Referendum Cannabis legale, il punto dei promotori a 24 ore dalla decisione della Consulta.

Mancano circa 24 ore all’esame di ammissibilità dei Referendum da parte della Corte Costituzionale. Otto quesiti referendari – 6 sulla giustizia, uno sull’eutanasia e l’ultimo sulla Cannabis – sui quali i giudici dell’organismo presieduto da Giuliano Amato dovranno fare le loro valutazioni. Qualora venissero ammessi dalla Consulta, i quesiti potrebbero essere sottoposti al voto popolare, presumibilmente, in Primavera. Tra essi quello sulla Cannabis legale promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Antigone, Società della Ragione e da alcuni rappresentanti dei partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani, che propone di intervenire sia sul piano della rilevanza penale, per quanto riguarda le condotte legate alla cannabis, sia su quello delle sanzioni amministrative in riferimento alla detenzione, con l’obiettivo di depenalizzare la coltivazione e l’uso personale.

Marco Cappato

Quesito ‘sviscerato’ recentemente nel corso di un incontro ospitato dal Circolo Sergio Atzeni di Cagliari, aperto dall’intervento dell’attivista dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, per il quale la proposta referendaria permetterà di “uscire dal proibizionismo per garantire la libertà individuale e porre fine alle fallimentari politiche proibizioniste”. “Questi referendum – ha proseguito Cappato – devono essere considerati come un’occasione per il rilancio della democrazia del nostro Paese attraverso la partecipazione dei cittadini. Se non c’è il loro contributo la politica rischia di non rimanere collegata alle questioni sociali, come nel caso della Cannabis”.

Incontro proseguito con la disamina storiografica sul tema della Cannabis legale da parte dell’organizzatrice locale del Referendum per la Cannabis legale, Laura Di Napoli: “Da un paradigma proibizionista, in voga fino agli anni ’80, si è passati a un nuova corrente che ha influenzato alcuni Stati, come nel caso del Canada, dove, in seguito a una sentenza della Corte Suprema, è stato avviato un programma sanitario che ha permesso ai pazienti di utilizzare la Cannabis per fini terapeutici. In Europa ci sono casi nazionali importanti come quello del Portogallo, dove sono stati depenalizzati i reati legati allo spaccio e consentito alle persone di detenere una dose minima di stupefacente. Qui, dopo un aumento del consumo rilevato nel primo anno di applicazione della nuova legge, le dipendenze si sono drasticamente ridotte. Restando in Europa, in Spagna sono stati creati i Cannabis social club, associazioni di cittadini che organizzano la coltivazione di una quantità limitata di cannabis per soddisfare le proprie esigenze personali”.

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Sullo stato dell’arte nel campo più prettamente giuridico è intervenuto l’avvocato dell’Associazione Luca Coscioni, Aldo Luchi: “Il quesito si propone di abrogare due piccoli passaggi contenuti negli articoli 73 e 75 del DPR del 9 ottobre 1990, n. 309. Sostanzialmente si propone di legalizzare la coltivazione e la destinazione della coltivazione della Cannabis a diversi usi. Nel quesito – ricorda Luchi – chiediamo, ancora, la richiesta dell’abrogazione della lettera a dell’articolo 75, relativa alla sospensione della patente di guida. Il Referendum del 1993 – spiega – si era limitato ad alcune disposizioni dell’articolo 76 e ad alcune parti dell’articolo 75, non ricomprendendo, però, la parola coltivazione, permanendo, così, il problema legato alla coltivazione della Cannabis. La prospettiva sembrava superata con l’approvazione della legge 242/2016 per la coltivazione della Cannabis sativa, ma l’individuazione delle destinazioni contenute nell’articolo 2 della legge è stato formulato in maniera troppo rigida. Non c’è stata una comprensione da parte del Legislatore, delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria di quella che è la differenza tra CDB e il THC”.

Luchi ha poi ricordato una recente sentenza – la sentenza 19 novembre 2020 – della Corte di Giustizia dell’UE, evidenziandone la capacità di interpretazione delle norme “in modo più avanzato rispetto a quanto si fa in Italia o negli altri Stati membri”. “Secondo la sentenza i Paesi membri non possono porre divieti alla circolazione dei prodotti della Cannabis tra Stati purché i prodotti rientrino nel catalogo approvato dalle autorità europee. Catalogo che fa riferimento all’elenco contenuto nella legge 242/2016″. Una sentenza importante, evidenzia l’avvocato dell’Associazione Luca Coscioni, perché ha determinato un’apertura per tutti gli Stati europei per l’uso della cannabis in forma ricreativa”.

