In ricordo di Charlie Watts
Charles Robert Watts, batterista dei Rolling Stones, scomparso oggi all’età di 80 anni, non fu mai un fanatico del rock’n’roll. Sue grandi passioni furono lo swing, il jazz e il bebop a cui si dedicava nelle pause delle attività con “The Greatest Rock ‘n Roll Band In The World”. La sua stessa immagine, elegante e raffinata, richiamava alla mente i jazz club di Harlem più che le arene dei grandi concerti rock. Dietro la sua proverbiale flemma british, tuttavia, si celava un forte carattere.
Si narra che una notte, mentre dormiva nella sua camera d’albergo, venne svegliato dalla telefonata di un Mick Jagger ubriaco che domandava dove fosse “il mio batterista”. Una volta riagganciata la cornetta, si fece la barba, si vestì di tutto punto e raggiunse la stanza di Jagger. Appena questi aprì la porta, Charlie lo colpì con un violento pugno in faccia e gli urlò: “non sono io il tuo batterista, sei tu il mio fottuto cantante”.
Nel corso della sua carriera, coerentemente con il suo anticonformismo, Charlie Watts si è mantenuto distante dai cliché dello star system. Per tutta la vita ha avuta accanto la donna, bella e come lui dall’innata eleganza, conosciuta nei giorni che precedettero la fama e il successo.
Charlie Watts, dicevamo, non fu mai un fanatico del rock’n’roll ma a questo genere ha dato un contributo epocale. Il drammatico drumming in controtempo di “Paint it Black”, lo stile tribale di “Simpathy for the Devil”, l’originale linea di “Honky Thonk Woman”, sono alcune delle innumerevoli pagine di storia della batteria scritte da un jazzista che nei concerti degli anni ’60 pestava come un forsennato per farsi sentire dal pubblico.
A settembre riprenderà il “no-filter tour” degli Stones, interrotto nel 2019 a causa della pandemia. Sarà il primo senza Charlie e quasi sicuramente anche l’ultimo. Vada come vada, i Rolling Stones senza Charlie Watts non saranno mai più la band che milioni di persone in tutto il mondo amano da decenni.