Poste: “Nessun giovane vuol fare il portalettere”. Lottiamo Insieme: “Storytelling aziendale”.

Come ogni anno, durante la stagione estiva Poste Italiane non trova lavoratori per il ruolo di portalettere perché a detta di alcuni responsabili facenti capo alle attività di recapito “nessun giovane lo vuole fare”. Parole inaccettabili per il Movimento Lottiamo Insieme, critico verso lo storytelling aziendale.

“Iniziamo sfatando il mito dei giovani che non hanno voglia di lavorare: oltre 10 mila idonei in graduatoria attendono da tempo la stabilizzazione – spiegano dal movimento -. Contestualmente, migliaia di altri giovani, tutti rigorosamente precari, con la prospettiva di poter ottenere un lavoro a tempo indeterminato dopo dodici mesi di impiego precario, accettano supinamente l’imposizione di turni massacranti e straordinari non pagati, come se fosse la normalità”.

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La società, primo datore di lavoro del Paese con 120 mila dipendenti, è controllata dallo Stato attraverso il Ministero dell’economia e delle finanze che detiene una quota del 29,6% e di Cassa depositi e prestiti titolare del 35%. “Tuttavia – si legge nella nota del movimento -, nonostante la sua vocazione pubblica e l’evidente utilità sociale, nel corso degli anni ha sviluppato un modello di gestione del servizio postale universale incentrato sul lavoro povero e precario. A fronte delle 90 mila lavoratrici e lavoratori precari, soprattutto giovani, che hanno prestato servizio dal 2017 al 2023, Poste Italiane ha provveduto a stabilizzarne a malapena 12.500. Un dato sconcertante, se si considera che in media solo un giovane su sette riesce a ottenere l’assunzione a tempo indeterminato; i restanti sono relegati in un limbo di incertezza, marginalizzati e invisibilizzati”.

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Quindi, contrariamente a quanto sostenuto attraverso gli spot pubblicitari, secondo Lottiamo Insieme “Poste Italiane non cerca lavoratori, ma braccianti a breve termine”, offrendo “pessime condizioni lavorative e retribuzioni basse”.

Movimento che negli ultimi mesi ha promosso dibattiti e iniziative per fare luce sul tema. Attività, ricordano, che non hanno visto alcuna partecipazione dei principali sindacati Cgil, Cisl e Uil: “Ipotizziamo che vi sia una precisa scelta sindacale di sostenere la crescita dell’azienda indipendentemente dagli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. Ciò desta notevoli preoccupazioni, e nel caso specifico della Cgil anche una certa perplessità: com’è possibile promuovere un referendum contro il lavoro povero e precario e allo stesso tempo fare “spallucce” dinanzi a un disastro occupazionale di tale portata?”, concludono dal movimento.

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