Pagine di Quarantena. Ibsen, il poeta della libertà dell’individuo.
La sua fama lo precede: parliamo di Henrik Ibsen, fondatore del teatro moderno e punto di riferimento di autori del calibro di Cechov, Strindberg, Brecht, collezionando anche i vari detrattori di ampia influenza che videro nella lotta tra il cervello e il cuore condotta da ogni autore teatrale e non, una prevalenza del primo, in una configurazione crudele e cerebrale della sua arte. Non fu la sola occasione in cui fu frainteso ed emblematiche sono quelle che investono Casa di bambola e Spettri, drammi che assieme a un Nemico del popolo fanno capo al periodo che da novembre del 1880 al giugno del 1885 lo colloca a Roma, in Italia.
Ibsen parte da condizioni assai difficili: il padre, un mercante, nella perdita dei suoi averi lo lascia in stato di povertà. La Norvegia, il suo paese d’origine, si trovava in un momento storico in cui il suo teatro non esisteva, la sua lingua era considerata un dialetto in confronto al danese ed era dipendente dalla Svezia, sebbene dotata di una larga autonomia amministrativa.
La guerra dano-tedesca e i suoi risvolti lo portano per l’estrema delusione, successivamente al 1863, a trasferirsi in altri luoghi, l’Italia, Dresda, Monaco, di nuovo l’Italia. Ibsen diventa l’incarnazione dell’uomo solitario, libero da ogni legame nei confronti di qualsiasi nazione o istituzione, secondo le parole di Georg Brandes, critico letterario e scrittore danese, incontro dal quale emergerà l’esigenza di un teatro che si occupi di problemi sociali, con personaggi e situazioni ordinarie.
Esigenza che nel teatro francese dell’800 era emersa nei drammi ‹‹a tesi›› che analizzano la società borghese e i problemi di attualità, dopo l’abbandono dei temi romantici. Ma secondo quale percorso Ibsen giunge alla riforma del teatro auspicata da Brandes? La sostanza di Ibsen è già lì, nelle pieghe delle prime prove, seppur con differenze stilistiche e nella forma.
I <<poemi drammatici>> Briand e Peer Gynt in apparenza inconciliabili sono in realtà due volti complementari e bifronti: tensione ed esigenza dell’assoluto il primo e assenza di ideali e manifesto di una libertà estrema il secondo. Tutto ciò in una gran varietà di
In queste opere egli in primis ricava l’auto-riconoscimento della sua anima di poeta e drammaturgo tramite il controllo e la padronanza dei mezzi espressivi, natura di poeta che sarà sancita esteriormente dalla sua affermazione in Italia e a livello europeo cosa che porterà alla percezione delle sue opere come impegnate socialmente e politicamente
Già s’intravede nelle prime prove l’aspirazione alla felicità che cerca di districarsi nel dissidio irrimediabile tra realtà e ideale, anima e corpo e la visione dell’uomo che si ritrova ad affrontare inerme quello che Capuana (riferendosi all’arte dell’Autore) definirà ‹‹la lotta all’esistenza›› entro cui Ibsen ritrae le creature umane nei suoi drammi, attraverso i quali si rende portavoce di una società più libera nei confronti dell’individuo.
Nelle tre opere del periodo trascorso in Italia si rileva la sua contestazione della morale e delle convenienze tradizionali: contro la rispettabilità avanzata come ragionevole principio nei confronti di un’azione che è dettata dall’amore vero in Casa di bambola (1879), contro i preconcetti che sono eredità della morale comune in Spettri (1881) e nei diritti dell’individuo in Un nemico del popolo (1882).
A ciò si unisce la critica dell’istituzione del matrimonio e contro l’erotismo borghese, esprimendo dubbi sulla durata dell’amore ideale nel matrimonio nell’opera La commedia dell’amore (1862), che susciterà uno scandalo a causa di cui non avrà vita facile. Ma a fatica si ristabilirà agli occhi dell’opinione pubblica.
Casa di bambola gli frutterà altre critiche (non solo in quell’ambito, data la presa di coscienza di Nora) e un fraintendimento che mette in luce due aspetti: la portata del suo messaggio e ciò che gli conferisce la sua intramontabile ‹‹contemporaneità››
Casa di bambola esprime la difesa del diritto all’autonomia della donna nelle scelte della propria vita al di fuori del ruolo predefinito dalla società borghese, madre e moglie, amante. Ed ecco che a causa della percezione ‹‹femminista›› della sua opera Ibsen di fronte alla Lega delle Donne Norvegesi si ritrova a dare una smentita e a spiegare l’equivoco in quest’ottica: non ha militato per la causa specifica, ma per una causa più ampia, la ‹‹causa dell’umanità››. Non si ritiene un riformatore sociale.
