La ‘Domenica di Carta’. Il trattamento della ‘follia’ in Sardegna dal XIII secolo alla Legge Basaglia.

In occasione del quarantennale dalla scomparsa di Franco Basaglia, ispiratore della famosa Legge n.180 del 1978, la Soprintendenza Archivistica della Sardegna ha riaperto al pubblico la mostra “La follia prima della Legge Basaglia”, un percorso nella storia del trattamento della follia in Sardegna attraverso le carte degli archivi delle Amministrazioni provinciali di Cagliari e Sassari, degli Archivi di Stato delle due città, degli exOspedali psichiatrici di Villa Clara e di Rizzeddu.

Un interessante cammino storico che trova la propria genesi nella reclusione dei ‘pazzerelli’ nelle anguste sale dell’antico Ospedale Sant’Antonio Abate di Cagliari. Una struttura, costruita nel XIII° secolo, divenuta nei secoli, e fino al 1858, il luogo di accoglienza di tutti i ‘folli’ della Sardegna che qui vennero “rinchiusi in due locali sotterranei e incatenati in condizioni disumane“. Un ambiente, definito dalla stessa Commissione Provinciale di Cagliari tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’Ottocento, come “luogo sudicio, mal sano, barbaro e contrario al fine della riabilitazione“.

La pianta dell’Ospedale Sant’Antonio Abate

Una constatazione forse influenzata dal processo di rinnovamento iniziato nel 1793 che portò a considerare i “pazzi non più come deviati da correggere ma come malati da risanare“.

Speculazioni che nella seconda metà dell’Ottocento porteranno all’adeguamento in Sardegna dei luoghi di ricovero sulla base delle moderne concezioni psichiatriche, per effetto delle quali, nel 1859, si procederà alla chiusura dell’inumano Ospedale Sant’Antonio Abate e al trasferimento dei degenti nella sezione manicomio del nuovo Ospedale San Giovanni di Dio. Una evoluzione che porterà, nel 1888, a istituire anche a Sassari, presso l’Ospedale SS. Annunziata, il ‘servizio di provvisoria custodia dei mentecatti‘.

Per effetto dei cambiamenti organizzativi nel trattamento delle malattie psichiatriche in Sardegna, non ci volle molto per trasformare il San Giovanni di Dio nel riferimento per le famiglie dei pazienti psichiatrici dell’isola. Un successo che porterà in breve al suo sovraffollamento e a riflettere sull’esigenza di realizzare nuovi spazi per i degenti psichiatrici.

Per ovviare alla penuria di posti letto la Provincia di Cagliari, nel 1892, grazie alle competenze attribuitele per l’assistenza psichiatrica dalla legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, prese in affitto una tenuta detta Villa Clara, posta sulla sommità del colle Monte Claro, e, inoltre, di alcuni fabbricati nella vicina tenuta di Istelladas, dando avvio, nel 1904, alla costruzione del manicomio di Villa Clara, progettato da Stanislao Palomba, secondo una tipologia a ‘villaggio’.

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Un progetto reso possibile grazie all’infaticabile opera del medico algherese Giuseppe Sanna Salaris, che diede un importante impulso alla realizzazione del nuovo manicomio di Villa Clara. Uomo di grande umanità come si evince dalla decisione di far pubblicare, dal 1893 per diversi anni, il Bollettino del Manicomio con l’intento di “fornire alle famiglie interessate notizie dei congiunti ospitati nello Asilo“, sia con l’intento di dimostrare che il manicomio di Cagliari era “uno fra quegli stabilimenti sanitari, dove gli infelicissimi fra gli infelici ricevano un trattamento assolutamente dignitoso, pari alla pietà che destavano”.

Villa Clara

Dei 24 padiglioni, inseriti nel progetto originario, ne furono realizzati 10 e di questi soltanto 6 vennero destinati al ricovero dei malati. Una modifica, rispetto al progetto iniziale, dovuta a una carenza di risorse economiche che portò, in breve tempo, al sovraffollamento della struttura. Secondo le ‘carte’ della Soprintendenza Archivistica, rispetto ai 500 posti disponibili, il nuovo manicomio si trovò ad ospitare ben 1800 degenti, ovvero più di 3 volte la capienza disponibile.

Nel Nord Sardegna, la Provincia di Sassari agì parallelamente all’amministrazione Cagliaritana, anche per effetto della dichiarazione della sezione manicomio del San Giovanni di Dio del 1893, che confermò l’impossibilità di ospitare i pazienti psichiatrici del Sassarese. Inizio, così, la costruzione di un manicomio in località Rizzeddu, la cui prima pietra fu posta il 20 luglio 1896. Il progetto, ultimato nel 1903, fu realizzato dall’ingegnere Domenico Cordella. Un piano edilizio che fu ridimensionato per questioni finanziarie, rispetto al progetto originario che prevedeva la costruzione di 10 padiglioni (suddivisi per sesso) e 6 reparti comuni.

