NI, S&D, Verdi/ALE: “Umiliazioni per famiglie arcobaleno in Italia”.
Il decreto-legge italiano 14 giugno 2019, n. 53, come ricordato in una recente interrogazione parlamentare presentate da un intergruppo di eurodeputati*, stabilisce norme precise sui termini da utilizzare nei documenti ufficiali e nei moduli di richiesta.
In particolare, se applicato ai minori, il decreto impone l’uso obbligatorio delle formule “padre” e “madre” nei campi riservati ai genitori anziché opzioni più neutre come “genitore”, costringendo così i “genitori dello stesso sesso che richiedono un documento ufficiale per un figlio (come la carta d’identità o il passaporto) a subire umiliazioni nel migliore dei casi o, nel peggiore, un rifiuto della richiesta”, spiegano i deputati europei firmatari del provvedimento.
“Tale situazione viola i diritti delle famiglie costituite da genitori dello stesso sesso ed è in contrasto con l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta le discriminazioni fondate sul sesso. La Carta ha un valore giuridico equivalente ai trattati e prevale pertanto sulla legislazione nazionale”.
Disposizioni, ancora, che risulterebbero essere in contrasto con la strategia per l’uguaglianza delle persone LGBTIQ 2020-2025: “Di recente – proseguono gli eurodeputati – la magistratura italiana ha ritenuto illegittima tale pratica, ma la sentenza si applica soltanto ai comuni mentre restano in vigore le procedure per la richiesta di documenti alle amministrazioni centrali e ad altre amministrazioni locali (passaporti)”.
Da qui la richiesta alla Commissione sulla coerenza del decreto-legge 53 con l’ordinamento giuridico europeo.
Della “non risposta” si è incaricato il Commissario alla Giustizia Didier Reynders, trinceratosi anche in questa occasione sul ricorrente limite di competenza della Commissione UE: “Gli Stati membri sono competenti per l’adozione di misure di diritto di famiglia sostanziale, comprese quelle riguardanti il genere e il contenuto dei documenti e dei moduli standard
nazionali a relativi al genere”.
L’esponente della Commissione ha poi ribadito che il diritto dell’UE disciplina le caratteristiche di sicurezza dei passaporti e delle carte d’identità, ma non limita il numero di campi che tali documenti devono comprendere. Pertanto gli Stati membri possono includere campi riguardanti i genitori del titolare: “Tuttavia – prosegue Reynders – sulla base dell’acquis in materia di libera circolazione, i termini utilizzati per riferirsi a ciascun genitore in un documento rilasciato in uno Stato membro non possono essere invocati da un altro Stato membro per rifiutare il rilascio di un passaporto o di una carta
d’identità a un minore i cui genitori siano dello stesso sesso”.
Gli Stati membri, quindi, sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, compreso il diritto alla non discriminazione, esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’UE. Un aspetto, però, sul quale la Commissione non ha ancora azionato lo strumento della Condizionalità dello Stato di diritto. Mancanza particolarmente esaustiva circa l’intenzione dell’Esecutivo von der Leyen di lanciare un segnale a tutti i Paesi UE.
“In linea con la strategia per l’uguaglianza delle persone LGBTIQ 2020-20255 – ha concluso Reynders -, la Commissione
è in continuo dialogo con gli Stati membri riguardo all’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comprende anche l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere la filiazione di un minore con genitori dello stesso sesso ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’UE”.
* Tiziana Beghin (NI), Maria Angela Danzì (NI), Laura Ferrara (NI), Mario Furore (NI), Sabrina Pignedoli (NI), Kim Van Sparrentak (Verts/ALE), Matjaž Nemec (S&D), Thijs Reuten (S&D), Marianne Vind (S&D), Brando Benifei (S&D), Malin Björk (The Left), Antoni Comín i Oliveres (NI), Marc Angel (S&D), Monika Vana (Verts/ALE), Rasmus Andresen (Verts/ALE), Gwendoline Delbos-Corfield (Verts/ALE), Karen Melchior (Renew), Fabio Massimo Castaldo (NI) e Cyrus Engerer (S&D).
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