Ottant’anni fa il suicidio dell’Italia

Seconda Guerra Mondiale
Seconda Guerra Mondiale

Il 10 giugno del 1940, dal balcone del palazzo di piazza Venezia a Roma, Mussolini annunciava al mondo l’ingresso in guerra dell’Italia affianco alla Germania nazista. Da quel momento in poi, gridò il Duce, la parola d’ordine sarebbe stata << una sola, categorica e impegnativa per tutti: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo>>. Come siano poi andate le cose lo sappiamo tutti. Dopo la guerra l’Italia avrebbe si conosciuto un periodo di pace ma, fortunatamente, non sarebbe stata la pace immaginata dai fascisti.

Il conflitto era iniziato da quasi un anno ma, prudentemente, l’Italia se ne era tenuta al di fuori dichiarandosi “non belligerante”. Ciò era dovuto sia alle pessime condizioni delle forze armate che, a eccezion fatta dalla marina, erano del tutto impreparate, sia ai forti sentimenti anglofili e germanofobi presenti all’interno del regime. Figure di primo piano come Balbo, Grandi e Ciano, mal tolleravano l’alleanza con la Germania e fino all’ultimo avevano cercato di riavvicinare l’Italia alla Gran Bretagna. Le brillanti vittorie naziste sul fronte occidentale, tuttavia, lasciando presagire una rapida conclusione del conflitto, avevano determinato la prevalenza della corrente filo tedesca. Terrorizzato all’idea di restare escluso dalle spartizioni del dopo guerra, Mussolini aveva cosi deciso l’ingresso dell’Italia nel conflitto. Il piano era semplice e degno dei peggiori giochi di palazzo all’italiana: sparare qualche colpo, attaccare qui e li, sacrificare qualche migliaio di soldati per sedersi da vincitore al tavolo della pace e, in quanto tale, spartirsi le spoglie dei perdenti, in primis la Francia.

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Dato che la guerra nelle previsioni del Duce sarebbe durata pochissimo, non vi fu nessuna preparazione, nessuna elaborazione di piani, nessun sviluppo di una strategia per la conduzione del conflitto. Come conseguenza di ciò l’Italia conobbe un’umiliante sequela di sconfitte militari, mitigata unicamente dal valore dei soldati italiani.  Dopo appena tre anni  le vituperate “demoplutocrazie occidentali” avrebbero invaso l’Italia che, per la prima volta dopo più di un secolo, sarebbe tornata a essere terra di conquista. Mussolini, l’improvvisato condottiero, avrebbe terminato la sua vicenda politica e umana atrocemente appeso a testa in giù in un distributore di benzina a pochi isolati dalla prima redazione del “Popolo d’Italia”, il giornale con cui aveva iniziato la sua ascesa politica.

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Con l’armistizio dell’8 settembre la Nazione italiana avrebbe conosciuto una sconfitta militare, politica, morale da cui non si sarebbe mai più ripresa. Per uno dei ricorrenti paradossi della storia, l’Italia avrebbe così perso la sua indipendenza a causa degli errori di un regime dittatoriale che si prefiggeva l’obiettivo di farne una potenza mondiale. Tra le date e le ricorrenze quella del 10 giugno è indubbiamente una delle più tristi e in quanto tale andrebbe ricordata a monito per le generazioni future.

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