“Polveriera Sardegna”. Sempre meno giovani, sempre meno legislatori capaci.
Nell’Isola, tra strategie politiche settarie, anacronistiche e assenza di dialogo con le migliori buone pratiche sarde, continua a consumarsi il fenomeno dello spopolamento e della diminuzione della forza produttiva.
Con una Sardegna sempre più alle prese con un saldo naturale negativo, un abbassamento del numero medio di figli per donna e con l’assottigliamento della base occupazionale, l’impressione è che ormai non ci sia più niente da fare, se non assistere al deterioramento di tutti i parametri socioeconomici della regione.
L’ineluttabile risultato delle politiche “non pervenute” del Governo Todde, poi, dovrebbe ulteriormente deprimere anche gli ultimi ottimisti nell’Isola. Una espressione sempre più esclusivamente geografica dove è prevista la perdita di almeno 185mila unità di popolazione attiva nei prossimi 20 anni, senza alcuna speranza di ricambio generazionale. A suggerire tale pessimismo anche la considerazione sulla presenza di giovani in Sardegna e la contestuale assenza di percorsi per la loro inclusione, senza contare, ad oggi, che su 266 anziani ci sono soltanto 100 giovani e che si pagano ormai più pensioni che stipendi nei circa 24.090 km2 della seconda isola del Mediterraneo.
“Un’isola bellissima”, dove la popolazione 15-29 anni non occupata e inserita in un percorso formativo o di istruzione è pari al 27,6% e dove l’abbandono scolastico ha raggiunto il 25,1%.
Sardi, ancora, sempre più anziani con una età media di 48,8 anni al 1° gennaio 2024, una popolazione 15-64 pari a 992.890, una forza lavoro di 621mila unità e un tasso di disoccupazione al 10,1%. Numeri devastanti sommando anche i 372.179 inattivi e i 97.629 scoraggiati.
Dati che evidenziano una regione sempre più fragile anche sotto il profilo prettamente economico. La Sardegna, infatti, è la 178a (su 242) regione europea per Prodotto interno lordo con sempre meno imprese attive (ora circa 144mila). Numeri che non potranno che diminuire sotto i colpi della crisi di competitività e della mancanza di politiche d’urto, aumentando, tra l’altro, anche il grave livello di deprivazione materiale e sociale in Sardegna che, ad oggi, colpisce il 6,9% delle famiglie, mentre il 15,3% delle famiglie sarde è alle prese con la povertà relativa e il 9,2% con quella assoluta.
Una popolazione, quindi, che invecchia male e con sempre meno servizi, come ci ricorda la piaga della sanità sarda. Qui, infatti, la Sardegna è al primo posto in Italia per rinuncia alle prestazioni sanitarie per disservizi vari. Ancora, il 12,3% della popolazione è bisognoso di cure, nessun medico vuole venire a lavorare nell’isola, le liste di attesa sono sempre più lunghe e i “cervelloni” del Governo dei migliori continuano ad aumentare i disagi per la popolazione per seguire bieche politiche ideologiche finalizzate a non includere pienamente la sanità privata per l’abbattimento dei ritardi.
Ritardi che non possono che diventare strutturali in una regione dove è ben noto il livello di arretratezza del sistema infrastrutturale sardo. Ma chi vorrebbe mai investire in questa “espressione geografica?”. Mancano investimenti per le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali. Ragionando su quest’ultimo aspetto, è evidente l’assenza di un collegamento stradale/ferroviario con l’interno dell’Isola. I “poco usciti” devono rimanere tali…
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