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La crisi della salute mentale giovanile e il ruolo della pubblicità del fast fashion sui social media.

Irena Joveva, eurodeputata di Renew Europe, ha sollevato un’importante questione riguardante l’impatto delle pubblicità di fast fashion sulla salute mentale dei giovani europei. Un tema che, nonostante le sue gravissime implicazioni, sembra essere trattato come una semplice conseguenza del contesto sociale, senza che vengano attuate politiche mirate per prevenire i danni che sta causando.

I giovani, particolarmente vulnerabili all’influenza dei media, sono costantemente esposti a modelli di consumo che li spingono a seguire tendenze del fast fashion, spesso non per una reale scelta, ma per il timore di essere emarginati dai coetanei. Il 50% dei giovani europei, infatti, adotta queste mode solo per non diventare bersaglio dei bulli e mantenere la propria reputazione all’interno del proprio gruppo dei pari. Allo stesso tempo, il 34% di loro ha dichiarato di non aver mai più indossato un capo di abbigliamento dopo averlo postato online o dopo essere stato visto indossarlo da amici.

Questa pressione sociale, alimentata dai media, ha effetti devastanti sull’autostima dei giovani, facendoli associare il proprio valore esclusivamente all’aspetto fisico. La conseguenza diretta è un peggioramento della percezione di sé, che porta a problematiche più gravi come depressione, ansia e insoddisfazione corporea.

In Europa, i giovani di età compresa tra i 16 e i 34 anni rappresentano circa il 50% del mercato del fast fashion, con piattaforme social come Instagram e TikTok che giocano un ruolo fondamentale nella creazione delle tendenze. Le partnership con gli influencer contribuiscono, poi, ad accentuare la pressione sui giovani, spingendoli a adottare stili di vita e mode che non sono necessariamente in linea con i loro desideri, ma con quelli imposti dal mercato.

Di fronte a questa situazione, la Commissione europea, fino ad arrivare alla più remota amministrazione locale, non può più ignorare il problema. Nonostante il crescente interesse per le politiche sociali e i copiosi investimenti in questo settore, le politiche giovanili continuano, però, a essere trascurate. La mancanza di investimenti nelle politiche giovanili – non contiamo i sempre più inaccessibili programmi Ue come Erasmus+ o ESC – e nella prevenzione dei disturbi psicologici derivanti dalla pressione sociale e mediatica sta creando infatti una spirale pericolosa che rischia di avere effetti devastanti sulla salute mentale delle future generazioni.

Premesse dovute per fare il punto, per esempio, anche sull’inerzia della Commissione europea, la quale non ha ancora introdotto il divieto delle pubblicità di fast fashion nelle normative sulla sicurezza online.

L’Europa, anche sul fronte della fattispecie dei pericoli legati al fast fashion, deve decidere se continuare a considerare i giovani solo come un problema da gestire attraverso politiche sociali, o se cominciare a investire seriamente in politiche giovanili che li proteggano dalle insidie di un sistema che li riduce a consumatori passivi.