Italia: sempre più anziani e meno ricchezza.
Diminuiscono i giovani in Italia e, con loro, la vera ricchezza del Paese. Tra bambini e ragazzi under18 nel “Bel Paese”, si è passati da un’incidenza di povertà assoluta del 3,9% nel
2005 al 14,2% del 2021. Numeri che confermano la difficile esistenza dei giovani italiani rispetto ai coetanei in Europa e nei Paesi sviluppati.
Giovani sempre più disillusi e lontani dalle “cose reali” e sempre meno coinvolti sostanzialmente nel processo decisionale e multilivello. Dopo il Covid, la questione geopolitica in Europa, infatti, le risposte da parte della classe dirigente sono state decisamente autoreferenziali e tokeniste, mentre non sono mancate le iniziative estemporanee Ue come l’Anno europeo della Gioventù e la Conferenza sul Futuro dell’Ue. Autentiche buone pratiche in termini di “apparenza di inclusività”.
Da anni, ancora, in Italia più una persona è giovane, più è probabile che si trovi in povertà assoluta. Elementi, nonostante sia in gioco la stessa tenuta dei conti pubblici italiani (a partire dal piramidale sistema pensionistico italiano) che non sembrano essere tenuti in considerazione in questo Paese.
Come si potrà in una nazione sempre più anziana, dove continua ad aumentare la spesa pubblica, spezzare un circolo vizioso che rischia di rendere vani gli sforzi delle giovani generazioni, sempre più apatiche e prive di competenze professionali e trasversali?
Guardando l’involuzione demografica degli ultimi 18 anni tutto sembra protendere verso un finale già scritto. In Italia, nel 2005 le persone con almeno 65 anni erano il 19,5%, oggi gli over 65 sono quasi il 24% della popolazione italiana. Minori nascite, aumento della complessità sociale, ”fuga dei cervelli” e, quindi, della forza lavoro, giorno dopo giorno mettono a nudo tutti i limiti della competitività del nostro Paese nel presente e nel futuro. La stessa Istat prevede che nel 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 38% dei residenti in Italia, quasi il doppio rispetto al 2005.
Un conto decisamente insolvibile in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Ma chi se ne fotte potrebbe dire qualcuno/a dalle alte cariche di questo incomprensibile Paese, ormai condannato ad avere uno degli indici di vecchiaia più alti del mondo.
Per avere una visione complessiva del rapporto demografico tra giovani e anziani, l’indice di vecchiaia, ovvero il numero anziani di almeno 65 anni ogni 100 giovani di età inferiore a 15 anni, può dare più di una indicazione ai tanti “distratti” della politica italiana.
Nel 2022 l’indice ha infatti sfiorato il 188%, ovvero quasi 50 punti percentuali in più rispetto al 2005, dove l’indice di vecchiaia era al 138% e, ad oggi, l’Istituto nazionale di statistica stima che nei prossimi 20 anni il rapporto tra anziani e giovani in Italia possa aumentare di altri 100 punti: nel 2042 l’indice di vecchiaia potrebbe essere infatti pari al 293%.
Una previsione da scenario post-atomico dove risulta già da adesso immaginare un futuro. Secondo le ‘Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027)’ di Unioncamere, la difficoltà di reperimento del personale nel 2022 ha riguardato il 40% delle assunzioni e ha significato una perdita di valore aggiunto di 37,7 miliardi di euro. Dati alla mano, se le proiezioni dell’Inps sull’indice di vecchiaia dovessero trovare conferma, l’effetto sull’intero sistema economico italiano sarebbe devastante per usare un eufemismo.