Una lectio magistralis proseguita nel merito dei principali problemi in capo ai coltivatori italiani: “Ai sensi della legge 242/2016 il coltivatore ha un solo obbligo, quello di conservare le fatture di acquisto e i cartellini delle sementi utilizzate per la coltivazione, per un periodo di un anno. Ciò ai fini di dare prova della certificazione da parte del produttore delle sementi a conferma della presenza di CBD entro i limiti previsti dalla legge (0,2%). Tuttavia nella direttiva della Procura di Cagliari, la coltivazione di cannabis sativa è lecita solo se realizzata per la produzione dei derivati indicati nell’articolo 2 della legge 242/2016 e tra questi prodotti non è mai indicata l’infiorescenza”. Da qui il problema evidenziato da Luchi: “Quando la polizia giudiziaria arriva nella coltivazione e trova piante in essicazione – in Sardegna non esiste un centro di lavorazione della cannabis – se trovano delle infiorescenze la presunzione è che si tratti di copertura legale per una attività illegale. Questo in sintesi è l’approccio della Procura di Cagliari, punitivo e proibizionista, reso più evidente con l’esplicito riferimento al sequestro probatorio”.

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Intervento conclusosi sul rapporto tra giovani e consumo di stupefacenti: “Non è vero quanto viene detto dai proibizionisti per la tutela dei giovani. I giovani si tutelano di più trovando il prodotto in un tabacchino o di provenienza da un produttore autorizzato. La liberalizzazione – conclude – non è detto che porti a un aumento del consumo, come nel caso del Portogallo”.

Questioni di non facile lettura date le osservazioni provenienti dal mondo proibizionista e guardando ai risultati fallimentari conseguiti negli anni sul fronte della lotta al consumo delle droghe nel nostro Paese. Nazione che potrebbe aumentare punti di Pil, secondo i promotori del quesito referendario, grazie alle opportunità offerte dall’indotto della filiera della canapa, al momento imprigionata da una serie di vincoli normativi: “Nell’ultimo anno – spiega Nicola Fanni, canapicoltore – abbiamo iniziato a temere pedinamenti e intercettazioni. La mancanza di certezze è legata alla volontà politica di non voler colmare il buco normativo sul tema dell’efficacia drogante. La direttiva della Procura della Repubblica, rivolta principalmente alle aziende sarde, ha fatto si che venissimo presi letteralmente d’assolto da parte degli speculatori – ha rimarcato Fanni – svendendo i raccolti alle grandi aziende d’Itala ed Europa. Un qualunque business plan parte dal prodotto, dalla sua produzione e distribuzione. Coltivare la canapa in Sardegna senza un progetto o una visione non porta a niente. Quest’anno – prosegue – molti coltivatori non pianteranno e tanti ci hanno rimesso importanti capitali. Alcuni provvedimenti delle istituzioni, recentemente, hanno eliminato ogni possibilità di cessione, come nel caso dell’Ordinanza del ministro Speranza che, di fatto, ha relegato il CDB a elemento farmacologicamente attivo vendendoci alle multinazionali farmaceutiche. Oggi, infatti, non c’è alcuna possibilità per un produttore o consorzio di valorizzare il proprio prodotto, non potendo per legge trasformare la materia prima. Non abbiamo, quindi, la possibilità di conferire il prodotto se non alle case farmaceutiche che hanno la facoltà di comprare i nostri raccolti a prezzi di ritiro bassissimi per non dire di puro sciacallaggio”.

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Cosa deve invece subire un paziente italiano per accedere a una terapia a base di cannabis terapeutica? Domanda alla quale ha risposto Luca Lecca del Comitato Pazienti Cannabis Medica: “Abbiamo una splendida legge nel nostro Paese, la legge Di Bella del 1998 che permette, per le cure compassionevoli, di utilizzare farmaci che nascono per una terapia qualora ci sia una letteratura scientifica accreditata. Così, se i farmaci canonici standard non funzionano, si possono usare farmaci utilizzati per altre patologie. Nel mio caso sono stati utilizzati tantissimi farmaci per la terapia del dolore e adesso uso solo la cannabis ma, purtroppo, dallo scorso mese non è più disponibile e tutti i pazienti in Italia, ora, sono senza terapia e, pertanto, costretti a tornare a una serie di protocolli sanitari che non hanno funzionato, come nel caso del dolore cronico o della psoriasi. I più fortunati – conclude Lecca – vanno all’estero e ai tanti pazienti italiani viene negato un diritto alla salute”.

Domani, quindi, su questa spinosa tematica si pronuncerà la Consulta, valutando se la legge sottoposta a referendum appartenga o meno ad una delle quattro categorie di leggi che, secondo l’articolo 75 della Costituzione, non possono essere sottoposte a referendum, ovvero leggi tributarie, leggi di bilancio, leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, leggi di amnistia e di indulto.

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