Imprese: sono oltre un milione in Italia. Poche le risorse con competenze tecniche adeguate.
Producono oltre l’85% della ricchezza nazionale. Sono queste le imprese italiane, arrivate, ad oggi, alla cifra di 1.021.618 unità secondo le ultime rilevazioni del Censimento permanente delle imprese dell’Istat.
Il polmone dell’Italia, chissà per quanto, capace di impiegare il 74,7% degli addetti (13,1 milioni) e il 96,0% dei dipendenti (11,5 milioni), costituendo quindi un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo.
Più di tre quarti delle imprese appartenenti alla popolazione oggetto di studio (805mila unità, pari al 78,9% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 189mila (18,5% del totale) sono imprese di piccole dimensioni (10-49 addetti), mentre le medie (50-249 addetti) e le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) rappresentano rispettivamente il 2,2% (22.861 unità in valori assoluti) e lo 0,4% (3.969 unità, di cui 1.622 con 500 addetti e oltre). Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 28,7% nel Nord-ovest e il 22,7% nel Nord-est), il 21,3% al Centro e il 27,3% nel Mezzogiorno.
Tra il 2018 e il 2021, spiegano dall’Istituto di Statistica, le imprese sono diminuite dell’1,2% (-12mila), mentre sono aumentati del 3,8% gli addetti (+480 mila) e dell’11,6% il valore aggiunto. Rispetto al 2011, ancora, le imprese con 3 e più addetti sono diminuite del 2,5% a fronte di un aumento del 5,1% del personale in esse impiegato.
L’evoluzione della struttura dimensionale delle imprese mostra una flessione del numero di microimprese (con 3-9 addetti) e della relativa occupazione, sia in termini assoluti sia in relazione al loro peso sul complesso delle imprese. Nel 2011 le microimprese pesavano sul totale per il 79,9% e in termini occupazionali del 30,5%, nel 2018 si scende, rispettivamente, al 79,5% e al 29,5% e nel 2021 al 78,9% e al 28,1%.
Le piccole imprese (con 10-49 addetti) registrano un leggero aumento (+3mila unità in valore assoluto tra il 2011 e il 2021), ma diminuisce il loro peso occupazionale (26,4% nel 2011; 26,1% nel 2018; 25,7% nel 2021). Contestualmente, aumenta il peso occupazionale delle imprese di medie (50-249 addetti) e grandi dimensioni (con 250 e più addetti). In particolare, il peso delle medie imprese, in termini di occupazione, passa dal 16,0% del 2011 al 16,1% del 2018 al 16,9% del 2021, quello delle grandi dal 27,0% del 2011 al 28,3% del 2018 al 29,3% del 2021 (era il 26,8% nel 2001). Tale dinamica è trainata dalle imprese con 500 e più addetti che nel 2021 arrivano ad impiegare il 23,2% del totale degli occupati.
Le conseguenze economiche della crisi sanitaria hanno comportato un rallentamento del processo di terziarizzazione delle attività produttive: nel 2001 le imprese di 3 e più addetti appartenenti ai Servizi (incluso il commercio) costituivano il 58,8% del totale, nel 2011 il 65,6%, nel 2018 raggiungono il 70,4% mentre nel 2021 arretrano al 69,6%. Anche in termini occupazionali, il peso dei servizi (63,4% nel 2021) risulta più contenuto rispetto al 2018 (64,0%), sebbene continui ad impiegare circa i due terzi degli addetti totali.
Tale risultato, secondo l’Istat, è riconducibile alle difficoltà incontrate dalle imprese di alcuni settori del terziario di tornare a livelli pre-pandemia. Si tratta, in particolare, delle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (+41,3% di imprese e +16,7% di addetti tra il 2011 e il 2018) e dei servizi di alloggio e ristorazione (+23,3% e +28,6%) che tra il 2018 e il 2021 registrano un calo dell’occupazione pari rispettivamente al 10,7% e al 6,2%. Nel complesso i Servizi rilevano una diminuzione del 2,2% delle imprese e un aumento del 2,8% degli addetti.
Le imprese che operano nell’Industria aumentano invece dell’1,3% e del 5,5% in termini di addetti, con un peso sul totale dell’economia pari al 30,4% delle imprese e al 36,3% degli addetti (era pari al 29,6% e al 36,0% nel 2018). Tale dinamica è attribuibile principalmente al comparto delle Costruzioni, interessato a partire dal 2020 dalle politiche di incentivi fiscali (superbonus 110%), che tra il 2018 e il 2021 presenta una crescita importante del numero di unità (+10,2% a fronte del -3,8% registrato dall’Industria in senso stretto) e dei relativi occupati (+18,8% rispetto al +2,4% dell’Industria in senso stretto), arrivando a rappresentare il 12,0% delle imprese e il 7,8% degli addetti (a fronte del 10,7% e del 6,8% registrato nel 2018). Il settore delle Costruzioni inoltre è l’unico in cui si registra un aumento del numero di imprese e dell’occupazione delle aziende micro: +6mila imprese e +38mila addetti.
