Popolazione italiana: meno residenti, più anziani e famiglie più piccole.

Le nuove previsioni sul futuro demografico del Paese, aggiornate al 2021, confermano la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 mln nel 2030, a 54,2 mln nel 2050 fino a 47,7 mln nel 2070.

Sul territorio nazionale, entro 10 anni, in quattro comuni su cinque è atteso un calo di popolazione, in nove su 10 nel caso di comuni di zone rurali.

In crescita le famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.

Popolazione in calo progressivo. Sulla base dello scenario di previsione “mediano” è attesa una decrescita della popolazione residente nel prossimo decennio: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 (punto base delle previsioni) a 57,9 milioni nel 2030, con un tasso di variazione medio annuo pari al -2,5‰. Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 57,9 milioni a 54,2 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰).

Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si fanno più importanti. Tra il 2050 e il 2070 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 6,4 milioni (-6,3‰ in media annua). Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 47,7 milioni nel 2070, conseguendo una perdita complessiva di 11,5 milioni di residenti rispetto a oggi.

Le previsioni demografiche sono, per costruzione, tanto più incerte quanto più ci si allontana dall’anno base. L’evoluzione della popolazione totale rispecchia tale principio già dopo pochi anni di previsione. Nel 2050 il suo intervallo di confidenza al 90% (ovvero che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilità pari al 90%) oscilla tra 51,1 e 57,5 milioni. Venti anni dopo si è tra 41,2 e 55,1 milioni.

Così, se dal lato più favorevole la popolazione potrebbe subire una perdita di “soli” 4,2 milioni tra il 2021 e il 2070, dall’altro si potrebbe pervenire a un calo di ben 18 milioni. Risulta pertanto pressoché certo che la popolazione andrà incontro a una diminuzione. Infatti, sebbene non sia esclusa l’eventualità che la dinamica demografica possa condurre a una popolazione nel 2070 più ampia di quella odierna, la probabilità empirica che ciò accada è minima, risultando pari all’1,0% (percentuale di casi favorevoli all’evento sul totale delle simulazioni condotte).

La questione investe tutto il territorio, pur con differenze tra Centro-nord e Mezzogiorno. Sempre secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (-0,9‰ annuo fino al 2030) e nel Centro (-1,6‰) una riduzione della popolazione meno importante rispetto al Mezzogiorno (-5,3‰). Nel periodo intermedio (2030-2050), e ancor più nel lungo termine (2050-2070), tale tendenza si rafforza, con un calo di popolazione in tutte le ripartizioni geografiche ma con più forza in quella meridionale. Nel Nord, in genere meno sfavorito, la riduzione media annua sarebbe dell’1,4‰ nel 2030-2050 e del 4,2‰ nel 2050-2070, contro -6,8 e -10,1‰ nel Mezzogiorno.

Anche l’evoluzione della popolazione nelle ripartizioni geografiche è contrassegnata da incertezza. Per il Nord è difficile individuare la direzione del cambiamento demografico, se orientato alla crescita, come indicato dal limite superiore dell’intervallo di confidenza al 2070 (28,3 milioni), oppure alla decrescita, guardando all’inferiore (20,8). La sua popolazione finale, quindi, ricade tra due valori rispettivamente al di sotto e al di sopra di quello nell’anno base, per quanto lo scenario mediano (24,4 milioni) indichi come più probabile una sua diminuzione. Centro e Mezzogiorno presentano, invece, ipotesi al 2070 i cui valori massimi previsti (11,3 e 15,4 milioni) sono inferiori a quelli delle rispettive popolazioni iniziali.

Dinamiche demografiche nel segno di un crescente sbilanciamento. Da circa 15 anni l’Italia sta affrontando un ricambio naturale negativo, alla base della riduzione della popolazione, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero di segno positivo.

Gli scenari previsivi di nascite e decessi sono collegati a tale processo, misurando la tendenza a registrare annualmente saldi negativi per il movimento naturale della popolazione. Neanche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero proiettato di nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi. Ad esempio, il limite superiore dell’intervallo di confidenza al 90% per le nascite (scenario nel quale il numero medio di figli per donna cresce fino a 1,88 nel 2070) identifica un quantitativo di nati più basso dei decessi previsti lungo il limite di confidenza inferiore.

