Previsioni per l’economia italiana, Istat: ripresa parziale nel 2021.

Analogamente ai principali partner europei, per l’Italia, secondo le previsioni dell’Istat, si prevede una marcata contrazione del Pil nel 2020 (-8,9%) e una ripresa parziale nel 2021 (+4,0%). Nell’anno corrente la caduta del Pil sarà determinata prevalentemente dalla domanda interna al netto delle scorte (-7,5 punti percentuali); anche l’apporto della domanda estera netta e della variazione delle scorte risulterebbero negativi secondo l’Istituto di statistica. Nel 2021, il contributo della domanda interna tornerebbe positivo (+3,8) cosi come quello della domanda estera netta (+0,3) mentre le scorte fornirebbero un marginale contributo negativo (-0,1).

Nel biennio 20-21, l’evoluzione in termini reali della spesa delle famiglie e delle ISP (Istituzioni sociali private al servizio delle famiglie) e quella degli investimenti, potrebbe registrare una forte contrazione nell’anno corrente (rispettivamente -10,0% e -10,1% nel 2020) con un incremento del 4,5% e del 6,2% nel 2021; la spesa delle Amministrazioni Pubbliche, ancora, potrebbe aumenterebbe con intensità differenziate nei due anni (+2,0% e +0,1%).
L’evoluzione dell’input di lavoro, misurato in termini di ULA (Unità di lavoro) seguirebbe quella del Pil, con un’ampia riduzione nel 2020 (-10,0%) e una ripresa parziale nel 2021 (+3,6%). L’andamento del mercato del lavoro potrebbe risentire del processo di ricomposizione tra disoccupati e inattivi oltre che della progressiva normalizzazione dei provvedimenti a sostegno dell’occupazione.

Nell’anno corrente il tasso di disoccupazione diminuirebbe (9,4%) per poi tornare a crescere nel 2021 (11,0%).

Previsioni che risultano fortemente condizionate dall’evoluzione dell’emergenza sanitaria e dalla disponibilità e dai tempi della somministrazione del vaccino. Allo stesso tempo la definizione delle misure legate al Recovery and Resilience Facility Program potrebbero rappresentare un ulteriore e robusto stimolo agli investimenti.

Dopo la decisa ripresa dei ritmi produttivi e degli scambi commerciali durante i mesi estivi, le nuove misure di contenimento dei contagi, in risalita in quasi tutti i Paesi, potrebbero incidere negativamente sulle prospettive economiche internazionali. Il riacutizzarsi della pandemia potrebbe determinare nel quarto trimestre 2020 una contrazione del Pil, seppure non paragonabile a quella registrata nella fase acuta della prima crisi sanitaria.

Gli scambi mondiali, come ribadito dall’Istat, si trovano ancora sotto i livelli pre-covid (-7,2% la variazione tendenziale della media del periodo gennaio-settembre del commercio in volume di merci).

Le attese per i prossimi mesi segnalano un rallentamento in linea con l’evoluzione del PMI global sui nuovi ordinativi all’export di ottobre.

Le previsioni della Commissione europea indicano per quest’anno una riduzione del Pil globale in termini reali (-4,3% dal +2,9% nel 2019) a sintesi di andamenti eterogenei tra aree e paesi: i mercati emergenti e in via di sviluppo dovrebbero segnare quest’anno una performance meno negativa rispetto a quella dei Paesi avanzati e una ripresa più robusta il prossimo.

Dopo una prima metà dell’anno fortemente condizionata dalle misure di contenimento dei contagi, i dati macroeconomici relativi al terzo trimestre sono stati molto positivi in tutti i principali Paesi. La forza della ripresa è stata superiore alle aspettative ma ancora insufficiente, con poche eccezioni, per il ritorno sui livelli pre-crisi. In Cina, dove le misure di fermo amministrativo si sono concluse prima, il Pil ha accelerato tra luglio e settembre (+4,9% la variazione congiunturale) rispetto all’inizio della ripresa registrato in T2 (+3,2%).

Gli indicatori anticipatori mantengono un orientamento positivo. A novembre, il settore manifatturiero cinese è cresciuto al ritmo più rapido degli ultimi tre anni.
Negli Stati Uniti, il Pil nel III trimestre è cresciuto del 7,4% rispetto al trimestre precedente (-9,0% in T2).
Il rimbalzo è stato trainato dalla domanda interna e in particolare dai consumi che hanno beneficiato delle politiche di sostegno all’economia approvate dal governo.

