In Italia si pagano più pensioni che stipendi. In Sardegna il saldo negativo è pesante.

Nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi, ma nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto del Paese. Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centrosettentrionali. “E’ evidente – si legge nella nota della CGIA di Mestre -, visto la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno”.

Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord, mettendo così a rischio la sostenibilità economica del nostro sistema sanitario e previdenziale.

Dati a prova delle note edulcorate dello stesso Istituto previdenziale che, attraverso il suo Presidente Gabriele Fava, ha dichiarato di voler avvicinare i giovani under35 al mondo della previdenza. Dichiarazioni, però, tardive in un Paese ormai condannato al “salto del banco” del sistema previdenziale, visto il forte restringimento della fascia in età produttiva in Italia, frutto di decenni di politiche sbagliate per l’inclusione dei giovani e delle donne. Esternazioni, tutto sommato, in linea con le altre espressioni autocelebrative condivise nel corso dell’ultimo Meeting di Rimini.

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Gli ultimi dati disponibili consentono inoltre di effettuare un confronto tra il numero degli addetti e quello delle pensioni erogate agli italiani. Se nel 2022 il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi sfiorava i 23,1 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati erano poco meno di 22,8 milioni (saldo pari a +327mila). Secondo l’Istat, ancora, a maggio del 2024 gli occupati erano stimati in 23,9 milioni.

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97mila. Seguono Napoli con -92mila, Messina con -87mila, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila.

Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari.

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La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia tutti i principali paesi del mondo occidentale.

Situazione “squilibrata” anche in 11 province del Nord. Nei prossimi anni la situazione è prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente. Tuttavia, già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni
erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori. Esse sono: Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). In Sardegna, ancora, il saldo negativo tra pensionati (649mila) e lavoratori (566mila) è di -83mila stando ai dati 2022. A Sassari (con 188mila pensionati e 171mila lavoratori), Oristano (71mila pensionati e 50mila lavoratori), Nùoro (91mila pensionati e 70mila lavoratori) e Sud Sardegna (146mila pensionati, 112mila lavoratori) si rilevano i dati peggiori dell’Isola. Numeri, con il generale invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite, che confermano, senza sè e senza ma, la fine dei giochi in Sardegna.

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Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della CGIA, solo 47 presentano un saldo positivo: le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza anticipata dal segno più sono Cagliari (+10mila, 153mila i pensionati 163mila i lavoratori) e Ragusa (+9mila).

“Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere – spiega il segretario della CGIA, Renato Mason -. Questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici. Per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati, facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere i più bassi d’Europa”.

L’Italia, quindi, si prepara (a ragione) a pagare un costo altissimo e irrecuperabile, frutto di decenni di abdicazione dello Stato e di tutte le sue diramazioni periferiche verso la questione giovanile.

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