Nello scenario mediano, dove si contempla una crescita della fecondità da 1,25 figli per donna nell’anno base a 1,55 nel 2070, il massimo delle nascite conseguito risulterebbe pari a 424mila unità nel 2038. Dopo tale anno, l’ulteriore aumento dei livelli riproduttivi medi non conduce, quindi, a un parallelo aumento dei nati, in quanto le donne in età fertile tenderanno a diminuire nonché a invecchiare in media, riducendo il potenziale riproduttivo del Paese.

Da analoghe perturbazioni di origine strutturale potrà a sua volta dipendere l’evoluzione della mortalità, che proseguirà a esprimere anno dopo anno un numero sostenuto e crescente di eventi di decesso, fino a un massimo di 832mila nel 2058 secondo lo scenario mediano. Questo pur in un contesto di buone aspettative sull’evoluzione della speranza di vita (86,5 e 89,5 anni quella prevista alla nascita nel 2070, rispettivamente per uomini e donne) e, pertanto, in linea con quello che sarà il livello di invecchiamento della popolazione.

Alla luce delle ipotesi condotte, i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale. Nondimeno, essi si mostrano comunque contraddistinti da incertezza profonda, essendo svariati i fattori che possono dare adito a scenari diversificati. Per restare a quanto avvenuto negli ultimi anni, basti pensare alla drastica riduzione delle migrazioni dettata dalla pandemia nel 2020, alla successiva ripresa economica avviata nel 2021 che ha agito da leva naturale per il richiamo degli immigrati nel Paese, al clima di fiducia generato dalle prospettive sul PNRR e, infine, alle attuali incertezze dettate dalla crisi bellica e da quella energetica sul piano internazionale.

Lo scenario mediano contempla movimenti migratori netti con l’estero ampiamente positivi, pur con una tendenza lievemente decrescente, da oltre 150mila unità annue a circa 120mila tra il 2021 e il 2070. Nel complesso del periodo previsivo si prefigura l’insediamento a carattere permanente nel Paese di 13,2 milioni di immigrati mentre ammonterebbe a 6,7 milioni l’entità degli emigrati all’estero.

LEGGI ANCHE:  Approvvigionamento di gas: le scelte strategiche "cannate" dal Governo del Bel Paese.

L’analisi di risultati a così lungo termine deve però necessariamente accompagnarsi a una grande cautela, al punto che l’intervallo di confidenza al 90% del saldo migratorio netto con l’estero restituisce nel 2070 degli estremi che variano da -20mila a +268mila, rivelando, di fatto, due fotografie distinte. Da un lato quella di un Paese attrattivo, dall’altro quella di un Paese che potrebbe mutare la sua attuale natura di accoglienza per tornare a essere un luogo da cui emigrare.

Sempre più anziani, si accentuano gli squilibri strutturali. La popolazione di 65 anni e più oggi rappresenta il 23,5% del totale, quella fino a 14 anni di età il 12,9%, quella nella fascia 15-64 anni il 63,6% mentre l’età media si è avvicinata al traguardo dei 46 anni. Di fatto, la popolazione del Paese è già ben dentro una fase accentuata e prolungata di invecchiamento. Dalle prospettive future scaturisce un’amplificazione di tale processo, perlopiù governato dall’attuale articolazione per età della popolazione e, solo in parte minore, dai cambiamenti immaginati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di due terzi e un terzo rispettivamente.

Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,9% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un campo di variazione compreso tra un minimo del 33% a un massimo del 36,7%. Comunque vadano le cose, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente di anziani.

I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,7% del totale, registrando quindi una lieve flessione. Sul piano dei rapporti intergenerazionali, tuttavia, si presenterebbe il tema di un rapporto a quel punto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di circa tre a uno.

Nel frattempo, a contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni ’60 e prima metà dei ’70) tra le età adulte e senili, con concomitante e repentina riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe dal 63,6% (37,7 milioni) al 53,4% (28,9 milioni) in base allo scenario mediano, con una forchetta potenziale compresa tra il 52% e il 54,8%. Come per la popolazione anziana, quindi, anche qui si prospetta un quadro evolutivo certo, con potenziali effetti sul mercato del lavoro, sulla programmazione economica, sul mantenimento del livello di welfare necessario al Paese.

Un parziale riequilibrio nella struttura della popolazione potrebbe rivelarsi solo nel lungo termine, via via che le generazioni nate negli anni del baby boom tenderanno a estinguersi. In base allo scenario mediano, i 15-64enni potrebbero riportarsi al 54,3% entro il 2070 mentre gli ultrasessantacinquenni ridiscendere al 34,1%. Stabile, invece, la popolazione giovanile con un livello dell’11,6%.