In entrambi i manicomi i ricoveri avvenivano secondo quanto stabilito dalla legge del 1904 sui manicomi e gli alienati emessa dal Ministro dell’Interno dell’epoca, Giovanni Giolitti. In questo modo per la prima volta lo Stato unitario si dotava di una legge organica in materia psichiatrica.

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Una legge che prevedeva l’ingresso nelle strutture dietro ordinanza di ricovero emessa dall’autorità di pubblica sicurezza e, dopo la visita e un bagno di salute a 30°, l’introduzione del paziente nel reparto di osservazione (spesso assicurato e legato a letto) per un periodo di 15 o 30 giorni, per i casi eccezionali, così da permettere ai medici dell’epoca di capire la diagnosi o procedere al licenziamento dalla struttura.

In questo periodo storico, secondo i documenti della Soprintendenza Archivistica, tra le diagnosi più frequenti che determinavano i ricoveri, vi erano l’alcolismo, la demenza paranoide, la frenosi epilettica, l’esaltamento maniaco e la confusione mentale.

Le cucitrici di Villa Clara

Tra le terapie più in auge tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, si registrano le applicazioni di sanguisughe, purghe, bagni freddi e iniezioni di cloridrato di joscina. Solo nella metà del ‘900, insieme ai primi psicofarmaci, vennero introdotte le prime terapie come lo shock cardiazolico, ovvero l’induzione di forti crisi epilettiche mediante iniezione di cardiazol, un derivato sintetico della canfora, lo shock insulinico, inventato da Manfred Sakel nel 1932, che provava a provocare un forte attacco epilettico o un trauma profondo attraverso l’iniezione di una dose di insulina, fino ad arrivare alla terapia elettroconvulsivante, più comunemente nota con il nome di elettroshock dello psichiatra e neurologo Ugo Cerletti.

Durante la permanenza nei manicomi i degenti erano impegnati nello svolgimento di lavori generici che andavano dalla manutenzione dei giardini alle strade interne, alle pulizie, alla lavanderia e sartoria, per lo più finalizzata alle riparazioni di lenzuola e abiti. Nel tempo i degenti furono coinvolti anche nell’attività delle colonie agricole e nell’allevamento contribuendo alla sostenibilità economica dei manicomi del Regno d’Italia.

Un periodo ben documentato dalle ‘carte’ della Soprintendenza Archivista della Sardegna, dove si evince un generalizzato miglioramento delle condizioni di vita dentro i manicomi, rispetto al passato.

Un nuovo approccio verso la qualità di vita del paziente psichiatrico che trovò nuovo impulso negli anni ’70, grazie alle spinte dei movimenti che reclamavano l’umanizzazione del ricovero manicomiale e, in particolare, il contrasto alla segregazione dei malati psichiatrici.

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Un moto che ebbe il suo culmine nel 1978 con la promulgazione della Legge n.180 (cd. Legge Basaglia) che fece suo il processo avviato con la Legge n. 431 del 1968 (cd. Legge Mariotti) che, tra i punti più rivoluzionari, consentiva il ricovero volontario in Ospedale Psichiatrico senza la perdita dei diritti civili, assimilando i pazienti psichiatrici agli altri ammalati e accomunando l’ospedale psichiatrico a qualsiasi altro ospedale e, ancora, procedere all’abrogazione dell’art. 604 del Codice di Procedura Penale relativa all’iscrizione al casellario giudiziario dei provvedimenti di ricovero in manicomio, eliminando, così, una grave modalità di ‘segnare’ il malato di mente.

La legge Basaglia, nonostante la tardiva applicazione, pose fine all’attività dei manicomi in Italia. In Sardegna, per esempio, la legge venne applicata nel 1998 e, nel mese di marzo 1998, sia a Cagliari che a Sassari vennero chiusi, rispettivamente, i manicomi di Villa Clara dal Dottor Gino Meloni e il Rizzeddu dalla Dottoressa Alba Corona, a conclusione, forse, di un percorso storico, caratterizzato da sofferenza e disumanizzazione che ha interessato per secoli la nostra isola.

Consuelo Costa, Soprintendenza Archivistica della Sardegna

Un percorso che rivive oggi grazie alla mostra “La follia prima della Legge Basaglia”, inserita nel ‘cartellone’ della Domenica di Carta, dopo il primo allestimento del 2010 realizzato da Anna Castellino e Maria Rosaria Lai.

Un’iniziativa per riflettere sui diritti delle persone con patologie psichiatriche croniche e diffondere la conoscenza sul patrimonio della nostra storia per Consuelo Costa della Soprintendenza Archivistica della Sardegna: “Ieri si è celebrata la Giornata mondiale della salute mentale che ha ricordato l’esigenza di contrastare la stigmatizzazione e rimarcare i diritti delle persone con patologie psichiatriche. Il percorso ‘La follia prima della Legge Basaglia’ nasce per ricordare, attraverso le carte dell’Archivio, le sofferenze delle persone escluse dalla società e divulgare questa realtà verso i cittadini”.

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