Italia Paese “competitivo”: in 15 anni perso il 50% delle piccole imprese agricole.

Gli agricoltori europei sono costretti a produrre sempre di più o a chiudere i battenti: è quanto rivela il nuovo report di Greenpeace EU “La crisi degli agricoltori italiani ed europei”. L’analisi evidenzia un divario sempre più ampio tra le aziende agricole in difficoltà, prevalentemente a conduzione familiare, e quelle più grandi che beneficiano della maggior parte dei sussidi e dei profitti generati dal comparto. Non fa eccezione l’Italia, dove in soli 15 anni il numero delle aziende agricole di piccola dimensione si è dimezzato, mentre quello delle grandi è raddoppiato.

Dal 2007 al 2022, il numero di mega aziende agricole dell’Unione Europea (con una produzione economica di oltre 250 mila euro l’anno) è aumentato del 56%, mentre quello delle aziende agricole su piccola scala (con una produzione economica al di sotto dei 50 mila euro l’anno) è diminuito del 44%. La perdita di quasi due milioni di aziende agricole e di 3,8 milioni di posti di lavoro suggerisce come il modello di agricoltura familiare sia in grande difficoltà, nonostante le aziende su piccola scala rappresentino ancora i due terzi delle imprese agricole nell’UE. Al contempo, appena 306 mila persone in più sono state assunte dalle grandi aziende, mentre nel complesso il tasso di occupazione nelle aziende agricole ha registrato un calo del 38%. Di contro, le mega aziende agricole (che costituiscono solo l’8% delle aziende agricole più produttive) ricevono il 37% dei sussidi della PAC (Politica agricola comune) e hanno visto aumentare il loro reddito medio dell’84% nell’arco dei 15 anni considerati dallo studio.

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La stessa dinamica si riscontra in Italia: tra il 2007 e il 2022 il nostro Paese ha perso il 37% delle sue aziende agricole, ma questa riduzione riguarda principalmente le aziende di piccola scala che sono diminuite del 51%. Queste ultime rimangono comunque la spina dorsale dell’agricoltura italiana, rappresentando il 65% delle aziende agricole sul territorio nazionale. Nello stesso periodo, il numero di grandi aziende – che pur rappresentando solo il 7% delle aziende agricole italiane ricevono quasi il 30% dei sussidi diretti della PAC – è aumentato del 57%, accrescendo la sua produzione del 70%. La produzione delle piccole aziende, di contro, è diminuita del 44%. Nel complesso, in Italia la somma delle unità lavorative per anno (ULA) in agricoltura ha registrato un calo del 34%. Di questi posti di lavoro persi, il 53% ha riguardato proprio le aziende di piccole dimensioni. 

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“I dati del nostro report dimostrano come stia diventando sempre più difficile gestire una piccola azienda agricola e guadagnarsi da vivere: o si produce in grande, o si va incontro al fallimento”, osserva Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Le aziende di piccola scala rischiano di scomparire, e con esse i posti di lavoro e i benefici per le comunità rurali. Cresce, invece, la pressione sugli agricoltori affinché aumentino la produzione, anche attraverso tecniche più intensive che amplificano gli impatti ambientali, con conseguenze spesso dannose per la salute dei suoli agricoli e per la disponibilità di risorse essenziali come l’acqua. Anziché puntare il dito contro le misure di protezione ambientali, che sono preziose alleate per un’agricoltura in salute, i governi nazionali e l’UE dovrebbero smettere di finanziare le mega aziende agricole intensive e sostenere gli agricoltori che lottano per restare a galla e vogliono contribuire al ripristino della natura”.

Ed è proprio sulla narrazione dicotomica “crisi dell’agricoltura vs. politiche green” che si focalizza anche un nuovo rapporto commissionato da Greenpeace Italia all’Osservatorio di Pavia. Lo studio ha analizzato la copertura mediatica italiana delle manifestazioni organizzate dagli agricoltori a inizio 2024 in diversi Paesi europei: le voci che hanno trovato più spazio sui principali quotidiani e telegiornali nazionali, evidenzia la ricerca, sono quelle di chi ha ridotto la protesta dei trattori a una guerra tra agricoltori in crisi da un lato e Unione Europea dall’altro, spesso con argomenti di resistenza alla transizione verde o contro la sostenibilità ambientale, descritta come inconciliabile con quella economica e sociale. Questo nonostante le istanze portate in piazza fossero molto più ampie e spesso orientate verso politiche che nulla avevano a che fare con la protezione ambientale.

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“Ciò che sta mettendo le aziende agricole in crisi, come evidenziato da molti agricoltori anche durante le proteste, è il fatto che sussidi, regole e mercato sono tutti orientati a beneficio delle realtà più grandi. Le maggiori catene della grande distribuzione e le grandi aziende alimentari e di trasformazione possono imporre prezzi bassi agli agricoltori, spingendo i produttori più piccoli fuori dal mercato”,  dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Tutto ciò, mentre gli agricoltori si trovano ad affrontare gli effetti della crisi climatica. Incolpare le norme di tutela ambientale significa mentire in primis agli agricoltori che sono già allo stremo, continuando a foraggiare un sistema che funziona solo per una esigua percentuale di grandi attori del mercato”.