Tra le potenziali trasformazioni demografiche va evidenziato il marcato processo di invecchiamento del Mezzogiorno. Per quanto tale ripartizione geografica presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, l’età media dei suoi residenti transita da 45 anni nel 2021 a 49,9 anni nel 2040 (scenario mediano), sopravanzando il Nord che raggiunge un’età media di 49,2 anni, partendo nell’anno base da un livello più alto, ossia 46,4 anni. Guardando alle prospettive di lungo termine, il Mezzogiorno rallenterebbe ma non fermerebbe il suo percorso, raggiungendo un’età media della popolazione prossima ai 52 anni. A quel punto, invece, sia il Nord (49,7 anni) sia il Centro (51,1) avrebbero già avviato il percorso contrario, ossia quello verso una struttura per età in piccola parte ringiovanita.

Quattro Comuni su cinque in calo demografico nel giro di dieci anni i). Entro 10 anni andrà incontro a un calo demografico un numero crescente di Comuni, l’80% secondo lo scenario mediano, entro il 2031. Ciò si deve alla bassa fecondità, che colpisce uniformemente alla base la struttura per età delle popolazioni, ma anche a livelli migratori sfavorevoli per alcune realtà territoriali, laddove è più forte tanto l’emigrazione per l’estero quanto quella per l’interno.

A livello nazionale si valuta che tra il 2021 e il 2031 i Comuni delle zone rurali possano nel complesso registrare una riduzione della popolazione pari al 5,5%, passando da 10,1 a 9,5 milioni di residenti. In tali aree i Comuni con saldo negativo della popolazione sono l’86% del totale. La questione investe soprattutto le aree del Mezzogiorno, dove i Comuni delle zone rurali con bilancio negativo sono il 94% del totale e dove si riscontra una riduzione della popolazione pari all’8,8%.

Per i 1.060 Comuni che ricadono nelle Aree interne, particolari zone del territorio nazionale che si contraddistinguono per la distanza fisica dall’offerta di servizi essenziali, la condizione demografica risulta ancor più sfavorevole. Qui, infatti, la quota di Comuni con saldo negativo della popolazione nel decennio sale al 94%, facendo nel complesso registrare una riduzione della popolazione pari al 9,1% (del 10,4% considerando il solo Mezzogiorno).

In una situazione relativamente migliore si collocano i Comuni a densità intermedia (piccole città e sobborghi), dove il calo demografico atteso è dell’1,9% (la popolazione transita nel decennio da 28,3 a 27,7 milioni). In tale area è minore anche la quota di Comuni interessati dal calo demografico, il 70% del totale, che tuttavia sale all’84% nel solo Mezzogiorno. Infine, sebbene a un livello minore, anche Città e Zone densamente popolate saranno interessate da spopolamento. La capacità attrattiva delle aree a più forte urbanizzazione farà sì che nel decennio il calo complessivo della popolazione sia solo dell’1,8%, con il 65% dei Comuni destinati a subire un saldo negativo tra i propri residenti.

Nel 2041 un milione di famiglie in più, ma mediamente più piccole. Nel giro di venti anni si prevede un aumento del numero di famiglie di circa un milione di unità: da 25,3 milioni nel 2021 si arriverebbe a 26,3 milioni nel 2041 (+3,8%). Si tratta di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti potrà scendere da 2,3 persone nel 2021 a 2,1 nel 2041. Anche le famiglie con almeno un nucleo (ossia contraddistinte dalla presenza di almeno una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio) varieranno la loro dimensione media da 3,0 a 2,8 componenti.

A incidere sull’aumento del numero complessivo di famiglie sono le famiglie senza nuclei, che con un incremento del 20,5%, da nove a circa 11 milioni nel periodo 2021-2041, arriverebbero a costituire il 41,4% delle famiglie totali. Al contrario, le famiglie con almeno un nucleo seguirebbero una tendenza opposta, presentando una diminuzione del 5,4% nei 20 anni considerati. Tali famiglie, oggi pari a 16,3 milioni ossia il 64,3% del totale, nel 2041 scenderebbero a 15,4 milioni così rappresentando il 58,6%.

