Italia: pochi giovani e sempre più lontani dal lavoro.

L’Italia, si sà, è considerata da chi non la vive come il “Bel Paese” ma, andando a leggere tra le righe dei dati sulla denatalità, la realtà, purtroppo, conferma il pessimo stato di salute di una nazione erroneamente considerata dai più come la “terra del sole”.

Negli ultimi dieci anni, infatti, è sceso di quasi un milione il numero dei giovani tra i 15 e i 34 anni ( 966.938 per la precisione). Una contrazione rilevata all’interno della fascia della popolazione più produttiva e (per ampi versi) riformatrice che sta ‘finalmente’ presentando il conto alla nostra distratta nazione. A partire dalle grosse difficoltà arrecate alle aziende italiane che faticano sempre di più ad assumere personale, non solo per lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche perché la platea degli under 34 pronta ad entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo.

Rarefazione delle maestranze più giovani, quindi destinata ad accentuarsi ulteriormente nei prossimi anni. Solo nel 2027, secondo una indagine della CGIA di Mestre, l’Italia dovrà trovare un modo di sopperire alla mancanza di circa 3 milioni di addetti, in sostituzione dei futuri pensionati. Li prenderemo dall’India come si sta già verificando per il sistema sanitario? Come si potrà sostenere il sistema pensionistico italiano, sempre più simile a un sistema piramidale?

Di certo non saranno i vari “Decontribuzione Sud” o le iniziative spot e costose a risolvere il paradigma escludente per i giovani italiani, tanto in voga ormai da diversi decenni di gestione politico-amministrativa di questo sempre più scalcinato “brutto Paese”. E, purtroppo, i cosiddetti “organi consultivi per i giovani” pensano a fare carrierismo e a non “pestare” sui toni nelle loro interlocuzioni con le istituzioni. Insomma, difficile aspettarsi interventi di impatto all’interno di un sistema così autoreferenziale e autocelebrativo…

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Uno scenario da girone dantesco, ancora, confermato dalla stima dei fabbisogni occupazionali e professionali a medio termine offerta dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere – Anpal che, periodicamente, raccoglie i dati attraverso delle interviste rivolte agli imprenditori.

Giovani, quindi, in calo e lontani dal mondo del lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la povertà educativa ormai ha raggiunto livelli allarmanti per non dire endemici. Dati devastanti se confrontati con le statistiche degli altri (più democratici) Paesi Ue.

Nel frattempo in Italia si investe sempre meno nella scuola – anche se dalle parti del Governo Meloni si fa di tutto per promuovere un’altra realtà – nell’università (forse meglio così guardando alle performance e al monitoraggio dei servizi erogati all’interno delle varie realtà italiane) e, soprattutto, nella formazione professionale. Qui, per onore della cronaca, non si riesce a capire perché il grosso della spesa pubblica debba essere erogato alle agenzie di formazione, escludendo le imprese. Non avrebbe più senso erogare le risorse per la formazione professionale direttamente alle imprese? Guardando al paradigma italiano decisamente no. Meglio buttare a mare miliardi di euro in formazione teorica e priva di spendibilità nel mercato del lavoro. All’Italia, si sà, piace l’approccio teorico.

Da più parti, ancora, si cerca di spingere sul patto sociale con gli immigrati che vogliono stabilirsi in Italia. Nulla di sbagliato, anzi, l’immigrazione è da sempre portatrice di novità ed energie nuove ma perchè ostinarsi a non fare un ragionamento serio e di impatto per l’inclusione dei giovani italiani, il sostegno alle famiglie e il diritto al lavoro e alla casa? Non è dato saperlo. Meglio, forse, spingere sulla cosiddetta “guerra dei poveri” che, grazie anche alla “magistrale” opera dei media mainstream italiani, riesce con puntualità a spingere l’opinione pubblica verso posizioni xenofobe e un generalizzato sentimento di insicurezza.

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Nel nostro Paese, restando nei radar dell’immigrazione, appare evidente che per almeno i prossimi 15-20 anni dovremo ricorrere stabilmente anche all’impiego degli stranieri. Quindi Meloni, Salvini e gli altri sovranisti “delle soluzioni facili”, provino a cambiare i propri speech e linee programmatiche per gli anni a venire, piuttosto che puntare sulla pancia degli analfabeti funzionali.

La questione immigrazione, infatti, è un’operazione complessa e non facile da gestire, anche perché la sua relazione con il mondo del lavoro è molto articolata. Non solo; tutto ciò richiede una Pubblica Amministrazione in grado di funzionare bene e con performance decisamente superiori a quelle dimostrate fino a ora.

Il buon esito di un’iniziativa di questo tipo, ad esempio, non può prescindere da una ritrovata efficienza dei Centri per l’impiego (difficilmente riscontrabile fino ad oggi), altrimenti la possibilità che l’iniziativa naufraghi è pressoché certa.

Gli under 34, ancora, sono diminuiti soprattutto nel Mezzogiorno: Sud Sardegna, Oristano, Isernia e Cosenza sono, infatti, le province più colpite. In questa ripartizione geografica la diminuzione è stata pari a 762 mila unità (-15,1 per cento). Seguono il Centro con -160 mila (-6,6 per cento),
mentre al Nordovest (-1 per cento) e al Nordest (-0,5 per cento) la flessione è stata molto contenuta.

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A livello regionale, invece, è stata la Sardegna con il -19,9 per cento a subire la flessione più importante. Seguono la Calabria con il -19 per cento, il Molise con il -17,5 per cento, la Basilicata con il -16,8 per cento e la Sicilia con il -15,3 per cento.

A livello provinciale, infine, la realtà che negli ultimi 10 anni ha registrato la diminuzione più importante è stata la Sud Sardegna con il -26,9 per cento (erano 79.817 i giovani nel 2013 mentre oggi sono 58.378). Seguono Oristano con il -24 per cento (35.214 nel 2013, 26.750 nel 2023). E, volendo guardare anche alle altre realtà regionali, le cose non vanno molto bene a Cagliari, dove i giovani nel 2013 erano 91.647 contro i 76.468 del 2023 (d’altronde basta vedere anche la gestione delle politiche giovanili nel comune per farsi una idea) e a Sassari, scesa a quota 88.815 nel 2023 con un calo del 16,5% di giovani.

Numeri inequivocabili circa l’approssimarsi di una nuovo periodo Cretacico che, come ricordato dalla cronologia geologica, mise fine al Giurassico. Tempo geologico decisamente ascrivibile ai dinosauri della politica italiana e alla loro scarsa visione verso i giovani e la gioventù italiana.

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