Istat: “Nuovo record negativo per le nascite in Italia”. Nelle isole denatalità al top.

Calano (chi lo avrebbe mai detto!) le nascite in Italia. Dal 2008 le nascite sono diminuite di 176.410 unità (-30,6%).

Si tratta, secondo l’Istat, di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti strutturali indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) sono quasi del tutto uscite dalla fase riproduttiva; dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995 che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane – spesso derivante dei ricongiungimenti familiari favoriti dalle massicce regolarizzazioni – ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust. Ma l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.

Ne complesso, a diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 240.428, quasi 20 mila in meno rispetto al 2020 e 223 mila in meno nel confronto con il 2008 (-48,2%). Ciò è dovuto innanzitutto al forte calo dei matrimoni, che si è protratto fino al 2014 (con 189.765 eventi a fronte dei 246.613 del 2008) per poi proseguire con un andamento altalenante. A ciò va aggiunto che nel 2020 la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze al punto da sì che il numero dei matrimoni si sia pressoché dimezzato (-47,4%),

La denatalità sembra destinata a proseguire nel 2022. Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-settembre, le nascite sono diminuite di 6 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2021, poco più della metà di quanto osservato nei mesi gennaio-settembre del 2021 nel confronto con gli stressi nove mesi del 2020 allorché i concepimenti si sono significativamente ridotti a causa degli effetti delle ondate pandemiche.

Sempre meno primi figli. Nel 2021 i primi figli ammontano a 186.485, il 46,6% del totale dei nati. La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 ha portato a una progressiva contrazione dei primogeniti che sono il 2,9% in meno sul 2020 (-5.657) e il 34,5% in meno sul 2008. Nello stesso arco temporale i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 26,8%.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese – ad eccezione della Provincia autonoma di Bolzano che presenta un lieve aumento – ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto all’inizio del millennio quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

Al Centro spetta il primato della denatalità complessiva (-34,3%) e dei nati del primo ordine (-38,2%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-36,7% nel complesso e -40,5% per il primo ordine). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-42,6% nel complesso e -48,4% per il primo ordine).

La minore denatalità, che resta comunque di assoluto rilievo, si registra nelle Isole (-28,2% per il totale dei nati e -29,8% sul primo ordine) soprattutto per le nascite della Sicilia (-25,3% sul totale e -27,0% per i primi figli). In tutte le regioni la denatalità dei primi figli è maggiore di quella complessiva, ad eccezione di Molise, Puglia e Sardegna. La Provincia Autonoma di Bolzano è l’unica in cui la natalità complessiva si riduce dal 2008 (-5,3%) ma i primi figli aumentano (+0,7%).

Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

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Genitori non coniugati per oltre un nato su tre. In un contesto di nascite decrescenti prosegue e si rafforza l’aumento dei nati fuori dal matrimonio: sono 159.821 nel 2021 (+14 mila nell’ultimo anno, +47 mila dal 2008), pari al 39,9% del totale (35,8% nel 2020). Le nascite fuori dal matrimonio sono più frequenti nel Centro (46%) mentre nel Mezzogiorno la quota è inferiore (34,8% nel 2021).

Nel caso di genitori entrambi italiani i nati fuori del matrimonio raggiungono il 43%. Nel caso di coppie miste, l’incidenza è più elevata se è il padre ad essere straniero (37,3%) rispetto alle coppie con madre straniera (31,8%). Per i nati da genitori entrambi stranieri la quota raggiunge il 26,5%, oltre 16 punti percentuali in meno rispetto alle coppie di entrambi italiani.

L’aumento della quota dei nati fuori dal matrimonio nell’ultimo anno (+4,1 punti percentuali), superiore alla media degli ultimi dieci anni, può essere messo in relazione al dimezzarsi dei matrimoni tra il 2019 e il 2020. Considerando l’età della madre, superano la metà delle nascite tra le giovani fino a 24 anni (58,4%) e rappresentano il 40,2% tra i 25 e i 34 anni. Tra le coppie di entrambi italiani si arriva rispettivamente al 71,4% e 43,8%. A partire dai 35 anni, la quota di nati fuori del matrimonio si attesta a 35,2% per il complesso delle coppie e a 36,8% per le sole coppie di genitori italiani.

La quota più elevata di nati da genitori non coniugati si osserva nel Centro (46%), seguono Nord-est e Nord-ovest (41,6%). La regione con la proporzione più alta è la Sardegna (49,3%) che supera anche la media del Centro-nord. Tra le regioni del Centro spiccano l’Umbria (47,3%) e la Toscana (47,1%) mentre al Nord-est il valore più alto si registra a Bolzano (48,4%). Il Sud presenta generalmente incidenze molto più contenute (33,6%), con le percentuali più basse in Basilicata (26,4%) e Calabria (28,5%).

