Pnrr, Adecco: “Per il 40% degli italiani non sarà rilevante”.

Quali saranno le prospettive occupazionali per donne e giovani nei prossimi anni? Come il Pnrr – sempre più salvifico stando alle continue dichiarazioni politiche – favorirà l’economia e l’occupabilità delle categorie più penalizzate? A queste domande ha provato a rispondere l’Adecco, con il white paper “Re-start generation”.
Uno studio nato dall’esigenza di analizzare le implicazioni che il Pnrr avrà sul mercato del lavoro e gli impatti previsti sulle fasce della società maggiormente colpite dalla crisi: donne e giovani.

Nel dettaglio, il documento ha esaminato le sei missioni previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, sottoponendo, inoltre, una survey su un campione rappresentativo della popolazione, per raccontare la visione degli italiani sulle riforme che il Governo Draghi sarà chiamato a varare nei prossimi mesi.

Gli italiani, secondo il report, confermano la loro fiducia nei confronti di Mario Draghi: quasi un italiano su 2 (45%) dichiara infatti che il Governo presieduto dall’ex Governatore della Bce (paragonato ai due precedenti) è il più adatto per portare a termine una serie di riforme per il Paese. Ancora, il 38% degli intervistati concorda con il Pnrr nel considerare la formazione e le politiche attive priorità su cui lavorare per migliorare il mercato del lavoro. Il 21% invece avrebbe preferito destinare più risorse al potenziamento dei centri per l’impiego e l’11% punterebbe sulla riduzione del gender gap

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Quasi un italiano su due (40%) – ma sarebbe interessante fare un’analisi sul livello di conoscenza reale del Pnrr – dichiara che i benefici prodotti dal Piano saranno positivi per l’economia ma non così rilevanti da essere percepiti dal singolo cittadino. Per il 17%, inoltre, le riforme del Pnrr saranno positive per l’economia italiana, mentre secondo il 18% il Piano non produrrà alcun effetto positivo.

Secondo le rielaborazioni di Adecco, sulle stime pubblicate dal governo, grazie agli investimenti inclusi nel Piano, si prevede che nel triennio 2024/26 l’incremento occupazionale delle donne raggiungerà la soglia di +380.000 unità, mentre saranno +81 mila i giovani che troveranno un impiego.

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Il documento sottolinea, però, come questi obiettivi potranno essere raggiunti solo avviando fin da subito percorsi di reskilling e upskilling, per accompagnare imprese e lavoratori. Le competenze, infatti, saranno lo strumento grazie a cui giovani e donne potranno essere protagonisti del proprio futuro professionale, ma, per metterle in pratica in modo efficace, è fondamentale mettere a punto percorsi di formazione che rispondano alle esigenze reali del mercato, coinvolgendo tutti gli attori in gioco: cittadini, imprese e istituzioni. Insomma, si dovrà smettere di finanziare un sistema della formazione buono soltanto a produrre certificati di carta senza collegamenti sostanziali con il mondo produttivo.

Secondo l’indagine a campione, ancora, investendo in processi di trasformazione digitale si arriverà alla ‘fine del lavoro’ per effetto dell’automazione dei processi. Un sentiment che contrasta con quanto ‘propinato’ in merito al refrain della transizione green e digitale, che introdurrà importanti riconversioni industriali, mettendo in certi casi fine ad alcune funzioni a vantaggio di nuove mansioni e nuove produzioni, con la potenziale creazione di circa 18 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo entro il 2030.

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