Maturità: diminuiscono gli studenti con competenze adeguate.

Sono 536mila i candidati alla maturità 2023, che inizierà il prossimo 21 giugno. Ragazze e ragazzi che dovranno affrontare l’esame di stato per concludere il proprio percorso di studi secondario.

Dopo l’emergenza Covid, secondo l’Osservatorio #Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis, è diminuita la quota di alunni che arriva all’ultimo anno di scuole con competenze almeno adeguate.

La prima prova – uguale per tutti, in tutto il paese – inizierà alle 8.30 del 21 giugno 2023. Serve a verificare la padronanza nella lingua italiana e le capacità logiche, espressive e critiche dei candidati, attraverso la scelta tra 7 tracce di ambito artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale.

La seconda prova varia in base all’indirizzo di studi, ma quest’anno è comunque definita a livello nazionale, mentre l’anno scorso le tracce erano elaborate dalle singole commissioni d’esame. Il ministero ha predisposto un motore di ricerca per verificare le diverse discipline previste a seconda del percorso di istruzione.

Solo in alcuni casi specifici (ad esempio le scuole della Valle d’Aosta e della provincia autonoma di Bolzano) è prevista una terza prova. La maggioranza degli studenti sosterrà direttamente un colloquio multidisciplinare di fronte alla commissione d’esame.

Nel colloquio il candidato espone anche l’esperienza di Pcto – percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento – effettuata nel percorso degli studi. Questa in realtà è l’unica deroga prevista quest’anno: lo svolgimento delle attività di Pcto non è infatti requisito di ammissione agli esami.

Ma come arrivano i candidati a questo momento? Uno dei requisiti per l’ammissione – anche se non influisce sui risultati della maturità – è lo svolgimento dei test Invalsi. I risultati dei maturandi 2023 saranno diffusi nelle prossime settimane, e sarà necessario monitorarli per capire se il livello di apprendimento è migliorato dopo il crollo successivo all’emergenza pandemica.

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Le prove di maturità, ma in generale il livello di competenza con cui vi si arriva, riguardano i ragazzi e le loro prospettive. Ma non c’è solo questo. Sul tavolo c’è anche la capacità del sistema educativo di formarli, e soprattutto le prospettive dell’intero paese.

In attesa dei risultati degli studenti che nel 2023 faranno gli esami, vediamo come erano andate le V superiori dello scorso anno.

Nelle prove del 2022 è emerso come ragazze e ragazzi arrivino in V superiore con un forte bagaglio di disuguaglianze in termini di apprendimento.

Disparità educative che non sono nuove e che ne incrociano altre. Da quelle di genere alla condizione sociale della famiglia di origine, dalla cittadinanza al tipo di percorso di studi intrapreso. Fino al territorio di residenza. Confermando tendenze già emerse nelle prove del passato.

Il primo divario, quello legato all’origine familiare, sembra paradossalmente ridursi alla fine del percorso di studi: fenomeno su cui anche gli abbandoni precoci possono avere un ruolo. Tuttavia esiste, ed è emerso anche nelle prove dell’anno scorso della V superiore. Gli studenti con alle spalle una famiglia di status socio-economico-culturale alto raggiungono un punteggio medio di 202,6 in italiano. La quota scende a 191,3 tra quelli di famiglie di condizione medio-alta e a 185 in quelle medio-basse. Tra gli studenti con le famiglie più svantaggiate crolla a 171: oltre 30 punti in meno dei coetanei avvantaggiati.

Anche i percorsi di istruzione riflettono questi gap. La scelta della scuola superiore non è neutra. Tende a riprodurre i divari sociali di partenza: i figli di lavoratori esecutivi sono la maggioranza relativa dei diplomati nei professionali e nei tecnici, mentre sono una minoranza nei licei. Lo stesso vale, a parti invertite, per chi proviene da una famiglia di classe elevata.

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Perciò è una questione da non sottovalutare quando le distanze negli apprendimenti tra licei e istituti tecnici e professionali sono così ampie. Nelle rilevazioni Invalsi 2022 il punteggio medio in italiano nelle V superiori dei licei scientifici, classici e linguistici è stato di 207,5; nei tecnici 173,6, nei professionali 153,2.

Senza contare gli altri divari, legati alla cittadinanza, al genere, al territorio, e a come si incrociano tra loro. Nei licei scientifici, classici o linguistici le ragazze all’ultimo anno hanno raggiunto un punteggio medio di 210 nei test di italiano, oltre 60 punti in più dei maschi negli istituti professionali. E anche dal punto di vista territoriale le distanze rimangono profonde.

Tra ragazze e ragazzi che l’anno scorso sono arrivati alla fine delle superiori, solo il 52% ha conseguito un livello di apprendimento adeguato in italiano. Un dato che conferma quello dell’anno precedente (2021), in significativo peggioramento rispetto all’ultimo test prima della pandemia. E che comunque lascia trasparire una criticità di ben più lungo periodo rispetto all’emergenza stessa.

Questa problematica ha le sue radici in profondi divari territoriali. A fronte di una media nazionale del 48% di risultati inadeguati in V superiore, in Calabria, Campania e Sicilia la quota supera il 60%. Parliamo di ragazzi che in italiano si collocano nei livelli di apprendimento più bassi (1 e 2), ovvero con un risultato non in linea con i traguardi previsti alla fine del secondo ciclo d’istruzione.

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Se si isolano solo gli studenti al livello 1, che in base alla metodologia Invalsi si caratterizzano per un “risultato molto debole, corrispondente ai traguardi di apprendimento in uscita al massimo dalla II secondaria di secondo grado”, sono ancora queste le regioni più colpite, rispettivamente con il 38,4% in Campania, il 36,9% in Calabria e il 33,9% in Sicilia. Per avere un termine di paragone, in Valle d’Aosta e nella provincia di Trento sono meno del 10%, e poco più di uno su 10 in Veneto (12,2%).

I dati disponibili a livello comunale mostrano come il fenomeno riguardi soprattutto i comuni del mezzogiorno. Sono 14 i capoluoghi dove oltre un terzo degli studenti di V superiore si attesta al livello 1 di italiano, quello più basso, nelle prove Invalsi. In tutti i casi si tratta di città del sud e delle isole: Enna, Crotone, Agrigento, Brindisi, Caserta, Napoli, Cosenza, Sassari, Messina, Catanzaro, Vibo Valentia, Palermo, Catania e Oristano.

La quota di ragazzi che si fermano al livello 1 è più contenuta a Cuneo (5,7%), Belluno (6,5%) e Lecco (7,4). Del resto si tratta anche dei territori dove più studenti avevano conseguito risultati adeguati nelle prove 2022.

In generale, i capoluoghi con più studenti che hanno raggiunto livelli almeno sufficienti (dal terzo al quinto) in italiano si trovano nell’Italia settentrionale. Nell’ordine, Belluno, Lecco, Cuneo, Brescia, Aosta, Pordenone, Trento, Gorizia, Treviso e Sondrio. Nei plessi situati in questi comuni oltre il 70% degli alunni delle quinte ha raggiunto un risultato adeguato.