Nell’area euro, il Pil nel terzo trimestre ha segnato un marcato rimbalzo congiunturale (+12,6% dopo il -11,8% del trimestre precedente). Nel dettaglio nazionale, il Pil tedesco è cresciuto dell’8,5% (-9,8% in T2) quello francese del 18,7% (-13,8% in T2) e quello spagnolo del 16,7% (-17,8% in T2). Le recenti previsioni di autunno della Commissione europea evidenziano per l’area dell’euro il deciso calo del Pil per quest’anno (-7,8%) mentre per il 2021 si prevede un rimbalzo (+4,2%) che risulterà ancora condizionato dagli effetti della diffusione del virus e delle relative misure di contenimento. La ripresa dei ritmi produttivi e dei consumi appare quindi legata ai tempi necessari alla diffusione del vaccino e alla implementazione delle azioni legate al Recovery and Resilience Facility Program.

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A novembre, si è interrotta la fase di miglioramento degli indici qualitativi riferiti all’area euro, iniziata a maggio: l’Economic sentiment indicator (ESI) elaborato dalla Commissione europea, per la prima volta in sei mesi ha registrato una flessione (-3,5). Il calo di fiducia ha riguardato in particolare il commercio al dettaglio, i servizi e i consumatori.

Nella media dello scorso anno, il tasso di cambio si è attestato a 1,12 dollari per euro mentre per il 2020, in base all’ipotesi tecnica sottostante la previsione, si stima un progressivo apprezzamento dell’euro fino a 1,14 dollari e poi a 1,18 nel 2021.

Le misure di contenimento dell’epidemia hanno determinato una fortissima contrazione della domanda e della quotazione del petrolio, con un picco negativo ad aprile (18,5 dollari al barile) e una successiva fase di progressivo recupero, seppure su livelli storicamente bassi. Il prezzo del Brent, che nella media del 2019 è stato pari a 64,3 dollari al barile, è previsto attestarsi quest’anno e il prossimo a 41 dollari al barile.

Nel terzo trimestre il Pil italiano, analogamente a quello dei principali Paesi europei, ha segnato una marcata ripresa (+15,9% rispetto al trimestre precedente) diffusa a tutti i principali settori economici. Il rimbalzo del valore aggiunto rispetto ai tre mesi precedenti ha assunto intensità elevate nell’industria in senso stretto (+30,4%) e nelle costruzioni (+45,9%) con risultati ampiamente positivi anche nel commercio, trasporto, alloggio e ristorazione (+25,6%).

Il miglioramento dei ritmi produttivi non ha comunque permesso il recupero dei livelli pre-crisi.
Nel terzo trimestre i livelli del valore aggiunto nei settori delle costruzioni e dell’informazione e comunicazioni risultano in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+5,1% e +3,2%) mentre per gli altri settori economici la variazione tendenziale è stata negativa; l’evoluzione si mantiene negativa anche confrontando i primi 9 mesi del 2020 con lo stesso periodo del 2019 fatta eccezione per i servizi di informazione e comunicazione (+0,3%). Le maggiori difficoltà si registrano per il commercio, trasporto, alloggio e ristorazione (-16,2%) l’industria in senso stretto (-14,4%) le attività professionali, ricerca e servizi di supporto (-12,0%) e quelle artistiche, di intrattenimento e altri servizi (-10,5%).

Le informazioni sul fatturato dei servizi permettono un ulteriore approfondimento per settore, evidenziando il crollo delle attività legate al turismo. Nei primi nove mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente il fatturato ha registrato pesanti diminuzioni per le imprese nel trasporto aereo (-58,3%) nei servizi di alloggio (-52,0%) e nelle attività dei servizi delle agenzie di viaggio, dei tour operator e servizi di prenotazione e attività connesse (-73,2%).

Nel terzo trimestre, la spesa per consumi dei principali paesi europei ha segnato un marcato recupero, con valori più accentuati in Spagna (+22,4%) e Francia (+18,5%) e meno elevati in Germania (+9,9%) dove il calo nel trimestre precedente era stato più contenuto. La ripresa dei consumi delle famiglie è stata trainata dall’aumento della spesa in beni durevoli e servizi, fortemente penalizzata dalle misure di contenimento durante i mesi del lockdown.

I consumi delle famiglie italiane hanno seguito un andamento simile a quello degli altri principali Paesi dell’area euro. Dopo il marcato rallentamento della prima parte dell’anno, la spesa delle famiglie sul territorio economico ha segnato un deciso aumento congiunturale nel terzo trimestre (+15,0%) sostenuto dalla ripresa degli acquisti di beni durevoli e servizi (+46,8% e +16,4% rispettivamente). Anche considerando complessivamente i primi tre trimestri dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la caduta della spesa per consumi (-10,6%) è il risultato della contrazione di quelli in beni durevoli, semidurevoli e dei servizi (rispettivamente -15,9%, -16,4% e -14,8%) e di quelli in beni non durevoli (-2,7%).

