La gestione dei migranti in Ungheria sta diventando benchmark in Ue.

L’apertura alle “procedure di frontiera” in Ue sta portando sempre più all’adozione del modello (criticato e sanzionato) ungherese e all’indebolimento del diritto all’asilo. Dispositivo, incluso nel patto europeo migranti e asilo, approvato poco prima delle elezioni europee, che punta a prassi più semplificate e accelerate per l’asilo, e in determinate condizioni (provenienza da un Paese con tasso di riconoscimento dell’asilo inferiore al 20%, quota che in situazione di “crisi migratoria” viene alzata al 50%), può costringere i richiedenti asilo a rimanere ai confini dell’unione europea fino all’esito della procedura.

“Nei fatti – spiegano da Openpolis – con il nuovo patto europeo si va sempre di più verso le politiche di gestione del fenomeno migratorio poste in essere negli ultimi anni dal governo ungherese. A partire dal 2017, infatti, l’esecutivo guidato da Viktor Orbàn ha attivato le procedure di frontiera in aree di detenzione chiamate transit zone, operative fino al 2020″.

Nei primi sei mesi dell’anno sono arrivate sulle coste italiane poco più di 25mila persone migranti. Un numero sensibilmente inferiore allo stesso periodo del 2023, ma ai livelli del recente passato.

LEGGI ANCHE:  Nagorno Karabakh. Aziende italiane nel processo di ricostruzione.

Il minor numero di arrivi viene rivendicato come un successo dal governo Meloni, ma, ricordano da Fondazione Openpolis, si tratta di cifre simili al 2021 e al 2022, quando a palazzo Chigi siedeva Mario Draghi.

L’analisi degli sbarchi nei primi sei mesi dell’anno ci dice, inoltre, che circa un quinto dei migranti arrivati via mare in Italia proviene dal Bangladesh, Paese che negli ultimi mesi è stato inserito nella lista di quelli cosiddetti “sicuri”.

Questa decisione, in combinazione con i dispositivi previsti dal nuovo patto europeo migrazioni e asilo, potrebbe, secondo Openpolis, portare alla marginalizzazione di migliaia di persone, che sarebbero costrette a fare domanda d’asilo ancora prima di fare ingresso in Ue.

Un anno fa l’Ue ha firmato un memorandum con la Tunisia. Si tratta di un pacchetto di accordi, tra cui l’impegno del paese nordafricano a contrastare le partenze dei migranti, in cambio di finanziamenti. Un’intesa simile, nello spirito e negli obiettivi, a quelle già messe in campo (e contestate) negli anni scorsi con i governi di Libia e Turchia.

LEGGI ANCHE:  Neet: 1 giovane su 4 non è coinvolto nella crescita economica e civile del Paese.

A livello nazionale, invece, ha fatto discutere l’accordo bilaterale tra Italia e Albania, che prevede la costruzione di due centri (uno di prima accoglienza e l’altro per chi deve essere rimpatriato) nel Paese balcanico.

Dati alla mano, comunque, nonostante i numerosi tentativi di abbattere il fenomeno migratorio, da oltre 10 anni quest’ultimo si conferma consolidato e sembra essere condizionato solo in parte da politiche nazionali volto ad arginarlo o, peggio ancora, eliminarlo.

“L’obiettivo di medio termine della governance europea (e italiana) – commentano da Openpolis – sembra piuttosto rendere la vita più difficile ai migranti che tentano di entrare nel vecchio continente. Basti pensare che solo nel mar Mediterraneo sarebbero oltre mille i migranti morti o dispersi nei primi mesi del 2024″.

Lo scorso maggio, il ministero degli esteri (d’intesa con il viminale) ha emanato un decreto in cui si aggiorna la lista dei paesi considerati “sicuri”, ossia quelli dove sarebbe dimostrabile che non esistono persecuzioni politiche, etniche, religiose, oltre che trattamenti inumani, degradanti né violenza indiscriminata.

LEGGI ANCHE:  Infezioni sessualmente trasmissibili: metà dei giovani non le conosce.

Ai 16 paesi di origine considerati sicuri dall’Italia, il governo ne aggiunge 6: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Inutile sottolineare come spicchino Bangladesh ed Egitto, che insieme rappresentano il 27,1% degli arrivi nel primo semestre dell’anno.

L’aumento dell’elenco Paesi di origine sicura fa sì che sempre più richiedenti protezione internazionale siano sottoposti a procedura accelerata con conseguenti restrizioni delle garanzie sia a livello amministrativo che di difesa giudiziaria in caso di rigetto della domanda. Il risultato, concludono da Openpolis, sarebbe la marginalizzazione di migliaia di persone migranti che, attraverso le procedure di frontiera, non riuscirebbero neanche a fare ingresso in Europa per chiedere l’asilo.

foto Sardegnagol, riproduzione riservata