Mortalità materna: -24,5% tra il 2011 e il 2019.

Cala la mortalità materna in Italia. Lo confermano le ultime stime, presentate oggi, durante il convegno organizzato dall’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS), che confermano la diminuzione da 11 a 8,3 decessi ogni 100.000 nati vivi nel periodo 2011-2019.

“Una riduzione significativa del rapporto di mortalità materna – per Serena Donati dell’Istituto Superiore di Sanità -, che testimonia il grande investimento del Paese nel miglioramento della qualità dell’assistenza alla nascita”.

Il dato, tuttavia, presenta una forte variabilità per area geografica. La stima è infatti pari a 7,7/100.000 al Nord, 5,9/100.000 al Centro e 10,5/100.000 al Sud.  In Sardegna il rapporto di mortalità materna per 100mila nati vivi è stato stimato al 12,2%.

Sul totale dei decessi entro 42 giorni dall’esito della gravidanza, la maggioranza (55,1%) ha riguardato morti dirette, ossia quelle dovute a complicanze ostetriche. Tra queste l’emorragia ostetrica figura al primo posto per frequenza (37,1%), seguita dalla sepsi (13,9%), dai disordini ipertensivi della gravidanza (13,4%) e dalla trombo-embolia (11,9%).

L’analisi ha permesso di descrivere anche le cause indirette di morte materna, ovvero quelle secondarie a patologie preesistenti complicate dalla gravidanza. Tra queste, la patologia cardiaca è la prima per frequenza (28,8%), seguita dalla sepsi e dal suicidio materno, entrambe pari al 15,9% del totale dei decessi.

Nel 2019 il tasso mediano di cesarei in 28 Paesi europei era pari al 26,0%, con un range compreso tra il 16,4% della Norvegia e il 53,1% di Cipro. L’Italia, passando dal 35,0% del 2015 al 33,0% del 2019, fa parte della metà dei Paesi in cui si è registrato un andamento decrescente.

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L’analisi dei 187 casi di morte materna, presi in esame dagli esperti regionali e nazionali che ogni anno effettuano le indagini confidenziali, ne ha delineato i principali fattori di rischio, che includono l’età materna pari o superiore ai 35 anni, il livello di istruzione pari o inferiore alla scuola media inferiore, la cittadinanza non italiana, l’obesità e il concepimento mediante tecniche di riproduzione assistita. La proporzione di morti definite come “evitabili” è risultata pari al 41% del totale, leggermente inferiore rispetto all’ultima rilevazione e in linea con quanto riportato in altri Paesi dotati di un sistema di sorveglianza avanzato.

Oltre alla riduzione della mortalità materna a livello nazionale, ItOSS ha documentato anche una riduzione significativa delle morti materne dovute a complicazioni emorragiche nelle 6 regioni (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia) che, fin dall’inizio alla sorveglianza, hanno aderito e partecipato alle attività di ricerca e aggiornamento progettate per raggiungere questo risultato. Il numero di decessi per cause emorragiche nelle 6 regioni è infatti passato da 2,49 a 0,77 ogni 100.000 nati vivi. “Tale valore – spiega Donati – dimostra che le attività di ricerca e aggiornamento professionale, coordinate da ItOSS e sostenute dalla comunità scientifica nel Paese, sono in grado di ridurre le morti evitabili”.

Durante il convegno, ancora, sono stati presentati i dati di uno studio internazionale coordinato da INOSS (che da quest’anno sarà presieduto dall’Italia) in 8 Paesi europei durante i primi 10 mesi della pandemia da COVID-19. L’incidenza di ospedalizzazione per COVID-19 è risultata pari a 0,77 per 1.000 gravidanze, con un range compreso tra nessuna ospedalizzazione in Islanda a 1,9/1.000 nel Regno Unito (0,88/1.000 in Italia). Un risultato originale dello studio riguarda l’impatto che le diverse misure di contenimento della circolazione del virus adottate nei Paesi partecipanti sembrano aver avuto sul rischio di ricovero per COVID in gravidanza. I Paesi che hanno applicato misure più rigide, come l’Italia, hanno registrato minori esiti negativi in gravidanza rispetto a quanto accaduto in contesti come quello svedese, in cui sono state adottate misure meno restrittive per la popolazione.  L’Italia ha potuto contribuire a questo progetto grazie allo studio prospettico nazionale coordinato da ItOSS sin dai primi giorni di diffusione del SARS-CoV-2 nel Paese. Sono state arruolate oltre 11.000 donne in gravidanza positive al virus che si sono rivolte ai presidi sanitari e, durante il convegno, sono stati presentati i dati relativi alla qualità dell’assistenza offerta alla nascita. Specie nel Sud del Paese, molte di loro hanno dovuto rinunciare ad avere una persona di fiducia in sala parto (in Italia, in media, solo il 37,5% delle donne ha avuto questa opportunità) e sono state separate dai propri bambini alla nascita, spesso senza poter praticare il contatto pelle a pelle. In media, l’81,1% dei bambini nati da parti vaginali e il 56,4% di quelli nati con cesareo ha potuto condividere la stanza con la mamma durante il ricovero; l’88,0% dei nati per via vaginale e il 71,9% di quelli nati con cesareo è stato alimentato con latte materno. Il progetto ItOSS ha previsto anche la raccolta di campioni biologici delle donne con test positivo in gravidanza, permettendo lo studio della trasmissione materno-fetale del virus e la risposta anticorpale materna all’infezione da SARS-CoV-2. La trasmissione del virus al feto in gravidanza è stata confermata come un evento eccezionale, mentre la presenza di anticorpi è stata riscontrata nel 45,2% dei campioni di sangue prelevati da oltre 400 mamme durante la gravidanza e nel 39,7% di quelli prelevati da oltre 500 mamme al momento del parto. I dati raccolti tra gennaio e maggio 2022, durante la circolazione della variante Omicron, hanno permesso di rilevare anche lo stato vaccinale delle donne arruolate nel progetto. Tra le donne per le quali tale informazione era disponibile, il 55,0% aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, condizione più frequente tra le meno giovani e le più istruite. In linea con la letteratura internazionale, le donne vaccinate rispetto alle non vaccinate hanno avuto una riduzione significativa sia dei sintomi da infezione da SARS-CoV-2 che della frequenza di polmonite e malattia grave da COVID-19. 

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