Il rallentamento del Terziario e l’espansione delle Costruzioni avviene in un contesto in cui la quota di imprese appartenenti all’Industria in senso stretto continua a diminuire (20,7% nel 2011, 18,9% nel 2018, 18,4% nel 2021). Tra il 2018 e il 2021 le imprese diminuiscono del 3,8% (-7mila imprese in valori assoluti).
La contrazione dell’Industria in senso stretto riguarda esclusivamente le realtà industriali di piccole e piccolissime dimensioni che, nel complesso, hanno fatto registrare una perdita di 46mila occupati (-4,7% degli addetti tra le microimprese e -0,5% tra le piccole). Crescono invece le medie (+8,1%) e grandi (+9,1%) imprese dell’Industria in senso stretto e gli addetti in esse impiegati (+9,0% e +4,4%). Il bilancio occupazionale è dunque positivo per l’intero settore: +89 mila addetti rispetto al 2018 (+2,4%), un dato che, come analizzato in precedenza, risulta comunque inferiore a quanto rilevato dal comparto delle costruzioni.
Scarso il personale con competenze tecniche adeguate e troppo alti gli oneri fiscali e contributivi. In un periodo segnato dalle conseguenze della crisi sanitaria, l’acquisizione di risorse umane ha coinvolto, nel biennio 2021-2022, una impresa su due (51,2%): si tratta del 45,1% delle microimprese e il 71,9% delle piccole, con percentuali che crescono e raggiungono valori prossimi al 90,0% tra le medie e le grandi unità.
Tra i principali settori di attività economica, le quote sono più elevate in tutte le classi dimensionali per le imprese del settore Costruzioni (62,6% del totale delle imprese, 58,5% delle micro). Tra le unità al di sotto dei 10 addetti che hanno acquisito risorse umane, due su tre hanno assunto dipendenti con contratto a tempo indeterminato (60,6%), una su due a tempo determinato (53,6%), il 17,1% con rapporto di collaborazione (inclusi i collaboratori esterni con partite IVA) e il 4,2% con contratto di somministrazione. Al crescere della dimensione aziendale è più diffusa l’acquisizione di diverse figure professionali e cresce la quota di imprese che ricorrono al lavoro in somministrazione (oltre una su due tra le grandi).
Tra i fattori che hanno ostacolato l’acquisizione di nuove risorse nel biennio 2021-2022, tra le imprese che hanno preso in considerazione la possibilità di acquisire personale, il 43,2% delle micro lamenta l’impatto di oneri fiscali e contributivi troppo elevati e il 38,2% l’incertezza sulla sostenibilità futura dei costi delle nuove risorse; il 28,8% asserisce difficoltà nel reperimento di personale con le competenze tecniche richieste e il 15,2% la presenza di problemi di natura finanziaria.
Al crescere della dimensione e della complessità organizzativa aziendale aumenta la quota di imprese che lamentano difficoltà nel reperire personale con adeguate competenze tecniche (43,7% per le piccole imprese, 53,1% per le medie e 56,3% per le grandi) e trasversali, come la capacità di lavorare in gruppo, risolvere problemi e situazioni critiche, adattarsi ai nuovi contesti di lavoro (24,4% per le piccole, 32,0% nelle medie e 35,8% per le grandi).
A livello settoriale, quote elevate di imprese che lamentano un possibile mismatch fra domanda e offerta di competenze si osservano nell’Industria in senso stretto, in particolare nel segmento delle medie e grandi imprese. Più in dettaglio, le divisioni in cui è più diffusa la mancanza di competenze tecniche sono la Fabbricazione di macchinari ed apparecchiature n.c.a. (non classificate altrove) tra le attività manifatturiere, la Produzione di software, consulenza informatica e attività connesse nei servizi e dell’Ingegneria civile nelle Costruzioni.
Nel complesso, la difficoltà nel reperire figure professionali con le competenze richieste sembra crescere all’aumentare del contenuto di tecnologia e conoscenza delle produzioni; sono le imprese residenti nel Nord e, in particolare, quelle che operano nell’Industria in senso stretto del Nord-est, a lamentare più diffusamente la carenza di competenze1. Alle imprese al di sopra dei 9 addetti è stato anche chiesto quali pratiche abbiano adottato nel biennio 2021-2022 per attrarre e/o trattenere personale qualificato. Oltre una impresa su tre tra le piccole (35,2%), una su quattro tra le medie e il 16,5% delle grandi dichiara di non aver adottato alcuna pratica; a livello settoriale, percentuali più contenute si osservano nei Servizi di informazione e comunicazione e nelle Attività finanziarie e assicurative.
Tra le piccole imprese, una su tre afferma di essere disposta a concedere incrementi salariali, circa il 30% maggiore flessibilità negli orari di lavoro, una su cinque la garanzia di gradi crescenti di autonomia sul lavoro in relazione a specifiche competenze o mansioni; seguono, con percentuali minori, la disponibilità a un maggior coinvolgimento nelle decisioni aziendali e l’accesso a benefit (rispettivamente 13,9% e 13,4%); meno diffusi, tra le piccole, gli incentivi per attività di auto-formazione e crescita professionale, anche esterne all’impresa (11,8%). Queste percentuali crescono significativamente tra le medie e soprattutto le grandi imprese.
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