Morte per occlusione intestinale: a Cagliari più di 1 milione di euro per un caso di malasanità .
Il trattamento di una banale occlusione intestinale si è trasformato in un lungo percorso di sofferenza e morte per un paziente sardo, vittima di una serie di criticità assistenziali condite da errori diagnostici e chirurgici.
Dopo il decesso, i familiari, al termine di un complesso giudizio nel foro del Tribunale di Cagliari, hanno ottenuto il riconoscimento della responsabilità a carico della struttura sanitaria e, conseguentemente, un risarcimento pari ad oltre 1 milione e 100mila euro.
Nell’ottobre 2020, la vittima di malasanità, 75enne affetto da ipertensione in buon compenso clinico, si recò al Pronto Soccorso, lamentando un dolore addominale diffuso. Venne ricoverato nel reparto di Chirurgia Generale con diagnosi di occlusione intestinale e rassicurazioni sulla possibilità di trattare chirurgicamente la situazione.
Nei mesi successivi, tuttavia, Luciano andò incontro a un calvario costituito da ben cinque interventi chirurgici.
Il primo intervento ebbe luogo all’inizio di novembre 2020. Durante la procedura, i medici riscontrarono un’ernia inguinale strozzata con un’ansa ileale ischemica e procedettero alla sua riduzione, oltre a liberare alcune aderenze.
Pochi giorni dopo, però, le condizioni del paziente peggiorarono: iniziò a presentare febbre, leucocitosi e tracce di materiale fecale nel drenaggio addominale. Un secondo intervento chirurgico rivelò una perforazione intestinale, e questo portò i medici a resecare il tratto di ileo necrotico e a creare un’anastomosi ileo-colica (cioè una ricostruzione chirurgica tra la parte terminale dell’ileo e il colon trasverso).
30 giorni dopo, a causa di febbre persistente, leucocitosi e liquido libero in addome rilevato da una TAC, la vittima fu sottoposta a un terzo intervento. In questa occasione, venne diagnosticata una peritonite stercoracea derivante dalla deiscenza dell’anastomosi creata nell’intervento precedente. I chirurghi procedettero con una nuova resezione intestinale e con la creazione di una colostomia (una parte del colon viene connessa direttamente alla parete dell’addome, realizzando una apertura, detta appunto “stoma”, alla quale viene collegata una sacca destinata a raccogliere il contenuto fecale).
Ulteriori complicazioni, tra cui la fuoriuscita di materiale enterico dal drenaggio addominale e la formazione di un ascesso sottocutaneo, richiesero un quarto e poi ancora un quinto intervento chirurgico, eseguiti rispettivamente nel gennaio e febbraio dell’anno successivo, nel corso dei quali si dovette anche posizionare un cd. un tubo di Kehr, verosimilmente a fronte di una (non segnalata) lesione iatrogena della via biliare principale.
Dopo una lunga degenza, il paziente fu dimesso dall’Ospedale. Tuttavia, il suo percorso ospedaliero non si concluse: a causa di problemi di salute persistenti, fu ricoverato nuovamente in diverse occasioni presso un diverso Ospedale della stessa città, fino al suo decesso, avvenuto alcuni mesi dopo, nell’estate del 2021, con diagnosi di “Ittero ed epatocolangite, in paziente affetto da stenosi iatrogena della via biliare”.
“Garantire sicurezza e qualità nelle cure è un diritto fondamentale dei pazienti, anche quando si tratta di condizioni apparentemente banali come un’occlusione intestinale. Questo caso ribadisce quanto sia importante la trasparenza nel riconoscere e affrontare gli errori: un dovere imprescindibile nei confronti di chi ha subito un danno e uno strumento importante per costruire un sistema sanitario più affidabile. Il nostro ruolo è stato quello di supportare i familiari in un momento di grande dolore, lavorando con determinazione per ottenere verità e giustizia. Il risarcimento liquidato rappresenta un segnale importante: non può restituire ciò che è stato perso, ma costituisce un doveroso riconoscimento del dolore sofferto e uno stimolo per promuovere una cultura della responsabilità” ha dichiarato nell’occasione il legale Gabriele Chiarini.
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