LEGGI ANCHE:  Ue. Cittadinanza concessa a quasi 1 milione di persone nel 2022. +92mila in Italia.

Tra 20 anni oltre 10 milioni di persone sole. Il calo delle famiglie con nuclei deriva dalle conseguenze di lungo periodo delle dinamiche socio-demografiche in atto in Italia: l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole; il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui e genitori soli.

Alle persone sole, comunque associate al concetto di famiglia per quanto micro, si deve principalmente la crescita assoluta del numero totale di famiglie. Gli uomini che vivono soli avranno un incremento del 18,4%, arrivando a superare i quattro milioni nel 2041. Le donne sole sarebbero destinate ad aumentare ancora di più, da 4,9 a quasi 6 milioni, con una crescita del 22,4%. Le famiglie monocomponente, soprattutto per la loro composizione per età, hanno una ricaduta sociale importante: è, infatti, principalmente nelle età avanzate che aumentano molto le persone sole.

Se già nel 2021 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta la metà di chi vive da solo, nel 2041 raggiungerebbe il 60%. In termini assoluti, le persone sole arriverebbero a 10,2 milioni (+20%), di cui 6,1 milioni avranno 65 anni e più (+44%). Nel 2021 tra gli uomini che vivono soli, circa uno su tre ha più di 65 anni (32,3%) mentre tra le donne il rapporto sale a oltre tre su cinque (63,1%). Negli anni le previsioni mostrano uno scenario in cui l’incidenza di uomini e donne di 65 anni e più nel complesso delle famiglie unipersonali aumenta sostanzialmente, per cui gli uomini arriverebbero nel 2041 a costituirne il 42,5% e le donne addirittura il 72,2%.

L’aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza. Un maggior numero di anziani soli può però generare anche risvolti positivi; la più lunga sopravvivenza, caratterizzata, si presuppone, anche da una migliore qualità della vita, potrebbe consentire a queste persone di svolgere un ruolo attivo nella società: ad esempio, come già accade oggi e verosimilmente un domani, supportando le famiglie dei propri figli nella cura dei nipoti e garantendo loro sostegno economico, partecipando al ciclo economico nella veste di consumatori di servizi assistenziali ma anche in quella di investitori di capitali.

Coppie con figli in calo. Sulla base dei livelli di fecondità riscontrati negli ultimi anni e delle ipotesi prodotte nello scenario mediano su questo tema, si prevede una sostanziale diminuzione delle coppie con figli. Questa tipologia familiare, che oggi rappresenta circa un terzo delle famiglie totali (32,5%), nel 2041 potrebbe rappresentarne meno di un quarto (24,1%). Tra il 2021 e il 2041 la loro consistenza diminuirebbe del 23%, passando da 8,2 a 6,3 milioni. In particolare, tenendo in considerazione l’età dei figli, la diminuzione più consistente si registrerebbe tra le coppie con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 19 anni (-26%). Con una diminuzione da 5,3 milioni di famiglie nel 2021 a 3,9 milioni nel 2041, la loro quota scenderà dal 21% al 15% del totale delle famiglie.

Investire nelle persone
Persone

In crescita coppie senza figli e genitori soli. Nello stesso frangente temporale le coppie senza figli aumenterebbero da 5 a 5,7 milioni, per un incremento del 13%, e con una quota sul totale che salirebbe dal 19,8 al 21,5%. Se tali tendenze dovessero proseguire con la stessa intensità prevista fino al 2041, le coppie senza figli potrebbero numericamente sorpassare quelle con figli già entro il 2045.

L’instabilità coniugale, sempre più diffusa nel Paese, contribuirà all’aumento di famiglie composte da un genitore solo, maschio o femmina, con uno o più figli. Nel 2021 i monogenitori sono in totale 2,7 milioni, più madri (2,2 milioni) che padri (poco più di 500mila) che rispettivamente rappresentano l’8,7% e il 2,1% del totale delle famiglie.

Se in passato, a seguito di uno scioglimento della coppia, i figli (soprattutto se piccoli) venivano generalmente affidati alle madri, dalla promulgazione della legge sull’affido congiunto del 2006 questa prevalenza è andata diminuendo. Ciò ha determinato una sempre maggiore diffusione di padri in qualità di genitori affidatari nelle sentenze di separazione o divorzio. Entro il 2041 i padri soli, pur rimanendo minoritari rispetto alle madri sole, potrebbero risultare pari a circa 800mila (il 2,9% del totale delle famiglie). In tale anno le madri sole arriverebbero con un piccolo incremento a 2,3 milioni (8,8% del totale), cosicché il totale di monogenitori sarebbe pari a 3,1 milioni.

