Infanzia, Impossible 2022: in 6 regioni italiane i neet hanno sorpassato i coetanei che lavorano. Per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che non lavorano e non studiano.
L’Italia è di fronte a un bivio, perché il potenziale di rigenerazione del paese, che sono i bambini, gli adolescenti e i giovani, è profondamente in crisi. I nuovi nati in un anno sono ormai meno di 400 mila , la povertà assoluta infantile, che colpisce quasi 1,4 milioni di bambini, ha raggiunto il suo massimo assoluto da quando si registra questo dato (2005), la povertà educativa accentua le disuguaglianze, e lo spreco di talenti è tale che in 6 regioni i giovani senza impiego e accesso alla formazione hanno sorpassato i coetanei con un lavoro.
La prima sfida per il futuro dei bambini che sembrerebbe impossibile, ma non lo è, riguarda l’utilizzo tempestivo ed efficace delle straordinarie risorse messe in campo oggi dal PNRR, dalla Child Guarantee e da altri fondi di programmazione europea e nazionale, che sono la vera opportunità per invertire il trend di impoverimento materiale e educativo dei bambini amplificato dagli effetti della pandemia, e per fa sì che le risorse pubbliche possano essere un volano anche per attrarre investimenti dal settore privato. Questo il tema al centro del confronto svoltosi ieri a Roma in apertura del programma di Impossible 2022.
La corsa ad ostacoli per i bambini inizia appena nati, pone barriere più alte nei territori maggiormente svantaggiati e continua durante il percorso di crescita, ricordano da Save the Children. Solo il 14,7% usufruisce di asili nido o servizi integrativi finanziati dai Comuni, e la spesa media pro capite sotto i 3 anni si ferma a 906 euro, con forti disparità nella forbice che va da Trento (2.481) alla Calabria (149).
Quando si passa alla scuola primaria, si scopre che nel centro-nord il 45% dei bambini può beneficiare del tempo pieno, un’opportunità che manca invece all’85% dei bambini al sud. Se a Milano tempo pieno e mensa scolastica sono un’esperienza ordinaria per il 95% dei bambini, a Palermo è un’eccezione assoluta visto che riguarda solo il 6% dei bambini. La fragilità del rapporto con la scuola fa danni maggiori al sud, dove il 16,3% dei giovani ha lasciato prematuramente gli studi nel 2021, anche se in media, in Italia, la dispersione scolastica raggiunge comunque il 12,7%.
Anche la qualità del percorso scolastico di chi prosegue gli studi, nel caso delle ragazze, è penalizzato dagli stereotipi di genere che limitano al 22% sul totale delle iscritte all’Università il numero di quelle che scelgono corsi scientifici , e le materie STEM continuano ad essere percepite dalle ragazze come “poco adatte” a loro, sebbene, secondo una recente ricerca Ipsos per Save the Children, appassionino e incuriosiscano il 54% delle adolescenti a scuola .
Mentre il made in Italy “è a caccia” di 244mila talenti secondo i dati ISTAT sui posti vacanti elaborati dalla Confcommercio a luglio 2021, 182mila nel settore dei servizi e 62mila in quello dell’industria, il nostro è un motore educativo che in molti aspetti sembra girare al contrario, e che ha prodotto il numero più alto di NEET in Europa, più di 2 milioni di cui il 23,1% nella fascia di età 15-29 anni. In 6 Regioni italiane si è già verificato il sorpasso dei NEET rispetto ai giovani inseriti nel mondo del lavoro. In regioni come Sicilia, Campania, Calabria e Puglia per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che non lavorano e non studiano, a livello nazionale, tra i giovani occupati e i NEET vi è uno scarto di soli 8 punti percentuali.
Di fronte a questo scenario, la strada da imboccare è una sola, quella di fare ogni sforzo possibile per investire bene, e con una priorità sull’infanzia, le risorse economiche straordinarie disponibili, per agire dove serve di più e colmare concretamente le disuguaglianze che producono queste condizioni.
Gli errori da evitare sono quelli di investire in prevalenza su territori più “attrezzati” e più pronti a rispondere e gestire i bandi, vanificare l’efficacia delle spese basandole su dati superati e incompleti che non rappresentano gli aspetti cruciali e i reali bisogni dei bambini, programmare “a canne d’organo” senza creare invece alleanze mirate tra soggetti istituzionali, mondo privato e terzo settore. Abbiamo bisogno di un salto di qualità che consenta alla spesa pubblica di essere volano anche per gli investimenti privati e per il pieno coinvolgimento dei saperi e delle energie del terzo settore, attorno ad un obiettivo comune.
