‘Let me take you down Cause I’m going to Strawberry Fields’. 40 anni fa moriva John Lennon.

‘I was shot’, furono queste le parole pronunciate da John Lennon pochi istanti dopo essere stato colpito dai proiettili della pistola di Mark David Chapman nell’atrio del Dakota Building. Sarebbero state le ultime. Malgrado i tempestivi soccorsi, Lennon morì mezz’ora dopo, alle 23.30 dell’8 dicembre 1980, in un ospedale di New York.

Il medico incaricato di dichiararne il decesso ricorda che, nel momento in cui lo fece, per un’icredibile coincidenza l’impianto di filodiffusione musicale dell’ospedale trasmise ‘all my loving’. Si trattava di uno dei brani dei Beatles che Lennon più amava e la cui prima strofa risuonò in quella circostanza come la celebrazione di un addio: <<close your eyes and i kiss you, tomorrow i’ll miss you>>.

Un addio fortuito ma degno di un uomo che ha segnato la storia della musica pop rock. Benché negli anni successivi alla sua morte, si sia forzatamente cercato di farne una sorta di Gandhi europeo, John Lennon fu un musicista il cui autentico lascito consiste in una collezione irripetibile di canzoni realizzate con i Beatles, la sua band.

Dei Fab Four Lennon fu a lungo il leader carismatico e indiscusso. Colui che affrontava senza paura le risse nei locali di infimo livello in cui si esibivano prima della fama, colui che decise che la band avrebbe dovuto suonare brani propri oltre al canonico repertorio di cover. Musicalmente parlando, un fatto rivoluzionario nell’ambiente underground britannico dell’epoca.

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All’interno del gruppo, John Lennon non possedeva il talento cristallino di Paul McCartney o la tecnica strumentale di George Harrison ma era benedetto dal dono di un’ispirazione creativa senza eguali nella musica pop rock, prima e dopo di lui.  

Volendo ripercorrere un itinerario ideale dei suoi capolavori si deve necessariamente iniziare dall’album ‘Help‘ del 1965. Erano gli anni della beatlemania, dell’isterismo di massa, del successo planetario. Lontanto dalle urla delle ragazzine e dalle luci della ribalta qualcosa di importante stava avvenendo nella musica dei Beatles. John Lennon compose per quest’album, fra gli altri, tre brani di assoluto livello musicale. I migliori che avesse fino ad allora scritto: ‘Help’, ‘Ticket to Ride’ e ‘You’ve got to hide your love away’ (probabilmente il primo caso di una canzone pop sul tema dell’omosessualità).

La crescita artistica di Lennon era impetuosa e proseguì nel successivo lp ‘Rubber Soul’, al quale contribuì principalmente con ‘Norwegian Wood’ e ‘In my life’. Quest’ultimo, un brano autobiografico in cui era presente un assolo di piano in stile barocco per il quale la critica musicale dell’epoca coniò l’aggettivo “progressive”.

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Il 1966 fu l’anno di ‘Revolver’, pietra miliare della storia della musica nel quale, per la prima volta, vi fu l’incontro tra musica pop e avanguardia. L’album si chiudeva con ‘Tomorrow Never Knows’, un brano-mantra di Lennon ispirato al libro tibetano dei morti e accompagnato da sonorità allucinate e inquietanti (altro che ‘Imagine’!). Iniziava l’era della psichedelia della quale sarebbe stato il cantore più ispirato.

Il mondo dell’arte era scosso da fermenti rivoluzionari, i confini tra cultura e contro cultura venivano abbattuti, le droghe erano parte integrante del processo creativo e la musica diventava un potente strumento di autocoscienza individuale.

Fu in questo contesto che John Lennon raggiunse la vetta della sua arte. Le sue non erano più semplici brani ma vere e proprie esplorazioni in territori musicali ignoti che, grazie agli album dei Beatles, venivano fatti conoscere per la prima volta al grande pubblico. La canzone da 2-3 minuti, che soltanto pochi anni prima celebrava i lollipop e il twist, era divenuta una voragine aperta su un abisso senza fondo di suoni, versi e tecnologie innovative applicate alla musica.  ‘Lucy in the sky with Diamonds’, ‘Being for the Benefit of mr.Kite’, ‘A day in the life’, ‘I am the Warlus’ sono le gemme sonore che Lennon regalò al mondo in quegli anni. 

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Questa epoca irripetibile, tuttavia, si rivelò effimera. Dopo la fiammata artistica del 1967 la scena pop rock intraprese altre strade e cosi fece anche Lennon. Negli anni dal 1968 alla sua morte avrebbe scritto alcune buone canzoni ma non sarebbe più riuscito a ripetere i capolavori del passato.

I lettori più attenti avranno notato che nella nostra elencazione delle canzoni di John Lennon manca quella più bella e importante. Nel 2006 vi fu l’uscita di ‘Love’, l’ultima e definitiva pubblicazione ufficiale dei Beatles all’interno della quale erano presenti remastering e rielaborazioni del materiale originale della band. Fra queste una particolare versione di ‘Strawberry Fields Forever’.

A suo tempo il brano fu il risultato di differenti versioni prodotte in un numero incalcolabile di sessioni di registrazione. Nell’antologia queste versioni, dalla demo iniziale fino a quella definitiva, furono riunite in un’unica traccia che ripercorreva le fasi di lavorazione della canzone. ‘Strawberry Fields Forever’, narrazione poetica degli anni dell’adolescenza a Liverpool, era la canzone a cui Lennon era maggiormente legato e la traccia dell’antologia ‘Love’ fu probabilmente un tributo a lui rivolto dai suoi ex compagni rimasti. Con questo tributo vogliamo concludere il nostro ricordo di John Lennon a 40 anni dalla sua morte.

Foto credits “Lennons” by Jack Mitchell