Meno della metà della plastica è davvero riciclata in Italia.

L’Italia si racconta come un’eccellenza nel riciclo della plastica da imballaggi, tanto che i nostri politici remano contro qualsiasi provvedimento per ridurre l’immissione al consumo o incentivare sistemi di riuso. I dati degli ultimi anni, però, rivelano una realtà meno virtuosa, perché il riciclo effettivo è inferiore al 50% dei rifiuti prodotti e per di più si basa su metodi di calcolo poco trasparenti, come evidenzia la nuova inchiesta “Plastica, Italia campione del riciclo?” redatta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia. L’indagine è basata sulla consultazione di documenti ufficiali del Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla), che gestisce il ciclo di questi rifiuti nel 92% dei Comuni italiani, e del Consorzio nazionale imballaggi (Conai).

Se si escludono le quote di materiale gestite da operatori indipendenti, tra il 2021 e il 2023 Corepla ha avviato annualmente al riciclo circa 700 mila tonnellate di imballaggi e prodotto circa 500 mila tonnellate di scarti, smaltiti in discarica o, più di frequente, in cementifici esteri. Questi numeri sono al di sotto degli obiettivi comunitari di riciclo effettivo (e dimostrabile) che dovranno essere del 50% entro il 2025 e del 55% entro il 2030. Basare i calcoli sul riciclo effettivo rappresenta un approccio ben diverso da quello adottato negli ultimi anni in Italia in cui si è parlato solo di materiale avviato a riciclo, un indice che comprende al suo interno anche tutti gli scarti che vengono estratti successivamente dai materiali trattati. Per fare un confronto, il tasso italiano di avvio a riciclo per la filiera della plastica nel 2022 era del 55,1%, quello di riciclo effettivo, calcolato sulla base dei nuovi riferimenti comunitari, scende al 48% nel 2023. 

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Anche per quest’ultimo numero è possibile sollevare dei dubbi, visto che i documenti necessari a effettuare il nuovo calcolo non sono pubblici. Neppure gli audit svolti da un ente indipendente per stimare il riciclo effettivo – e riportati nel Rapporto di Sostenibilità 2023 di Conai – risultano soddisfacenti: sono stati monitorati solo tre impianti (uno di compostaggio per la plastica biodegradabile e compostabile, uno di selezione degli imballaggi in plastica e plastica-metallo e uno di riciclo). Queste criticità sono state evidenziate anche dalla Corte dei Conti Europea che, dopo un’indagine condotta in Italia, in Romania e Paesi Bassi, ha segnalato delle lacune nei sistemi di monitoraggio e raccolta dei dati, riscontrando “un rischio molto elevato che i riciclatori non sottopongano a operazioni di trattamento i rifiuti di imballaggio di plastica ricevuti”.

“Credere nell’eccellenza del sistema che gestisce i nostri imballaggi in plastica assomiglia più a un atto di fede”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “I dati di Corepla e Conai si caratterizzano per opacità e scarsa trasparenza sui criteri di calcolo e rendicontazione, e i risultati realmente ottenuti potrebbero essere ben più scarsi di quelli dichiarati. Eppure, le incredibili performance del sistema di riciclo italiano continuano a essere sbandierate dai nostri politici a ogni tavolo negoziale internazionale e impiegate come scudo per conservare lo status quo, opporsi a qualsiasi provvedimento che riduca l’utilizzo di plastica monouso e ritardare tutte quelle strategie che favoriscono il riuso. Chiediamo maggiore trasparenza a tutti gli attori coinvolti nella filiera italiana, anche in vista dell’ultimo round negoziale sul trattato sulla plastica che inizierà in Corea del Sud nelle prossime settimane”.

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Il rapporto di Greenpeace esamina inoltre le esportazioni di rifiuti da imballaggi in plastica e, nello specifico, del plasmix, ovvero le plastiche eterogenee miste che costituiscono una quota consistente della raccolta differenziata e che viene avviata quasi interamente alla combustione per la produzione di energia o, in minima parte, in discarica, perché tecnicamente o economicamente non riciclabile. Si tratta di un export notevolmente in crescita, come svelato da un’altra recente indagine dall’organizzazione ambientalista, sollevando dubbi sull’effettivo riciclo o utilizzo per la produzione di energia dei rifiuti, che una volta usciti dall’Italia potrebbero essere oggetto di attività illegali come incendi, sotterramenti o triangolazioni con Paesi ancora più lontani.

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foto Greenpeace