Patologie cardio, cerebro e vascolari. L’Italia studia un nuovo Piano Nazionale.

Ministero della Salute, istituzioni regionali, Istituto superiore di sanità e le principali società scientifiche del mondo cardio, cerebro e vascolare (ANMCO, GISE, SIC e SICVE) si sono ritrovate per discutere e confrontarsi sull’urgenza di avere un Piano Nazionale per le Malattie Cardio, Cerebro e Vascolari. 

Dopo diversi Piani di patologia licenziati dal ministero della Salute, dedicati alla malattia diabetica, ai tumori, alla salute mentale, alle malattie rare, un Piano specifico per le malattie cardio, cerebro e vascolari non è più rinviabile considerato l’elevato burden ad esse associato.

Si parla, infatti, di patologie che continuano a rappresentare la prima causa di mortalità e di ricovero ospedaliero e tra le principali cause di disabilità nel nostro Paese. Sono stati più di 226.000 i decessi legati a queste patologie nel 2020, con un tasso di mortalità standardizzato che varia dal 23,2 per 10.000 abitanti della Sardegna ai 36,9 della Campania. Il burden economico associato è invece quantificabile in 42 miliardi di euro considerando i costi diretti e indiretti, tra cui la perdita di produttività, l’assistenza informale e I costi sociali.

A livello di costo pro capite l’Italia è seconda solo alla Germania tra i principali Paesi europei (726 vs. 903 euro). Si tratta di malattie caratterizzate da una molteplicità di fattori di rischio, modificabili e non, tra cui l’età è uno dei più significativi: l’evoluzione del contesto demografico, con una popolazione over-65 destinata a crescere dal 24,1% del 2023 al 34,9% del 2050, fa sì che queste patologie saranno sempre più una priorità di sanità pubblica. 

“Analizzando l’attuale gestione dei pazienti cardio, cerebro e vascolari, Meridiano Cardio ha individuato 6 ambiti di intervento su cui è importante agire – ha affermato Daniela Bianco, Partner e Responsabile dell’Area Healthcare di The European House – Ambrosetti. Per ciascuno di questi ambiti sono stati individuati 1 obiettivo specifico e un piano di azione per un totale di 30 interventi. Va sottolineato come sia fondamentale agire anche sulle difformità regionali al fine di ridurre le disuguaglianze negli outcome di salute e garantire l’equità nelle cure, uno dei pilastri del nostro Ssn che quest’anno compie 45 anni”. 

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Con riferimento alla prevenzione primaria e secondaria e diagnosi precoce, va sottolineato come l’80% dei decessi legati a queste malattie sia prevenibile. Contestualmente, il 98% della popolazione è esposto ad almeno un fattore di rischio e l’82% dei maggiorenni non ha uno stile di vita sano. Guardando alla prevenzione secondaria, l’82% dei pazienti in prevenzione secondaria ancora non raggiunge il target di colesterolo LDL< 55mg/dL previsto dalle più recenti linee guida EAS/ESC. Gli screening cardiovascolari permettono una diagnosi precoce e limplementazione di interventi tempestivi: in 10 piccoli comuni, lo screening di oltre 1.000 over-65 ha permesso di rilevare una prevalenza delle patologie valvolari nelle forme lieve e moderata 3 volte superiore rispetto a dati non di real world. L’accesso all’innovazione tecnologica e farmacologica ha permesso, tra il 1990 e il 2020, una riduzione del tasso di mortalità per queste patologie, ma il nostro Paese presenta ancora alcune criticità rilevanti. Solo per citare alcuni esempi, il 60% dei pazienti candidabili non ha avuto accesso alle TAVI, I PCSK9i rappresentano solo lo 0,5% del consumo dei farmaci ipolipemizzanti, solo 3 regioni hanno un riconoscimento ad hoc per la procedura di chiusura dell’auricola (prevenzione dell’ictus).