In questo contesto, la ripresa dei contagi è attesa influenzare negativamente i prossimi mesi anche se i provvedimenti varati dal Governo dovrebbero consentire una parziale tenuta dei redditi e un contenimento della disoccupazione. Tuttavia, i dati sulla fiducia di novembre mostrano un generalizzato peggioramento, che ha interessato con maggiore intensità le attese sulla situazione economica e sulla disoccupazione.

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Per il 2020, si prevede un’ampia riduzione dei consumi delle famiglie in termini reali (-10,0%) accompagnata da un deciso aumento della propensione al risparmio. Nel prossimo anno la ripresa dei consumi sarà contenuta, condizionata dalla fase di transizione del recupero delle spese nei servizi e della progressiva riduzione dell’incertezza legata all’evoluzione del virus. Nel 2021, è prevista una ripresa della spesa delle famiglie (+4,5%).

La caduta della produzione che ha caratterizzato tutti i Paesi europei ha determinato una netta flessione degli investimenti seppure con intensità diverse tra i paesi e tra gli asset. Nei primi tre trimestri del 2020 la Germania ha registrato un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente meno intenso (-4,5%) di quello segnato in Francia e Spagna (rispettivamente -11,7% e -14,2%).
In Italia, la forte crescita registrata nel terzo trimestre dagli investimenti (+31,3%) trainati dal marcato recupero di quelli in costruzione (+45,1%) non ha comunque compensato le perdite subite nei mesi precedenti (Figura 3).

Il processo di accumulazione di capitale nei primi tre trimestri del 2020 ha registrato una decisa contrazione rispetto allo stesso periodo del 2019 (-9,8%) con una caduta più accentuata negli impianti, macchinari e armamenti (-14,5%) rispetto alle costruzioni (-9,8%) mentre gli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (ricerca e sviluppo e software) appaiono meno condizionati dall’evoluzione del ciclo economico (+0,6%).

L’aumento dell’incertezza e le aspettative future negative sui livelli di produzione hanno costretto le imprese a rivedere i propri piani di spesa in presenza di un basso grado di utilizzo degli impianti (68,4% la media del secondo e terzo trimestre 2020, in calo rispetto al 77% del 2019). Le difficoltà di finanziamento, seppure mitigate dai provvedimenti governativi, hanno costituito un ulteriore freno alle decisioni di investimento.

Nei prossimi mesi, la ripresa degli investimenti da parte delle imprese appare condizionata dalle scelte delle misure del Governo che, nel terzo trimestre, sembrano avere avuto un impatto favorevole per le costruzioni. Tuttavia, un deciso sostegno agli investimenti sia privati sia pubblici è atteso dalla definizione delle scelte legate al Recovery and Resilience Facility Program. In questo contesto per il 2020 si prevede una riduzione degli investimenti lordi fissi (-10,1%) seguita da una ripresa nell’anno successivo (+6,2%).

Il crollo del commercio mondiale, la marcata riduzione dei flussi turistici internazionali e il generalizzato ridimensionamento dell’attività economica internazionale hanno determinato una forte diminuzione degli scambi con l’estero dell’Italia nella prima parte dell’anno sia per il comparto dei beni sia per quello dei servizi. Nei primi nove mesi dell’anno le esportazioni in valore misurate dai conti nazionali sono diminuite complessivamente del 16,5% rispetto allo stesso periodo del 2019 mentre le importazioni sono calate del 14,2%.
Il ridimensionamento degli scambi dell’Italia ha interessato in misura accentuata sia i flussi verso i mercati Ue che quelli extra Ue; tuttavia il calo del volume delle vendite è stato più marcato al di fuori dell’Unione mentre la flessione degli acquisti dall’estero è risultata più consistente per i beni di provenienza europea.
Nel 2020, le esportazioni di beni e servizi, pure se in graduale recupero, si dovrebbero ridurre del 16,4% e le importazioni del 14,0% mentre per il prossimo anno la progressiva ripresa del commercio mondiale è attesa condizionare positivamente sia le esportazioni sia le importazioni (rispettivamente +10,2 e +10,0%) pur senza compensare le perdite registrate nell’anno corrente. Nel complesso, si determinerebbe un miglioramento del saldo della bilancia di beni e servizi.

