‘Paradisi fiscali’ europei, Commissione: “Assenza di misure di armonizzazione”.
Senza misure di armonizzazione concordate tra tutti gli Stati membri e in assenza di una politica fiscale comune, la concorrenza fiscale sleale rimarrà uno degli elementi caratterizzanti dell’Unione europea. Un tema, la competizione tra Stati membri, particolarmente delicato e direttamente collegato alla tenuta della coesione sociale in Europa e alla solidarietà tra Paesi membri.
Come risaputo l’imposizione fiscale rientra tra i poteri sovrani dei Paesi UE, tuttavia in materia di fiscalità i trattati conferiscono all’UE le competenze necessarie ai fini dell’armonizzazione delle legislazioni in materia di imposte per assicurare il funzionamento del mercato interno ed evitare distorsioni della concorrenza.
Nonostante ciò, si legge nell’interrogazione presentata lo scorso maggio da un gruppo di eurodeputati*, in alcuni Paesi membri, come Belgio, Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi le attuali pratiche fiscali minano l’equità del mercato interno.
Per i firmatari dell’interrogazione in questi sette Paesi, numerose società e multinazionali non pagano le tasse su dividendi, interessi e canoni, creando di fatto una concorrenza fiscale sleale all’interno dell’UE e di dumping fiscale che alterano pesantemente il corretto funzionamento del mercato unico: “La stessa Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato, l’AGCM, ha recentemente stimato che l’Italia subisce ogni anno una perdita compresa tra 5 e 8 miliardi di euro a causa della concorrenza dei paradisi fiscali all’interno dell’UE”.
Indubbiamente, attribuire tali dinamiche alla sola concorrenza esterna, oltre che risultare riduttivo, evince una opaca capacità di autocritica verso il sistema produttivo italiano, dove, a prescindere dalla concorrenza fiscale internazionale, l’attività d’impresa risulta essere particolarmente osteggiata da una eccessiva e anacronistica burocrazia, alla quale si uniscono carenze strutturali, interventi assistenziali di breve periodo e l’eccessivo e ingiustificabile costo del lavoro. Fattori che, prima ancora della convenienza fiscale dei Paesi esteri, portano numerose aziende a lasciare il nostro Paese ogni anno. Temi, ancora, affrontati di rado con incisività dal corpo parlamentare europeo.
Sulla necessità di introdurre misure di monitoraggio e controllo sulle pratiche di dumping fiscale e di corretta imputazione per il pagamento delle imposte per le società multinazionali, la stessa Commissione europea, ha recentemente ribadito che “l’imposizione diretta è un settore che rientra ancora ampiamente nelle competenze nazionali degli Stati membri. L’armonizzazione della tassazione delle imprese nell’UE è limitata e, in assenza di misure di armonizzazione, gli Stati membri sono liberi di adottare le proprie leggi al fine di soddisfare i loro obiettivi e requisiti di politica interna, a condizione che esercitino tali competenze nel rispetto del diritto dell’Unione”.
“Gli Stati membri dell’UE – ha aggiunto la Commissione – collaborano per il coordinamento delle politiche in materia di imposta sulle società a livello intergovernativo mediante la promozione di norme di buona governance fiscale nell’UE e a livello mondiale. Questa collaborazione tra gli Stati membri va avanti dal 1997, nell’ambito del gruppo “Codice di condotta (Tassazione delle imprese)”.
Per quanto riguarda il pagamento delle imposte, da parte delle società multinazionali, nel Paese in cui svolgono le loro attività, la Commissione ha affermato che “è importante osservare che il Consiglio europeo svolge un ruolo attivo nel settore della politica fiscale dell’UE e ha adottato negli ultimi anni una serie di atti legislativi, anche in settori per i quali ha definito orientamenti politici in vista di ulteriori azioni nel settore della politica fiscale dell’UE”.
Un cammino che potrebbe portare, dopo la creazione di una politica monetaria comune, ad una politica fiscale europea. Un percorso che allo stato attuale è dettato dai tempi dei negoziati delle istituzioni europee, come rimarcato dalla stessa Commissione, per la quale “il Consiglio non è in grado di anticipare l’esito o la durata di tali negoziati”, aggiungendo che “i vari aspetti della fiscalità internazionale sono collegati anche ai negoziati in corso nei consessi dell’OCSE, in cui si sta attualmente lavorando a una possibile soluzione globale a livello mondiale che dovrebbe far fronte alle sfide poste sul piano fiscale dalla digitalizzazione dell’economia, nonché ai rischi di trasferimento degli utili verso entità soggette a una tassazione nulla o molto bassa”.
*Laura Ferrara, Isabella Adinolfi, Chiara Gemma, Rosa D’Amato, Fabio Massimo Castaldo, Sabrina Pignedoli, Daniela Rondinelli, Eleonora Evi e Mario Furore.
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