Natalità: sempre meno giovani vogliono un/a figlio/a.
L’Italia, si sà, è un Paese alle prese con un importante inverno demografico. Sulla spinta di decenni pessime (per non dire assenti) politiche di impatto per la gioventù italiana, la scelta della genitorialità si è spostata, di fatto, sempre più avanti, gettando ombre anche sulla tenuta del nostro sistema sanitario e, in generale, della coesione all’interno della Nazione.
Un tema, il calo della natalità, oggetto di un nuovo studio “Per una Primavera demografica” della Fondazione Magna Carta, nel quale sono riportate alcune proposte per invertire il fenomeno. Innanzitutto, spiegano da Magna Carta, andrebbe creata una sinergia tra politiche pubbliche e welfare aziendale, così da mettere in campo iniziative a sostegno del benessere della persona, e, inoltre, costruire una rete di supporto della genitorialità capace di riportare fiducia.
Le preoccupazioni economiche sono uno dei fattori più importanti che frenano la natalità, con gli adulti che danno una valutazione più alta (9 su 10) a questa motivazione rispetto ai giovani (6 su 10). Ma ci sono altre cause: le limitazioni legate alla carriera e al tempo personale rappresentano un forte motivo per non avere figli. Un problema sentito soprattutto dalle donne adulte.
A incidere anche i ”convincimenti personali”, che per 8 su 10 rispondenti in entrambe le fasce d’età è uno dei motivi rilevanti per non diventare genitori. Un dato che evidenzia un cambiamento culturale e sociale rispetto all’attitudine verso la genitorialità. Se prima si guardava con ottimismo al futuro, adesso ci si chiede ”cosa viene dopo” avere avuto un figlio.
Una prima soluzione potrebbe arrivare dal cosiddetto lavoro ibrido, svolto sia in presenza che da remoto, da opportune politiche di conciliazione sull’organizzazione del tempo di lavoro, iniziative a sostegno della genitorialità, congedi prolungati, incentivi a contrasto del gender pay gap e integrazioni per i costi di istruzione e formazione dei figli.
Ancora, spiegano da Magna Carta, si dovrebbe valorizzare l’esperienza degli ‘asili nido diffusi’ o ‘di prossimità’, un modello che mette in relazione aziende, infrastrutture scolastiche private e territorio, per garantire un servizio di assistenza ai dipendenti con figli da 0 a 3 anni.