Nel complesso, l’aumento dei genitori soli dal 10,8% all’11,7% del totale delle famiglie rimane comunque di modesta entità, in quanto contrastato dal continuo calo delle nascite, nonché dalla tendenza a riaggregarsi ad altre famiglie o a formare famiglie ricostituite.

Nella composizione dei nuclei monogenitori per età dei figli, ad aumentare, pur con una consistenza contenuta, saranno soprattutto i padri soli con figli di 20 anni e più, che nel 2041 supererebbero le 500mila unità mentre quelli con almeno un figlio fino a 19 anni sarebbero poco più di 200mila.

Forte effetto delle trasformazioni demografiche e sociali sui ruoli familiari. La dinamica demografica espressa in passato e quella attesa in prospettiva determinano una riduzione delle nuove generazioni, in termini tanto assoluti quanto relativi. La struttura per età della popolazione evidenzia, già oggi, un elevato squilibrio a favore delle generazioni più anziane e non ci sono al momento fattori che possano far pensare a inversioni di rotta. Dalle previsioni demografiche appare poco probabile una svolta nel numero delle nascite negli anni a venire, pur a fronte di ipotesi favorevoli nei confronti della propensione media di riproduttività da parte delle coppie. Ciò sia a causa del numero decrescente di donne in età fertile che della prolungata tendenza a posticipare la genitorialità.

Il confronto tra la popolazione al 2021 e quella prevista al 2041, distinta per ruoli familiari, mostra i cambiamenti demografici e sociali che si prevedono in questi venti anni. In particolare, si osserva un aumento dei genitori soli, delle persone sole e delle persone in coppia senza figli, queste ultime soprattutto se anziane.

LEGGI ANCHE:  Immobili: una abitazione su quattro non è occupata.

Si allunga la durata di vita delle coppie anziane senza figli. L’aumento delle persone in coppia senza figli avrà intensità maggiore tra le persone di 65 anni e più, per le quali la prolungata sopravvivenza del partner e/o l’uscita dei figli dalla famiglia fanno sì che si prolunghi il periodo in cui si rimane in coppia in assenza (per indipendenza o mancanza) di figli.

Tra le persone sole l’aumento sarebbe consistente per le donne dai 65 anni e per gli uomini dai 75 anni in poi. Al contrario, risultano importanti le diminuzioni che verrebbero a verificarsi nelle età centrali per le persone in coppia, soprattutto se con figli piccoli: diminuirebbero in misura più consistente le persone tra 35 e 59 anni di età che vivono in coppia e hanno almeno un figlio sotto i 20 anni, mentre tra coloro che hanno solo figli di 20 anni e più la diminuzione avverrà perlopiù tra i 50 e i 64 anni. A causa della bassa natalità, inoltre, anche la posizione di figlio nelle età giovanili registra una diminuzione, pur mantenendosi prevalente fino a 29 anni di età a causa della permanenza nella famiglia di origine.

Trasformazioni familiari in ogni area territoriale. Le tipologie familiari rispondono a dinamiche demografiche e comportamenti sociali ben precisi e specifici delle diverse zone del Paese, con differenze più marcate tra Nord e Mezzogiorno.

Al Nord, nel 2021, la quota di famiglie con almeno un nucleo è più bassa, precisamente il 64% contro il 67% del Mezzogiorno. Il cambiamento atteso per questo tipo di famiglie è consistente, tanto che nel 2041 potrebbero costituire il 58% delle famiglie totali al Nord e il 61% nel Mezzogiorno, registrando in entrambi i casi una riduzione di 6 punti percentuali. Nel Centro, le famiglie con nucleo avrebbero una riduzione simile, pari a circa 5 punti percentuali, arrivando a costituire il 57% delle famiglie totali, con un avvicinamento al Nord.

La tipologia familiare coppia con figli è quella che si prevede possa subire il cambiamento più evidente nei prossimi vent’anni. Nel Mezzogiorno il calo atteso è di circa nove punti percentuali (dal 37% nel 2021 al 28% nel 2041), mentre nel Nord (dal 31% al 23%) e nel Centro (dal 30% al 22%) è di circa otto, cosicché il Mezzogiorno manterrebbe comunque una proporzione più alta di coppie con figli.

