La mia vita nel cuore dell’emergenza coronavirus

Roberta, quartese di 30 anni, madre di un bambino di 2 anni, dal 2010 residente in Lombardia. Come tanti altri, in poche ore è precipitata nell’incubo dell’emergenza coronavirus. Un incubo in cui, accanto alla diffusione del virus, bisogna fare i conti con un clima da emergenza sociale che complica una situazione di suo già molto critica. Roberta ha accettato di parlare con Sardegnagol di come sta vivendo questi giorni difficili. 

Da un giorno a l’altro in Lombardia è scoppiata l’emergenza corona virus. Come è cambiata la vostra vita in questo breve lasso di tempo?

Con le prime notizie sui contagi, dopo un primo momento di incertezza e stupore, la paura e l’ansia si sono diffuse tra la popolazione. All’improvviso è parso che fosse arrivata la peste. Strade vuote, supermercati pieni di gente che acquistavano beni di prima necessità, molti esercizi chiusi alle 18, altri che dall’inizio dell’emergenza non hanno più aperto. Cosa ancor più grave, la sospensione di molti servizi sanitari come la vaccinazione dei bambini, interrotta a tempo indeterminato. E se un bambino sta male non è consentito portarlo dal pediatra ma bisogna seguire una procedura “a distanza” tramite telefono.

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Quali problemi stai affrontando legati all’emergenza?

Oltre a quelli già citati, i supermercati sono completamente vuoti. Non perché non ricevano più merce ma perché, appena arrivano sugli scaffali, i prodotti diventano oggetto di una corsa all’accaparramento come se fossimo alla vigilia della terza guerra mondiale. Per non parlare poi di prodotti, del quale noi madri di bambini piccoli facciamo molto uso, come salviettine, amuchina o le stesse mascherine, ormai totalmente introvabili. Bisogna considerare che ci sono molte persone afflitte da gravi patologie che necessitano di mascherine e che ora vivono una situazione drammatica a causa di questa sorta di isteria collettiva.

Credi che le persone in Lombardia stiano affrontando l’emergenza nel modo giusto?

No. È certamente stato creato un allarmismo eccessivo. Sarebbe bastato sensibilizzare sull’importanza di adottare certi accorgimenti e comportamenti di buon senso. In più l’obbligo di chiusura dei negozi tutti i giorni alle 18 e, per quelli di beni non di prima necessità per tutto il week end, sta creando dei danni enormi all’economia locale. Senza contare che hanno chiuso le scuole per evitare gli assembramenti ma in qualsiasi super market è impossibile muoversi a causa della ressa.

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Ci sono difficoltà nel reperire beni di prima necessità?

Assolutamente. Latte, uova, acqua, carne sono introvabili come in tempo di guerra. Il primo che arriva e trova gli scaffali pieni si prende tutto senza pensare agli altri. Gli stessi rifornimenti stanno diventando problematici a causa della quarantena.

Quali sono gli effetti dell’emergenza sul tuo lavoro?

Ho la fortuna di lavorare in un’azienda modello dal punto di vista del trattamento dei propri collaboratori. Appena è scoppiata l’emergenza sono stata attuate misure straordinarie di prevenzione come la distribuzione di mascherine e di igienizzanti e l’incremento dei turni di pulizia. Ciò nonostante, essendo un’azienda che si occupa di vendita al dettaglio, la paura si è diffusa tra il personale e molti collaboratori sono attualmente in malattia. A ciò si aggiunge un netto calo delle vendite a causa della riduzione dell’afflusso di clienti.

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Qual è stato l’aspetto che ti ha sorpreso maggiormente nella reazione delle persone?

Qui le persone corrono ad accaparrarsi le mascherine, pensando che facciano chissà quali miracoli, ma poi ignorano norme di basilare buonsenso come il lavarsi le mani. Non vanno a lavoro per la paura di contagio ma poi affollano i centri commerciali. Il tutto è molto contraddittorio. A livello generale, quello che mi ha colpito è che, malgrado la decantata efficienza lombarda, non ci sono protocolli comuni a tutte le aziende. In aziende come la mia  l’impegno per la prevenzione è altissimo. In altre le cose procedono come se nulla fosse. Come si può arginare il contagio se non ci impegniamo tutti allo stesso modo e con gli stessi strumenti?

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