A questo si aggiunge la burocrazia che rallenta l’attività clinica e ‘scoraggia’ l’accesso alle terapie più innovative: secondo una recente analisi, se ogni medico prescrittore dedicasse alle visite anche solo metà del tempo impiegato nella compilazione dei Registri, ciascuna delle quali può richiedere fino a 40 minuti, si potrebbero effettuare circa 53.000 visite in più, con impatti positivi in termini finanziari ma anche organizzativo-gestionali, a partire dal problema delle liste d’attesa. L’aderenza alle terapie e alle prestazioni, oltre a impattare direttamente sugli outcome di salute, ha anche ripercussioni importanti sulla sostenibilità del Ssn: secondo i dati del Centro Studi SIC Sanità in Cifre di FederAnziani una migliore aderenza alla terapia può far risparmiare al Ssn fino a 11,4 miliardi di euro annui, in termini di minori eventi avversi, inferiori accessi ai pronto soccorso e ospedalizzazioni e una minore spesa farmaceutica. Secondo i più recenti dati di Aifa, il 43% dei cittadini presenta un’alta aderenza ai farmaci ipolipemizzanti e il 52% presenta un’alta aderenza agli anticoagulanti e ai farmaci per l’ipertensione e lo scompenso cardiaco. L’aderenza diminuisce al crescere dell’età ed è più bassa nelle regioni del sud. La telemedicina e gli altri strumenti di sanità digitale non solo contribuiscono a una più efficace gestione dei pazienti, ma promuovono un vero e proprio cambio di paradigma nell’erogazione delle cure.

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Il nostro Paese in questo ambito (chi lo avrebbe mai detto!) presenta una scarsa interconnessione e interoperabilità tra i sistemi informativi, dei limiti oggettivi alla condivisione e all’utilizzo dei dati sanitari a causa della normativa privacy e una carenza di competenze informatiche del personale sanitario. Solo 8 regioni su 20 prevedono il riconoscimento amministrativo e il rimborso del tele-monitoraggio dei dispositivi impiantabili e sono isolati i casi di regioni che prevedono il rimborso per la tele-visita cardiologica/cardiochirurgica di controllo. Le malattie cardio, cerebro e vascolari rendono sempre più manifesta la necessità di rivedere il rapporto tra ospedale e territorio, di dotare il sistema di risorse umane, infrastrutturali e tecnologiche adeguate ai bisogni di salute e di rendere i servizi socio-sanitari sempre più integrati e prossimi al cittadino: la continuità di cura tra i diversi setting assistenziali riveste quindi un ruolo cruciale.

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Oggi esiste ancora un gap evidente tra la mortalità a 30 giorni e a 1 anno sia per l’Infarto miocardico acuto (7% vs. 9,1%) che per l’ictus (10,5% vs. 17%). A impattare negativamente sulla mortalità a 1 anno è anche la bassa percentuale di soggetti impegnati in programmi di riabilitazione: il 70% dei pazienti che ne hanno avuto indicazione non svolge alcun tipo di riabilitazione cardiologica. Sul fronte della multidisciplinarità, secondo una survey di Cittadinanzattiva sul paziente cardiovascolare, solo il 7,4% dei medici dichiara di far parte di percorsi strutturati con interazione costante tra specialisti e MMG. I pazienti diventano sempre più attori protagonisti del proprio percorso di cura ed è quindi necessario investire nel coinvolgimento e nell’empowerment del paziente.

Però il livello di health literacy dei cittadini italiani è più basso rispetto alla media europea (il 23% ha un livello di health literacy inadeguato vs. una media europea del 13%). In aggiunta c’è uno scarso livello di consapevolezza della propria condizione di salute, basti pensare che il 52% è inconsapevole di essere iperteso (34%) o ne è consapevole ma non si cura (18%). 

“L’Italia, in analogia con quanto accade a livello europeo – ha dichiarato Francesco Ciancitto, Componente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati – è chiamata ad agire per ridurre il burden di queste patologie che ad oggi non sono mai state oggetto di un Piano programmatico di settore. Con la mozione di fine luglio, chiediamo al Governo di impegnarsi ad attivare entro l’anno un tavolo di lavoro per l’elaborazione di un Piano Nazionale per le malattie cardio, cerebro e vascolari che si ponga in continuità e coerenza con il Piano Nazionale della Prevenzione, il Piano Nazionale Cronicità e i lavori di Agenas e dell’Alleanza per le Malattie cardio-cerebrovascolari”.