Egli descrive gli esseri umani con il loro conflitto interno e le idee si trovano incarnate nell’espressione della loro individualità, cosa che è innovativa rispetto al dramma ‹‹a tesi››: il rischio che l’ideologia manipoli i personaggi li renderebbe più irreali. I personaggi di Ibsen sono realistici perché agiscono nel continuo contrasto di luci e ombre e qualora compiano un’azione questa è in linea con il loro essere umani e provvisti delle loro debolezze: così Nora agisce per amore, contro quella ‹‹onorabilità›› che il marito pone di fronte a lei come motivazione del proprio mancato supporto verso la moglie che ha trasgredito la legge ed ella, in cuor suo, si aspetta che lui si farà carico di quella sua firma falsa sull’assegno, apposta per proteggerlo. Così quando prenderà la decisione finale, come accade nella vita reale, chi legge o chi assiste all’opera si domanda perché abbia agito, se sia stato un genuino pretesto, l’amore, la volontà di emanciparsi, o invece il dolore di essere abbandonata al suo destino, allodola amata quando canta ma privata d’ogni cura al di fuori delle regole, deprecata dal suo amato che l’apostrofa ‹‹Sei una bambina. Non capisci nulla della società in cui vivi.››. Si ha l’impressione che sia tutto parzialmente la verità, lo stesso sentore che una vicenda reale risveglia nelle nostre menti sottoforma di comprensione e impietoso giudizio.
Non a caso offre anche una rappresentazione moderna del rapporto di coppia: quello schema di accondiscendenza reciproca nel comodo e inconsapevole plasmarsi per rispondere alle reciproche aspettative, tradite, affastellatesi l’una sull’altra nella mancata realizzazione non solo dei progetti in comune, che potrebbero percepirsi come tragedie di condivisa accettazione, ma nella rinuncia o fallimento delle rispettive aspirazioni che s’accumulano in pila e trascinano unioni protrattesi con scarsa consapevolezza e spesso per motivazioni sociali, culturali, questioni d’abitudine, di paura, di solitudine.
Casa di bambola ha generato un gran numero di interpretazioni: l’interpretazione marxista, quella psicoanalitica etc.
Degno di nota è che, a prescindere dalla percezione specifica dei suoi contemporanei rispetto al suo teatro, si ravvisi tale volontà rinnovatrice e l’ansia della società verso il cambiamento. Eppure la stessa vicenda di Nora è eloquente ed è ben oltre la concezione della donna nel matrimonio e nel mondo borghese dell’epoca: la crisi di Nora è la crisi non solo di una donna, ma di un individuo nei confronti dello spaesamento di una realtà sempre più complessa. E che Ibsen dia voce alle istanze che si trovano nella temperie del tempo è ineccepibile ma da valutare in modo cauto, senza sovraccaricarlo di significati ideologici. Ciò infatti limiterebbe la portata innovativa della sua arte che secondo l’acuta intuizione di Slataper, scrittore italiano, è <<l’arte dell’individualità>>.
Esprime sia le ansie della società che quelle dell’individuo, anticipando quella condizione esistenziale propria del ‘900. Ponendo al centro dell’individuo – e grazie al fatto che ha sviluppato il discorso drammaturgico in un modo che risulta autonomo e scardinato da ideologie – suscita al di fuori della sua epoca domande sull’identità e sul rapporto con gli altri, cosa che lo renderà molto amato anche da Pirandello, per il quale era secondo solo a Shakespeare.
In questa condizione esistenziale vite di personaggi comuni nella loro individualità vanno alla ricerca della verità, in un conflitto che è la vera essenza dell’opera, il nocciolo del dramma. A questi conflitti ci sarebbero dei rimedi e non c’è volontà di indulgere nella tensione all’autodistruzione corteggiata della tragedia. Ma a questo c’è una spiegazione, come si deduce da un brano tratto dalla sua poesia Un’epistola:
“Amico, perché sollecitate da me la chiave di questo enigma?
Interrogo volentieri, ma abitualmente non rispondo
a chi m’interroga.
Tuttavia Voi non avrete inutilmente
intinta la vostra penna, caro amico,
se non esigete in modo assoluto
una risposta perentoria e definitiva.
E dapprima, come risposta vi proporrò a mia volta un problema.
Ma badate che chi vi parla è un poeta,
un poeta, ogni frase del quale è simbolo o immagine.”
Non ci dà soluzione all’enigma, Ibsen solleva i problemi.Ci saranno sempre nuove interpretazioni delle sue opere e nuovi quesiti porterà lo studio di esse ma quel che importa, quell’eredità incontestabile che ha dato all’umanità attraverso il suo teatro è che a ciascuno spetta come individui rintracciare la nostra propria verità. E sappiamo da Nora che questo fine è perseguibile dietro quattro mura, nel profondo di noi stessi.
Giulia Pinna