L’allarme dell’Ispra: “9% api e farfalle a rischio estinzione”.

Il 9% circa delle specie di api e farfalle è a rischio di estinzione e con essi anche i contributi che rendono disponibili alle comunità, tra cui l’impollinazione delle piante, il principale meccanismo che le piante hanno a disposizione per riprodursi. E’ quanto emerge dal rapporto Ispra “Piante e insetti impollinatori: un’alleanza per la biodiversità”, ricordando che il 90% delle piante selvatiche da fiore ha bisogno di impollinatori per riprodursi e che il valore economico del servizio di impollinazione animale è stimato in circa 153 miliardi di euro l’anno a scala mondiale, 22 miliardi a scala europea e 3 miliardi a scala nazionale.

Nel rapporto, ancora, vengono analizzati importanti aspetti del delicato rapporto pianta/insetto, entrando nel dettaglio dell’ambiente mediterraneo e trattando argomenti come l’appropriata gestione degli ecosistemi (compresi quelli urbani) per salvaguardare gli impollinatori e il ruolo dei prodotti dell’alveare, in primis il miele, in tutte le sue particolari e numerose tipologie.

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“L’impollinazione animale – spiegano dall’Ispra – è la base fondamentale dell’ecologia delle specie, del funzionamento degli ecosistemi e della conservazione degli habitat e dunque della generazione di una vasta gamma di contributi essenziali per l’uomo. Senza gli impollinatori molte piante non sarebbero in grado di riprodursi, causando una riduzione della diversità della vegetazione, privando molti animali di una fonte primaria di cibo e scatenando effetti a catena nell’alimentazione. Perderemmo anche molti frutti, semi e verdure dalla nostra dieta e molti altri alimenti e materiali importanti, come oli vegetali, cotone e lino, legna da ardere e da opera”.

L’attuale declino degli impollinatori, quindi, dipenderebbe da una serie di pressioni ambientali che spesso agiscono in sinergia, a partire dalla distruzione e frammentazione degli habitat, inquinamento ambientale e eccesso di pratiche agricole intensive, tra le quali l’uso di pesticidi e la distruzione degli elementi di naturalità, come stagni e filari o muretti all’interno delle aziende agricole, cambiamenti climatici, diffusione di specie aliene invasive come la vespa velutina, l’ape resinosa gigante, la formica faraone e la formica argentina, e specie vegetali che alterano gli habitat o risultano tossiche per le specie impollinatrici native.

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Fenomeni indubbiamente disastrosi che possono essere risolti partendo dall’adozione dei precetti della Strategia per la Biodiversità 2030 e quella “Farm to Fork”, lanciate nel 2020 dall’Unione Europea. Tra questi, la riduzione del consumo di suolo e quindi il degrado degli habitat nei quali gli impollinatori vivono e si nutrono, incrementare la superficie coltivata con metodi sostenibili e rispettosi dell’ambiente e della biodiversità (come l’agricoltura biologica, che dovrebbe raggiungere il 25% dei suoli europei), ridurre del 50% l’utilizzo di pesticidi nell’ambiente e favorire il mantenimento di specie vegetali selvatiche attraverso aree inerbite e incolte sia in ambito agricolo sia urbano e periurbano.

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