Pagamenti al bilancio dell’UE basati sull’RNL: ci vogliono controlli più mirati.
I dati sul reddito nazionale lordo (RNL) sono un’importante base per calcolare i contributi degli Stati membri al bilancio dell’UE. Secondo una nuova relazione della Corte dei conti europea, le verifiche su tali dati non sono abbastanza mirate. Nonostante Eurostat (l’ufficio statistico dell’UE) sia stato nel complesso efficace nell’individuare e affrontare le questioni ad alto rischio riguardanti la compilazione dei dati RNL, non ha sistematicamente verificato tali questioni in prima battuta nei paesi con il livello di rischio più elevato e non ha sempre condotto tali verifiche ad uno stadio abbastanza precoce. Ad esempio, Eurostat non ha reagito prontamente al fenomeno della delocalizzazione delle multinazionali a fini fiscali.
I contributi basati sull’RNL degli Stati membri dell’UE rappresentano la principale fonte di entrate del bilancio dell’UE. Nel 2021 sono ammontate a 116 miliardi di euro, ossia circa due terzi del bilancio. Eurostat controlla la qualità dei dati dei paesi UE in cicli pluriennali, e può chiedere loro di rivedere al rialzo o al ribasso le stime iniziali, che costituiscono la base per il calcolo da parte della Commissione dei relativi contributi. Gli auditor della Corte hanno accertato se Eurostat abbia ben gestito le verifiche svolte nel corso dell’ultimo ciclo per il periodo 2016‑2019.
“È importante far sì che i contributi degli Stati al bilancio dell’UE basati sull’RNL siano equi e prevedibili,” ha dichiarato Marek Opioła, il Membro della Corte responsabile dell’audit. “La chiave per verifiche efficaci e efficienti è mettere nella corsia preferenziale dei controlli effettuati da Eurostat le questioni trasversali e i paesi con il fattore di rischio più elevato.”
La prevedibilità dei contributi basati sull’RNL dipende dalla puntualità del completamento del ciclo di verifica (che dura in genere quattro o cinque anni) e dalla velocità con cui Eurostat informa i paesi dei relativi risultati. Gli auditor della Corte hanno constatato che Eurostat ha completato le verifiche come previsto e fornito agli Stati membri informazioni tempestive sulle rettifiche. Tuttavia, molte questioni – il 20 % in più che nel ciclo precedente – sono rimaste aperte sotto forma di “riserve”, per cui ai paesi coinvolti potrebbe essere chiesto di pagare di più in futuro.
Poiché ha consentito di determinare le questioni più importanti a cui dare seguito, la novità consistente nel ricorso a valutazioni dei rischi e a soglie ha aiutato Eurostat a identificare e a mitigare i rischi. L’Ufficio, tuttavia, non ha utilizzato appieno i risultati di tali approccio per attribuire priorità alle questioni trasversali e ai paesi ad alto rischio. Eurostat ha classificato i paesi dell’UE in tre categorie di rischio: alto, medio o basso. Tuttavia, ha proceduto ai controlli solo nella fase iniziale del ciclo e unicamente per tre dei sette paesi ad alto rischio ha effettuato le verifiche prima di passare a quelli a basso rischio. In effetti, circa un quarto delle riserve specifiche al termine del ciclo di verifica riguardava i quattro Stati membri ad alto rischio che non erano stati debitamente considerati come prioritari. Le verifiche di Eurostat riguardavano troppe questioni aventi un’incidenza modesta sull’RNL. Eurostat non assegna un ordine di priorità alle questioni che individua, il che aumenta il rischio che i paesi affrontino prima questioni a minor impatto. La Corte sostiene che Eurostat dovrebbe concentrarsi maggiormente sulle questioni ad alto rischio e con l’incidenza potenziale più elevata, in quanto ciò potrebbe far diminuire il numero delle riserve e aumentare la prevedibilità dei contributi degli Stati membri al bilancio dell’UE.
Eurostat non ha reagito prontamente al fenomeno ad alto rischio della delocalizzazione delle operazioni o delle attività delle multinazionali per beneficiare di regimi fiscali vantaggiosi, anche se le questioni contabili in gioco erano già note molti anni prima dell’inizio del ciclo di verifica. Inoltre, ha deciso di formulare una riserva in merito solo per il periodo successivo al 2018, il che non consente di determinare con certezza l’incidenza della questione per gli anni precedenti. I pagamenti basati sull’RNL di alcuni paesi potrebbero essere incorretti, in quanto i conti relativi agli anni precedenti al 2018 potrebbero non essere stati calcolati correttamente; altri paesi invece, come l’Irlanda, hanno trasmesso dati attendibili.
Ciascun Paese dell’UE versa al bilancio dell’UE un contributo calcolato come percentuale del proprio RNL. Questa “aliquota di prelievo” è la stessa per tutti i paesi, ma può variare da un anno all’altro (ad esempio, nel 2021 era dello 0,84 %). In termini assoluti, nel 2021 la Germania ha versato il maggior contributo basato sull’RNL (29,6 miliardi di euro), seguita da Francia (20,3 miliardi di euro) e Italia (14,5 miliardi di euro). In passato, i paesi dell’UE hanno avuto difficoltà a versare consistenti importi aggiuntivi con un breve preavviso. Nel 2014, le revisioni dei dati RNL hanno condotto a un livello senza precedenti di rettifiche, pari a quasi 10 miliardi di euro, il cui impatto è stato maggiore per taluni Stati membri che per altri: il Regno Unito, ad esempio, ha dovuto versare ulteriori 2,1 miliardi di euro, ossia il 21 % in più rispetto al contributo originariamente iscritto a bilancio. Nel luglio 2016, l’Irlanda ha registrato un aumento del 24 % (39 miliardi di euro) nei dati RNL per il 2015 rispetto al 2014, a causa della delocalizzazione di attività da parte di alcune grandi multinazionali. Nel 2017, tre paesi hanno riferito a Eurostat che, dal 2010, si osservavano casi specifici di imprese che avevano delocalizzato una parte sostanziale delle attività nel loro territorio o al di fuori di esso.
foto corte dei conti europea