Natali Shaheen, ex capitana della nazionale palestinese da Gerico a Sassari.

“Quando giocavo per la squadra di calcio di Ramallah, per andare agli allenamenti partivo da Gerico sempre tre ore prima, sebbene disti circa un’oretta di viaggio. Bisogna infatti superare un checkpoint dell’esercito israeliano dove si formano file lunghissime in entrata e in uscita. A volte capita che, senza preavviso, il checkpoint venga chiuso e il traffico impedito. Così saltano allenamenti e persino le partite. Gli appuntamenti con la nazionale femminile palestinese erano anche più complicati, perché la maggior parte di noi non abitava a Ramallah”.

Così ricorda all’agenzia Dire Natali Shaheen, campionessa palestinese di calcio, già capitana della nazionale palestinese e della nazionale delle Università mentre conseguiva la laurea in Scienze motorie. Nata a Gerico 28 anni fa, dal 2018 risiede a Sassari dove oggi studia e prosegue la sua passione per il pallone, tra gli allenamenti e il lavoro di allenatrice. Giocando con la squadra di calcio a 5 Sassari Torres, in categoria A2, è diventata la prima palestinese a entrare in un club europeo. E’ passata poi all’Athena Sassari, prima nella formazione a 11 e poi in quella a 5, sempre in A2.

Per ripercorrere il suo viaggio – avvenuto grazie al sostegno dell’associazione sarda Ponti non Muri, impegnata con progetti di sviluppo nei Territori palestinesi e in India – questa atleta ha pubblicato il libro ‘Un calcio ai pregiudizi. Dalla Palestina alla Sardegna dribblando ogni ostacolo’, pubblicato da Edes edizioni con Ponti non muri. Un’occasione anche per parlare del rapporto tra donne e sport, sullo sfondo della questione israelo-palestinese, che continua a causare vittime: è di ieri la notizia riferita dai media locali della morte di un calciatore palestinese del club Thaqafi Tulkarem di 23 anni.

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Secondo il ministero della Salute palesinese, Ahmed Daraghmeh ha perso la vita a Nablus, in Cisgiordania, negli scontri tra residenti ed esercito israeliano, che scortava un gruppo di pellegrini israeliani alla Tomba di Giuseppe.

“L’occupazione militare israeliana influenza la vita di tutti” continua Shaheen, “e per me che abitavo in un’altra città, giocare a Ramallah ha significato dover tenere duro. Perché le forze israeliane decidono tutto: chiudono strade o tengono la gente in fila per ore. All’andata sfruttavo le attese studiando, ma a ritorno, col buio, non potevo”.

Ma per bambine e ragazze gli ostacoli raddoppiano a causa di chi, in Palestina, è ancora legato a una certa cultura che non vede di buon occhio le donne che praticano sport. La calciatrice ricorda: “Avevo dodici anni e tutti sapevano che ero l’unica bambina a giocare a calcio coi maschi. Per questo un giorno una mia amica, che invece era appassionata di basket, venne a chiedermi aiuto perché il fratello le aveva vietato di proseguire gli allenamenti. Feci in modo che mio padre – che con mio fratello e mia madre mi ha sempre sostenuto – parlasse con la sua famiglia. Per qualche mese la mia amica poté continuare a giocare ma poi lasciò definitivamente: le pressioni sociali erano troppe”. Storie che, nota Shaheen, “accadono ancora in città come Gerico. Nelle zone rurali è anche peggio”.

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Al di fuori della sua famiglia, di vedute aperte, anche Shaheen però subisce il giudizio della comunità: “I professori mi dicevano di pensare a studiare invece di perdere tempo col pallone perché non mi avrebbe portato da nessuna parte, mentre compagni di scuola e conoscenti mi davano del maschiaccio e mi avvertivano che non avrei trovato marito. Io rispondevo che non mi interessava perdere uomini che non mi apprezzano per come sono”. Perché il calcio “è la mia vita” assicura, “e col mio libro racconto che può cambiare le cose. Purtroppo tante bambine neanche sanno che possono giocare a calcio. Vorrei che le maestre di educazione fisica studiassero e quindi insegnassero questo sport come si fa coi maschi, e che diventi obbligatorio. Inolte- sogna l’atleta- vorrei tornare a Gerico per promuovere il calcio femminile, ma servono anche campi e palloni”.

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Infine un cenno ai mondiali di calcio appena conclusi: “La nazionale palestinese non si è qualificata- premette Shaheen- ma Marocco, Tunisia e anche tanti tifosi hanno sventolato le bandiere palestinesi, quindi ci è sembrato di essere lì”. Un appuntamento, quello di Qatar 2022, primo paese arabo ad ospitare la Coppa del mondo, “importante”, dice la calciatrice, “perché ha promosso cambiamenti sia nella mentalità dei qatarini che degli arabi che hanno seguito le partite dal vivo o in tv: non è scontato vedere donne negli stadi o in strada a festeggiare. Il Qatar- continua- ha ricevuto tante critiche, ma bisogna anche tener presente che se gli eventi internazionali si svolgono sempre negli stessi posti il resto del mondo continuerà a rimane chiuso”.

foto Dire