Mentre il Consiglio è bloccato sulla “decadenza” i sardi continuano a non curarsi.
Sardegna, terra di rappresentanti con il perverso senso della priorità. Mentre il Consiglio regionale, infatti, tergiversa sulle questioni realmente importanti come sanità, inclusione, lavoro e urbanistica, garantendo centralità al tema “decadenza Todde” (del quale i cittadini/e sardi/e possono tranquillamente fare a meno), arriva oggi l’ennesima conferma della fuga dal sistema sanitario regionale da parte dei residenti sardi.
Secondo la Fondazione Gimbe, infatti, nell’Isola il 13,7% dei cittadini rinuncia alle cure, rappresentando di fatto il dato più alto a livello nazionale. Niente male per il “Governo dei migliori” che, anche in questo caso, potrà sempre giocarsi la carta delle “rovine trovate al momento dell’insediamento” e della mancanza di traction delle misera alzate di ingegno viste sul campo negli ultimi mesi, come ricordano i “non universali” buoni (a nulla) servizi sanitari fortemente voluti dalla Giunta Todde.
“L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni”, ha dichiarato oggi Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE.
Secondo i dati ISTAT-SHA, nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia ha raggiunto € 176,1 miliardi di cui € 130,3 miliardi di spesa pubblica (74%), € 40,6 miliardi di spesa privata pagata direttamente dalle famiglie (23%) e € 5,2 miliardi di spesa privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (3%) (figura 2). Considerando solo la spesa privata, l’88,6% è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4% è intermediata (figura 3). “Questi valori – aggiunge Cartabellotta – riflettono tre fenomeni chiave: il sottofinanziamento pubblico, l’ipotrofia del sistema di intermediazione e il crescente carico economico sulle famiglie. Siamo molto lontani dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out-of-pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale”.
Parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto.
Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione finisce nelle casse della sanità privata accreditata: € 1.879 milioni (54,4%), contro i € 1.573 milioni (45,6%) destinati alle strutture pubbliche. “La crescita del privato accreditato nella mobilità sanitaria – sottolinea Cartabellotta – è un indicatore sia dell’indebolimento del servizio pubblico, sia dell’offerta che della capacità attrattiva del privato, seppur molto diversa tra le varie Regioni”. Infatti, le strutture private assorbono oltre il 60% della mobilità attiva in Molise (90,6%), Lombardia (71,4%), Puglia (70,7%) e Lazio (62,4%). In altre, invece, il privato ha una capacità attrattiva inferiore al 20%: Valle D’Aosta (16,9%), Umbria (15,5%), Liguria (11,9%), Provincia autonoma di Bolzano (9,9%) e Basilicata (8,9%).