L’andamento degli indicatori del mercato del lavoro è stato fortemente influenzato dai provvedimenti di parziale chiusura delle attività produttive, dall’adozione dello smart working, dalle misure di limitazione dei comportamenti sociali e dalle politiche realizzate a sostegno dell’occupazione, rendendo difficili le comparazioni internazionali.
In Italia l’insieme di questi eventi ha determinato una evoluzione ciclica delle ore lavorate nella settimana e del numero di occupati presenti nella settimana di riferimento, mentre l’occupazione e la disoccupazione hanno mostrato una maggiore persistenza, seppure in un contesto di riduzione dell’occupazione.
In particolare, a ottobre sono 35 le ore lavorate nella settimana per il totale degli occupati, valore di 0,8 ore inferiore a quello registrato a ottobre 2019, variazione simile a quella segnata nel mese precedente.
La ripresa delle ore lavorate nella settimana (ad aprile il differenziale era di 11,6 ore rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) è avvenuta in presenza di una stabilizzazione dell’occupazione: a ottobre, il numero di occupati è risultato lievemente inferiore rispetto al mese precedente (-0,1%, pari a -13mila unità) mentre nella media agosto-ottobre si è registrato un aumento congiunturale (+0,5%, pari a 115mila unità). Tuttavia a ottobre il numero degli occupati risulta significativamente inferiore a quello di gennaio (circa 400mila unità in meno). Alla riduzione dell’occupazione non è corrisposto, nello stesso periodo, un aumento della disoccupazione (circa di 20mila unità l’aumento rispetto a gennaio) quanto un aumento dell’inattività (circa 250mila unità in più).
Le ore lavorate e le unità di lavoro (ULA) hanno invece mostrato un andamento pro-ciclico rispetto al Pil con una caduta nel secondo trimestre (rispettivamente -15,1% e -14,4%) e una ripresa in T3 (rispettivamente +21,0% e +18,3) evidenziando una più accentuata reattività per gli indipendenti rispetto ai dipendenti. Considerando i primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente entrambi gli aggregati mostrano una decisa diminuzione (-12,0% e -9,9%).
Nel terzo trimestre anche i dati sui posti vacanti hanno registrato un deciso miglioramento (+0,2 punti percentuali la crescita rispetto al trimestre precedente) trainati dall’evoluzione positiva nell’industria (+0,4 p.p.). Tuttavia, a novembre le attese sull’occupazione hanno segnato un deciso peggioramento sia per le imprese sia per le famiglie. Il percorso di ripresa dell’occupazione appare quindi difficile ed è atteso evolversi congiuntamente ad un graduale aumento della disoccupazione e a una riduzione dell’inattività.
L’evoluzione delle ULA rifletterebbe gli andamenti della produzione, con una forte diminuzione nell’anno corrente (-10,0%) e una moderata ripresa nel 2021 (+3,6%). Nel biennio di previsione, gli effetti di ricomposizione nel mercato del lavoro sono attesi influenzare il tasso di disoccupazione che dovrebbe ridursi nell’anno corrente (9,4%) per poi aumentare in quello successivo in presenza di una ripresa dei ritmi produttivi (11,0%).
Nell’anno corrente la riduzione delle ULA, più intensa di quella del monte retributivo, determinerebbe un aumento delle retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente (+1,1%). L’effetto è atteso ridursi nel 2021 (+0,3%).

Da agosto il profilo tendenziale negativo dell’inflazione ha accomunato la maggior parte dei Paesi della zona euro, ma, fino a ottobre, la caduta nella media dell’area è stata più contenuta rispetto a quella del nostro Paese. A novembre, in base alle stime preliminari, il divario si è annullato sia per l’indice complessivo sia per la core inflation, implicando un riavvicinamento dei tassi italiani a quelli europei per le voci più volatili e, tra le componenti di fondo, per i servizi.
Per i prezzi al consumo italiani la fase deflativa, iniziata sul finire della primavera, si è rafforzata nel corso dell’estate, attenuandosi appena negli ultimi mesi. Agli effetti diretti e indiretti prodotti dalla caduta dei prezzi energetici, si è sovrapposta la fase di decelerazione di quelli alimentari che ha riportato il livello dei prezzi in linea con gli andamenti del contesto economico, riassorbendo così i forti rialzi che avevano caratterizzato i mesi del lockdown primaverile. La dinamica retributiva si è mantenuta contenuta in presenza di un generale arretramento dei consumi che, particolarmente rilevante in alcuni comparti, ha inciso in misura considerevole sulla attenuazione dell’inflazione di fondo.
La variazione tendenziale dei prezzi al consumo (indice NIC per l’intera collettività) è passata da un valore appena negativo nel secondo trimestre 2020 (-0,1%) al -0,5% del periodo luglio-settembre; nel bimestre ottobre-novembre è rimasta negativa, pur registrando una leggera attenuazione (-0,2%). L’inflazione di fondo (nell’accezione che esclude energia, alimentari e tabacchi) si è progressivamente indebolita (+0,5% in T2) annullandosi sostanzialmente nel terzo trimestre (+0,1%) e risalendo in misura contenuta nel bimestre successivo (+0,3%).

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Foto di Eak K. da Pixabay