Tra i nati fuori dal matrimonio, la quota maggiore è rappresentata da nati con genitori mai coniugati (coppie di celibi e nubili) che nel 2021 arriva all’84,1% sul complesso dei nati fuori dal matrimonio. Questa quota è aumentata di quasi 20 punti percentuali rispetto al 2001, riflettendo la caduta dei primi matrimoni osservata negli ultimi 20 anni. A livello territoriale il Mezzogiorno è la ripartizione con la quota minore di nati da genitori celibi e nubili sul totale dei nati fuori dal matrimonio (80,9%).

Nel caso dei nati da genitori mai coniugati la struttura per età della madre si presenta più giovane: il 13,3% di nati da madri fino a 24 anni contro l’8,3% del complesso di nati da madri della stessa età; il 28,5% di nati da madri con 35 anni e più rispetto al 35,6% di nati dal complesso delle madri.

Tra i nati da genitori mai coniugati, quelli con cittadinanza straniera sono pari all’8,9%, proporzione decisamente più contenuta rispetto ai nati da genitori coniugati, dove la quota di stranieri si presenta raddoppiata (17,4%).

Si riduce il contributo alla natalità dei cittadini stranieri. Dal 2012 al 2021 diminuiscono anche i nati con almeno un genitore straniero (21.461 in meno) che, con 85.878 unità, costituiscono il 21,5% del totale dei nati.

Le boomers straniere, che hanno fatto il loro ingresso regolarmente come immigrate o sono “emerse” o sono stare “ricongiunte” a seguito delle regolarizzazioni di inizio secolo, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo in modo importante all’aumento delle nascite e della fecondità di periodo. Ma le cittadine straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta invecchiando.

I nati da genitori entrambi stranieri, scesi sotto i 70 mila nel 2016, continuano a diminuire nel 2021 attestandosi a 56.926 (quasi 23 mila in meno rispetto al 2012), anche per effetto delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio, e costituiscono il 14,2% del totale dei nati.

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I nati in coppia mista, passati da 27.445 del 2012 a 28.952 del 2021, presentano un andamento oscillante. Il crescente grado di “maturità” dell’immigrazione nel nostro Paese, testimoniato anche dal notevole aumento delle acquisizioni di cittadinanza italiana, rende però sempre più complesso misurare i comportamenti familiari dei cittadini di origine straniera. Si riscontra, infatti, un numero rilevante di acquisizioni di cittadinanza proprio da parte di quelle collettività che contribuiscono in modo più cospicuo alla natalità della popolazione residente.

Nel 2021 hanno acquisito la cittadinanza italiana 121.457 stranieri. Le donne sono 61.544, il 50,7% del totale e, di queste, il 57,9% ha un’età compresa tra 15 e 49 anni. Le donne albanesi divenute italiane nel 2021 sono oltre 11 mila, il 17,9% del totale; quelle marocchine circa 8.200 (13,3%) e quelle di origine rumena poco meno di 5.600 (9,1%). Nel complesso, queste collettività rappresentano oltre il 40% delle acquisizioni di cittadinanza da parte di donne straniere, con quote in età feconda rispettivamente pari a 59,5%, 52,1% e 64,0%.

Forte impatto della pandemia sulle nascite. La discesa marcata delle nascite osservata nel bimestre novembre-dicembre 2020 (-9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019) è proseguita nei primi mesi del 2021, evidenziando a gennaio il più ampio calo mai registrato (-13,2%) e lasciando ben pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra fine 2020 e inizio 2021 è infatti riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica.

Complessivamente, nei primi dieci mesi del 2021 il trend è lievemente decrescente rispetto allo stesso periodo pre-pandemico dell’anno precedente (-3,3%), con l’eccezione di una lieve ripresa nella primavera (+4,9% a marzo e 1,5% ad aprile) dovuta ai nati concepiti durante la fase di transizione tra le due ondate epidemiche del 2020.

Nell’ultimo bimestre del 2021 si verifica un aumento delle nascite (+10,6%) che evidenzia un recupero rispetto al crollo innescato dalla pandemia (+7,0% a novembre e + 14,3% a dicembre), dovuto in misura sostanziale ai nati da genitori non coniugati (+20,4%), da genitori entrambi italiani (+11,2%) e da madri con 35 anni e più (+19,5%). Nel 2022, considerando i dati provvisori dei primi nove mesi, si registra un calo del 2,2%.

Rispetto alla situazione pre-pandemica riferita alle nascite, i primi dieci mesi del 2021 mostrano un calo particolarmente evidente dei nati all’interno del matrimonio (-9,6%), da genitori stranieri (-6,9%) e di quelli con madri con meno di 35 anni (-4,3%). In controtendenza rispetto al calo generalizzato, i nati fuori dal matrimonio presentano comunque un aumento (+8,2%).

Posticipo di maternità soprattutto per le donne più giovani. L’evoluzione della natalità è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle madri. In questo scenario è interessante osservare come abbia agito la crisi sulle scelte riproduttive di una popolazione che diventa genitore sempre più tardi. Nel periodo gennaio-ottobre 2021 la contrazione dei nati riguarda soprattutto le giovanissime (-9,7% per le donne fino a 24 anni) e le età più avanzate da 45 anni in poi (-18,3%).

