Plastica, Greenpeace: “Serve accordo vincolante”.

In concomitanza con l’avvio dell’ultimo round di negoziati per definire un trattato globale sulla plastica, Greenpeace ha issato una bandiera raffigurante un gigantesco occhio su una gru alta dieci piani. L’opera, ideata dall’artista Dan Acher in collaborazione con Greenpeace East Asia, è costituita dai ritratti di migliaia di volti di attiviste e attivisti di tutto il mondo, inclusi quelli di attori noti come William Shatner e James Cromwell. L’installazione, oltre a rappresentare le istanze globali per ottenere un trattato che riduca la produzione di plastica e azzeri il monouso, è messaggio per i leader mondiali: il mondo vi sta osservando e chiede un trattato ambizioso per affrontare questa emergenza.

Oggi sono ufficialmente iniziati i negoziati della quinta, e ultima, sessione del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-5), per definire il futuro della lotta contro l’inquinamento da plastica. Fino al prossimo 1° dicembre, presso il Busan Exhibition and Convention Center in Corea del Sud, i delegati di tutto il mondo si confronteranno con l’obiettivo di raggiungere un accordo internazionale legalmente vincolante. Tra i temi centrali ci sono la drastica riduzione della produzione di plastica, l’eliminazione di quella monouso e l’impatto dell’inquinamento sull’ambiente, compreso quello marino.

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“Inizia la fase cruciale dei negoziati per il trattato sulla plastica e i governi devono agire per tutelare le persone e il pianeta anziché preservare gli interessi delle aziende dei combustibili fossili e dell’industria petrolchimica”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Un trattato debole sarebbe un fallimento. Abbiamo bisogno di un accordo ambizioso e legalmente vincolante per ridurre la produzione di plastica ed eliminare la plastica monouso, per proteggere la nostra salute, le nostre comunità, il clima e il pianeta”. 

Greenpeace, insieme al movimento Break Free from Plastic, ha consegnato le firme di oltre due milioni di persone che in questi anni, e in tutto il mondo, hanno sottoscritto la petizione. L’ Italia ha contribuito a questo appello in maniera significativa, raccogliendo oltre 350 mila adesioni. La petizione chiede ai governi di andare oltre il riciclo come unica soluzione e di impegnarsi a ridurre la produzione di plastica di almeno il 75% entro il 2040 per contenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5°C proteggendo così clima, salute, diritti umani e comunità; vincolare le grandi multinazionali a vendere sempre più prodotti sfusi o con packaging riutilizzabile; assicurare che i Paesi sviluppati guidino una giusta transizione e offrano supporto ai Paesi in via di sviluppo; dare voce a Popoli Indigeni, comunità vulnerabili e lavoratori nella progettazione di una transizione verso un’economia basata sul riuso.

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In Italia, da tempo Greenpeace denuncia come il racconto di un Paese all’avanguardia nel riciclo della plastica si scontri con una realtà ben diversa. Nonostante le dichiarazioni dei vertici politici che descrivono il nostro sistema come “un’eccellenza consolidata”, l’inchiesta dell’associazione ambientalista ha mostrato che siamo ben lontani dal 50% di riciclo effettivo. A peggiorare la situazione, l’Italia esporta massicciamente rifiuti plastici, anche in paesi non dotati di idonee infrastrutture per il riciclo, come conferma un’altra indagine di Greenpeace. Nel 2023 il nostro Paese ha infatti spedito in Turchia 41.580 tonnellate di plastica – pari a 347 camion al mese – piazzandosi quarta in Europa, con volumi cento volte superiori al 2013. Questa pratica irresponsabile e inquinante sposta il problema altrove, contraddicendo i comunicati ufficiali. 

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“La narrazione dei campioni del riciclo non basta più. È tempo che il governo italiano affronti seriamente la crisi dell’inquinamento da plastica con trasparenza e ambizione, assumendosi le proprie responsabilità ambientali e guidando la transizione verso un’economia basata sulla riduzione della produzione di plastica e di rifiuti e che favorisca soluzioni alternative come il riuso”, conclude Ungherese.