“Troppo spesso gli interventi per l’infanzia sono concepiti a breve termine, come spot politici o per tamponare le emergenze, e devono invece essere pensati con un orizzonte ampio. Nel nostro confronto oggi abbiamo evidenziato a più voci come la spesa pubblica, sia pure potenziata, non può bastare da sola. Le risorse istituzionali possono però essere il catalizzatore di una risposta straordinaria anche da parte del tessuto produttivo e del mondo della finanza, per avviare una strategia integrata in grado di trasformare il Paese con uno sviluppo sostenibile – si legge nella nota di Save the Children -. Se siamo davvero convinti che l’azione sociale ed educativa non sia un costo a fondo perduto ma un investimento, occorre aggiornare il quadro normativo e amministrativo per il massiccio innesto di strumenti come la finanza di impatto, per troppo tempo di fatto trascurati. Da un lato, l’impatto sociale e ambientale, al di là degli slogan, deve uscire dal perimetro ristretto della filantropia ed essere posto decisamente al centro di modelli di business che si ripensano e si trasformano. E la misurazione dell’impatto deve poter diventare prassi ordinaria dell’azione sociale ed educativa che è l’aspetto chiave per guidare questo cambiamento. Dall’altro, è necessario riconoscere al terzo settore un ruolo sociale, politico ed economico nelle scelte del Paese, per arrivare ad una co-programmazione e co-progettazione con le istituzioni centrali e locali nelle politiche pubbliche che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, e contribuire concretamente all’innovazione sociale e alla sua sostenibilità”.
Nel corso dell’evento è intervenuta anche la ministra per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone – principale promotrice del recente Neet Working Tour – ha sottolineato l’importanza di ascoltare la voce delle ragazze e dei ragazzi.
Investire bene, rapidamente e in modo trasparente le risorse disponibili non è un’impresa impossibile. Come è emerso dal confronto oggi, bisogna però partire da dati e analisi puntuali sulle condizioni dei minori, facendo dialogare tra loro le diverse fonti per costruire un quadro reale del Paese e capire così dove investire e su quali priorità, come raggiungere i territori più deprivati, ma bisogna anche predisporre quelli necessari per riuscire a monitorare la spesa e verificare l’impatto concreto su bambini e giovani.
Bisogna poi assicurarsi competenze in grado di leggere e governare la complessità, di mettere a sistema risorse spesso frammentate in diversi interventi, con il rischio di un mancato ancoraggio tra le spese per gli investimenti e la spesa corrente. Non ha senso, ad esempio, costruire nuovi asili nido se non si investe contemporaneamente per predisporre un numero di educatori sufficienti al loro funzionamento.
Guardando ai territori, quelli dove si annida la povertà minorile ed educativa sono anche quelli dove la rete dei servizi socio-educativi oggi è più debole e dove talvolta anche le capacità di programmazione e di gestione amministrativa sono particolarmente limitate. Bisogna mettere in campo una pianificazione integrata sui territori mettendo a fattor comune le risorse e le competenze, coinvolgendo in tutte le scelte di programmazione le comunità locali, i ragazzi ai quali queste misure si indirizzano, e il terzo settore, che oggi sono poco, o per nulla, coinvolti in attività di co-programmazione. Sbaglia chi considera il protagonismo delle comunità un aspetto secondario, o buono solo per le anime belle. Le esperienze nazionali e internazionali dimostrano che la spinta civica che accompagna le scelte di investimento è una delle fondamentali garanzie di sostenibilità e di efficacia.
Una priorità cruciale della strategia di impiego delle risorse è lo sviluppo dei talenti, delle capacità, delle intelligenze delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, superando anche gli stereotipi di genere che accentuano il numero di ragazze tra i NEET e ostacolano i loro percorsi di studio scientifici e tecnologici. Per colmare il mismatch tra le aspettative del mondo del lavoro e l’offerta educativa, ci vuole una strategia integrata che agisca a partire dalla scuola per sviluppare le cosiddette soft skills, le abilità personali necessarie allo sviluppo della persona, e metta in gioco e responsabilizzi le agenzie formative, le aziende e il mondo del lavoro. Dobbiamo porci l’obiettivo di dimezzare il numero dei NEET nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni e raggiungere così la media europea, con misure straordinarie per reinserire nel mondo della formazione e del lavoro almeno un milione di giovani entro il 2026, e investire nel frattempo nelle scuole sulla prevenzione del fenomeno, attraverso la didattica dell’orientamento sin dalle scuole secondarie di primo grado.
foto politichegiovanili.gov.it