici regionali, con regioni con forti industrie militari o confinanti con l’Ucraina che mostrano risultati economici migliori, a causa delle attività legate alla guerra.
Economia russa, quindi, che sarebbe alimentata dall’esplosione della spesa per la difesa. Valutazione che si potrebbe fare anche per una certa linea di politiche della “democratica” Ue, a partire dal programma ASAP e da un generalizzato aumento della spesa per la difesa dei Paesi Ue.
Accenno poi al presunto crollo delle esportazioni di combustibili fossili russe. “Embargo”, come rilevato da numerosi eurodeputati, aggirato dai cosiddetti Paesi terzi: “Le entrate che l’economia russa ricava dalle esportazioni di combustibili fossili si sono dimezzate dalla primavera del 2022 – secondo Borrell – grazie all’embargo europeo su carbone e petrolio e al price-cap deciso dal G7 sulle esportazioni di petrolio. Il nostro obiettivo non è mai stato quello di impedire alla Russia di esportare combustibili fossili, cosa che avrebbe innescato una grave crisi sui mercati energetici mondiali. Si trattava di ridurre significativamente i profitti della Russia derivanti da queste esportazioni e abbiamo raggiunto questo obiettivo. Ciò è dimostrato dai dati commerciali: in quanto grande esportatore di combustibili fossili, la Russia ha tradizionalmente avuto un enorme surplus con l’estero. Tuttavia, negli ultimi due anni, questo surplus si è ridotto quasi a zero”.
Però per molto tempo i combustibili fossili sono stati acquistati dai Paesi terzi ma, pur di mantenere viva la rotta del boicottaggio allo Zar di Russia la democratica Ue ha continuato a fare spallucce: “È un fatto riconosciuto che le nostre sanzioni vengono parzialmente aggirate, in particolare attraverso l’esportazione di prodotti verso i paesi vicini della Russia, che vengono poi riesportati in Russia”, ha confermato Borrell.
Immancabile anche il richiamo dell’Alto rappresentante all’aumento dell’inflazione nella Federazione Russa, forse dimenticando il biennio di grandi squilibri che ha colpito pesantemente il settore produttivo europeo. “Nel 2022, anche l’economia russa ha registrato un forte aumento dell’inflazione, in gran parte dovuto alle sanzioni occidentali. Nella prima metà del 2023 l’inflazione si era notevolmente attenuata, per poi risalire a partire dalla metà del 2023. Attualmente, il tasso di inflazione annuale in Russia supera l’8%, rispetto al 2,6% registrato nell’Eurozona”.
Dalla primavera del 2022 – rileva Borrell – anche il rublo è in costante calo. “Questa svalutazione rende le importazioni più costose. Per fermare questo calo della valuta russa e la ripresa dell’inflazione, la Banca Centrale russa è stata costretta ad aumentare drasticamente i suoi tassi di interesse a breve termine, che ora ammontano al 16% annuo, 3,5 volte il tasso di interesse della Banca Centrale Europea. La massiccia spesa legata alla guerra, i maggiori costi delle importazioni e un mercato del lavoro ristretto fanno sì che l’inflazione in Russia rimanga elevata costringendo la Banca Centrale a mantenere i tassi di interesse a livelli elevati. Allo stesso tempo, la fiducia degli investitori nel futuro dell’economia russa è così bassa che il governo russo deve prendere in prestito a un tasso di interesse a 10 anni di quasi il 14% annuo, rispetto a una media del 2,9% nell’Eurozona. La Russia ha già sperimentato una significativa fuga di capitali e anche quelli che la Russia etichetta come Paesi “amici” non sono ansiosi di scommettere i propri soldi sul futuro della Russia. Con tassi di interesse a un livello così elevato, gli investimenti privati in Russia sono gravemente colpiti e lo stesso Stato russo non può permettersi di contrarre prestiti. La continua mancanza di investimenti inciderà ulteriormente sul futuro economico della Russia”.
Intervento che prosugue con le dichiarazioni improbabili circa la “dipendenza” della Russia da nazioni come l’Iran e la Corea del Nord e sul cosiddetto “inverno demografico” russo: “Nonostante la capacità del regime autoritario russo di reindirizzare in modo massiccio la produzione dell’economia del paese verso la produzione di armi e munizioni, la sua dipendenza da paesi come l’Iran o la Corea del Nord per fornire droni, munizioni o missili sufficienti a sostenere il suo sforzo bellico riflette anche una persistente situazione industriale. Inoltre, in un Paese che invecchia rapidamente, dove la popolazione è in calo già dal 2000, si è aperto l’esodo di centinaia di migliaia di giovani qualificati dopo il febbraio 2022, oltre a centinaia di migliaia di mobilitati, morti o disabili a vita a causa della guerra in Russia. una profonda crisi del mercato del lavoro in Russia”. Unione europea, va rimarcato, che sul fronte dell’assenza di politiche a sostegno dell’inclusione dei giovani non ha nulla da imparare come ricordano tristemente i dati sull’invecchiamento e sulla denatalità in Unione europea.
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