Lavoro in Ue, INAPP: “Italiani tra i meno contenti”.
Tra quanti esprimono molta soddisfazione per il proprio lavoro, gli occupati italiani figurano agli ultimi posti nella classifica stilata dalla European Social Survey, l’indagine che mette a confronto 30 paesi europei, sia membri dell’UE che extra UE (oltre ad Israele). Solo 47 occupati su 100 dichiarano elevati livelli di soddisfazione, 7 punti percentuali sotto la media europea. Ma soprattutto distanti anni luce dalle percentuali del 71% e oltre di paesi come Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia, Belgio. Di fatto, meno contenuti di noi ci sono solo Grecia, Serbia, Polonia, Repubblica Ceca e Spagna.
È quanto è emerso oggi a Roma nel corso della presentazione del primo “Rapporto nazionale della European Social Survey in Italia” da parte dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). Nel volume vengono analizzate e comparate a livello internazionale le opinioni degli italiani e delle persone residenti negli altri Paesi partecipanti all’indagine su varie tematiche quali: nuove tecnologie, benessere, lavoro, apprendimento, salute, immigrazione.
La soddisfazione lavorativa in Italia, dunque, risulta essere meno diffusa rispetto alla media dei Paesi considerati e soprattutto rispetto ai Paesi del Nord Europa, nonostante si osservino citazioni rilevanti di occupati che dichiarano di essere altamente o mediamente soddisfatti. Tale quota si riduce ancor di più se i livelli di istruzione non sono elevati, i contratti di lavoro sono temporanei, gli inquadramenti professionali sono a bassa qualificazione e se si ha una cittadinanza non italiana.
“Come per la maggior parte dei Paesi presi in esame, anche in Italia la soddisfazione lavorativa dipende ormai in modo significativo dalla flessibilità oraria e dalla possibilità di scelta del luogo della prestazione lavorativa – ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp –. Due i dati dell’indagine lo dicono chiaramente: la quota di occupati altamente soddisfatti è stata venduta dal 47% al 68% (+21 punti percentuali) nel caso in cui si possa beneficiare di flessibilità oraria. Lo stesso vale per tutti i paesi analizzati, la cui media passa dal 54% al 69%. Al contrario, la quota di altamente soddisfatti scende al 44,6% nel caso in cui non ci sia la possibilità di scegliere il luogo dove svolgere il proprio lavoro”.
Tuttavia, in Italia la quota di occupati che possono avvalersi di tale autonomia risulta ancora molto limitata: solo il 15,7% degli occupati italiani può scegliere inizio e fine del proprio orario di lavoro (rispetto al 20,6% medio degli altri Paesi) e solo il 30,8% può scegliere il luogo di lavoro (contro il 42,3%). Più penalizzati risultano i lavoratori con basso livello di istruzione, bassa professionalità e contratti non stabili.
La maggior possibilità di autodeterminazione dei luoghi e dei tempi per svolgere il proprio lavoro quotidiano – spiega il Rapporto – possono essere interpretate come sintomi di autonomia sul lavoro. Sotto questo punto di vista l’Italia, insieme a Bulgaria, Macedonia, Ungheria, Croazia, Grecia, ma anche Portogallo, Spagna e Francia, ovvero Paesi dell’Europa dell’Est e mediterranei, è tra i Paesi nei quali vi è maggiore rigidità. All’estremo opposto i Paesi del Nord Europa e dell’Europa continentale.
“Va anche considerato – ha concluso Fadda – che già prima dell’evento pandemico la possibilità per i lavoratori di scegliere il luogo dove svolgere la propria attività lavorativa era meno diffusa in Italia rispetto ad altri Paesi. Con la crisi pandemica questa si è estesa, specialmente in alcuni settori e per gli occupati a più alta qualifica professionale, nonché per le donne con necessità di conciliazione tra lavoro e carichi di cura; ma fasce di occupazione notevoli sono rimaste escluse. Anche oggi la diseguaglianza nella possibilità di fruire di racconto possibilità tra le diverse categorie di lavoratori costituisce un problema”.