Riconoscimento delle qualifiche professionali. L’Unione europea arranca.

L’Unione europea è ancora lontana da rappresentare quella entità capace di garantire la parità di diritti tra cittadini e cittadine in Europa. A ricordare che l’Ue rappresenta principalmente un accordo economico tra Stati Ue, è il sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali tra Paesi europei.

Sono infatti molti gli ostacoli di fronte ai cittadini dell’UE che desiderano lavorare o creare un’impresa in un altro Stato membro. Secondo una relazione pubblicata oggi dalla Corte dei conti europea, far riconoscere le proprie qualifiche professionali continua ad essere problematico nonostante si parli tanto – autoreferenzialmente – di “cittadinanza europea”.

Nel 2005, l’UE ha adottato una direttiva volta a facilitare il riconoscimento e ad impedire agli Stati membri di imporre condizioni eccessive ai cittadini. Tuttavia, vi sono carenze nelle modalità con cui la direttiva è applicata dalle autorità nazionali e dalla Commissione europea, e le informazioni disponibili ai cittadini sono spesso inattendibili.

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I cittadini dell’UE hanno il diritto di scegliere dove lavorare. Tuttavia, poiché gli Stati membri continuano a regolamentare l’accesso a determinate professioni con motivazioni relative a salute e sicurezza, la mobilità dei lavoratori tra gli Stati membri dell’UE è fortemente penalizzata, impedendo di fatto un reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali.

Negli Stati membri, il numero di professioni regolamentate varia notevolmente: dagli 88 della Lituania ai 415 dell’Ungheria. Secondo un calcolo operato dagli auditor della Corte, ancora, ogni Stato membro regolamenta in media 212 professioni, il che equivale a circa 5700 professioni regolamentate in tutta l’UE. Insomma, c’è molta strada da fare.

“Un infermiere o un meccanico che desidera lavorare in un altro Stato membro può essere scoraggiato dalla procedura di riconoscimento delle proprie qualifiche professionali: può trattarsi di un processo lungo ed eccessivamente burocratico”, ha affermato Stef Blok, membro della Corte responsabile dell’audit. “La Corte ha constatato grandi disparità procedurali tra Stati membri nell’applicazione della normativa dell’UE, a scapito di chi desidera esercitare una professione regolamentata altrove nell’UE. Per tutelare i cittadini dell’UE, riteniamo che il meccanismo di allerta dovrebbe essere integrato nella procedura di riconoscimento per le professioni connesse a salute e sicurezza, nonché per quelle che richiedono integrità – specie se si ha a che fare con minori”.

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Gli Stati membri, inoltre, non monitorano periodicamente la durata delle procedure di riconoscimento e non sempre agiscono rapidamente come prescritto dalla direttiva dell’UE. A volte, vengono richiesti troppi documenti (lettere di motivazione, traduzioni giurate, oppure una prova di residenza prima che l’interessato si sia effettivamente trasferito nel paese). Ma la lista della documentazione richiesta potrebbe anche essere più lunga…

In alcuni Stati membri, ancora, sono imposti test o percorsi di formazione aggiuntiva ai richiedenti senza fornir loro alcuna giustificazione. In altri casi, gli auditor della Corte hanno constatato verifiche preventive sproporzionate per verificare le qualifiche.

Sebbene l’UE abbia adottato alcune misure per modernizzare il riconoscimento, queste ultime sono usate di rado. È questo il caso della tessera professionale europea, richiedibile, ad esempio, per le professioni infermieristiche, altamente ricercate. In questo caso, la tessera è usata solo per il 5% delle decisioni di riconoscimento delle qualifiche professionali.

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