La maggior parte della riduzione della tipologia “coppia con figli” riguarda le coppie con almeno un figlio sotto i 20 anni di età, rispetto alle coppie con soli figli di 20 e più anni. Nel Nord, la prima tipologia scende dal 21% nel 2021 al 16% nel 2041 (-5 punti percentuali rispetto agli otto persi dalle coppie con figli a prescindere dalle età dei figli), nel Centro dal 19% al 13% (-6 punti persi su otto complessivi).

Nel Mezzogiorno, le previsioni evidenziano una crisi demografica più ampia. Qui, le coppie con almeno un figlio sotto i 20 anni di età diminuirebbero di sette punti percentuali sui nove complessivi delle coppie con figli. Per le coppie con figli “giovani” si assiste quindi a un processo di convergenza territoriale. Lo stesso, al contrario, non può dirsi per le coppie con figli “maturi”, dove permane una differenza a favore del Mezzogiorno, in parte dovuta anche al fatto che in questa zona del Paese i tempi di uscita dalla famiglia di origine sono più lunghi.

Dimensione media della famiglia ovunque in ribasso. Le differenze di genere nella sopravvivenza danno luogo annualmente a una crescita nel numero di donne che vivono sole. Per l’Italia nel complesso si prevede che questa tipologia familiare possa costituire circa il 23% delle famiglie totali entro il 2041, da un valore odierno superiore al 19%, generando pertanto una variazione di circa quattro punti percentuali. Una variazione che, se nel Centro e nel Nord (dal 20% al 23%) è di circa tre punti percentuali, nel Mezzogiorno ne consegue cinque (dal 18% al 23%), dando luogo negli anni a venire a un processo di convergenza.

Tra gli uomini che vivono soli, al contrario, il processo di convergenza interessa il solo Nord nei riguardi del Centro. Entrambe le ripartizioni dovrebbero presentare nel 2041 una quota di famiglie formata da uomini soli pari al 17%, a fronte di un dato nazionale pari al 16%.

Il Mezzogiorno, da parte sua, mantiene la sua specificità territoriale, presentando un’evoluzione comunque in crescita ma più limitata, grazie alla quale la proporzione di uomini soli si attesterebbe sotto il 14% delle famiglie totali entro il 2041. Ciò si deve principalmente a due fattori: da un lato la presenza di differenze territoriali per quel che riguarda la speranza di vita, dall’altro l’esistenza di una maggiore predisposizione da parte degli uomini, in generale e nella fattispecie nel Mezzogiorno, a entrare in una seconda unione in caso di vedovanza o a seguito dello scioglimento dell’unione precedente.

Le coppie senza figli continueranno a essere più diffuse al Nord, pur conseguendo un incremento contenuto (dal 22% a oltre il 23%). Un cambiamento più importante è previsto nel Mezzogiorno, dove, a fronte di una situazione iniziale meno diffusa, le coppie senza figli aumenterebbero dal 17% a circa il 20% di tutte le famiglie, raggiungendo i valori del Centro (da oltre il 18% a circa il 20%). Nel Centro risultano peraltro maggiormente presenti i genitori soli, che incrementano la loro quota dal 12% nel 2021 a circa il 14% nel 2041, mentre al Nord e nel Mezzogiorno i livelli raggiunti nel 2041 risulterebbero pari, rispettivamente, a circa l’11% e al 12% delle famiglie.

Il combinato disposto delle trasformazioni familiari previste farebbe sì che la dimensione familiare media continui a scendere, non solo sul piano nazionale (da 2,3 a 2,1 componenti), ma anche seguendo le specificità demografiche e sociali del territorio.

Il Nord e il Centro, con valori attuali e traiettorie future assai simili, perverranno a un valore medio di componenti simile e prossimo al dato nazionale. Il Mezzogiorno, grazie a tassi di fecondità più elevati del recente passato, si è sempre connotato per la presenza di famiglie mediamente più numerose che nel resto del Paese. Oggi, con livelli riproduttivi più contenuti anche nel Mezzogiorno, questo primato (2,5 componenti) tende a farsi meno netto. In futuro, per quanto si preveda possa mantenerlo fino al 2041, l’aspettativa è per un ulteriore diminuzione fino a 2,2 componenti.

Foto di Eak K. da Pixabay