Nell’ultimo bimestre, invece, l’aumento più marcato riguarda le donne con più di 45 anni le cui nascite ritornano quasi ai livelli pre-pandemici. Tale incremento può essere messo in relazione alla possibilità di fare nuovamente ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Il ricorso a tali tecniche, infatti, è molto diffuso a partire dai 40 anni, e in particolar modo tra chi ha più di 45 anni.

La fecondità delle cittadine italiane al minimo storico. Nel 2021 il livello di fecondità delle donne tra 15 e 49 anni è valutato con un valore medio di 1,25 figli (1,24 nel 2020), si tratta di una modesta ripresa che segue un lungo periodo di diminuzione in atto dal 2010, allorché si era registrato il massimo relativo di 1,44 figli per donna.

Per trovare livelli di fecondità così bassi per il complesso delle residenti bisogna tornare indietro ai primi anni duemila. Tuttavia, in quegli anni la tendenza indicava un recupero, dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995, attribuibile in larga misura al crescente contributo delle donne straniere. Nel 2003, ad esempio, la fecondità delle straniere era pari a 2,47 figli per donna, ben distante dal valore di 1,87 registrato nel 2021 (leggermente inferiore al 1,89 del 2020). Si conferma al Nord il primato dei livelli più elevati di fecondità riferito al totale delle residenti (1,31 nel Nord-est e 1,26 nel Nord-ovest), soprattutto nelle Province Autonome di Bolzano e Trento (rispettivamente 1,72 e 1,42), in Veneto (1,30), in Lombardia e in Emilia-Romagna (1,27).

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Nel complesso i livelli di fecondità del Mezzogiorno si attestano sulla media nazionale (1,25 figli per donna); tuttavia sono degni di nota i valori registrati in Sicilia (1,35) e Campania (1,28). Al Centro il livello di fecondità è risalito da 1,17 a 1,19. La Sardegna continua a presentare il valore più basso (0,99), anche se in lieve ripresa rispetto al 2020. Le differenze territoriali sono spiegate dal diverso contributo delle donne straniere: 1,96 al Nord, 1,63 al Centro e a 1,87 al Mezzogiorno.

La fecondità delle cittadine italiane è passata da 1,17 del 2020 a 1,18 nel 2021, restando sotto il minimo storico del 1995 che, seppur riferito al complesso della popolazione allora residente, risulta prossimo alla fecondità delle sole cittadine italiane, data la bassissima incidenza dei nati da donne straniere a metà degli anni Novanta.

Il numero medio di figli per donna delle italiane è in lieve rialzo al Nord (da 1,14 a 1,16) e in egual misura nel Mezzogiorno (da 1,21 a 1,22). Presenta un lieve aumento anche il Centro (da 1,11 del 2020 a 1,13 del 2021). Al Nord a detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,64) seguita dalla Provincia autonoma di Trento (1,34). Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,15) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia (1,32) e Campania (1,27); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,97, in aumento rispetto allo 0,94 del 2020.

In media si diventa madri a 31,6 anni. L’evoluzione della fecondità di periodo è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle donne. L’aumento del numero medio di figli per donna registrato tra il minimo del 1995 e il 2010 si è verificato nei territori interessati dal recupero delle nascite precedentemente rinviate dalle donne di cittadinanza italiana e dove la presenza straniera è più stabile e radicata (quindi più nati stranieri o con almeno un genitore straniero).

Ciò è accaduto in particolare nelle regioni del Nord e del Centro mentre nel Mezzogiorno è proseguito il fenomeno della denatalità causata dalla posticipazione delle nascite, ancora in atto da parte delle cittadine italiane, non compensata dalla quota, modesta in questa area, di nascite di bambini con almeno un genitore straniero.

Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995, del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2021 (italiane e totale residenti) si osserva uno spostamento della fecondità verso età sempre più mature. Rispetto al 1995, i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni mentre continuano a diminuire tra le donne più giovani. Questo fenomeno è ancora più accentuato considerando le sole cittadine italiane per le quali, confrontando la fecondità del 2021 con quella del 2010, il recupero della posticipazione si osserva solo a partire dai 35 anni.

Il dispiegarsi degli effetti sociali della crisi economica ha agito direttamente sulla cadenza delle nascite. Le donne residenti in Italia hanno accentuato il rinvio dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate. Rispetto al 1995, l’età media al parto aumenta di oltre due anni, raggiungendo i 32,4 anni; in misura ancora più marcata cresce anche l’età media alla nascita del primo figlio, che si attesta a 31,6 anni nel 2021 (oltre 3 anni in più rispetto al 1995).

Le regioni del Centro sono quelle che presentano il calendario più posticipato (32,8 anni). Le madri residenti nel Lazio hanno un’età media al parto pari a 32,9 anni, quelle del Molise a 32,8, superate solo da quelle della Basilicata e della Sardegna (33 anni).

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